Arte, tecnologia e natura al PAV
Si è chiusa ieri a Torino una settimana ricca di mostre e incontri che potremmo riassumere nella formula Creatività & Innovazione avanzata da CReATE, il progetto europeo a cui il Piemonte partecipa insieme alle regioni Baden-Württemberg, Rhône-Alpes e West Midlands.
Oltre alla ben nota Artissima, giunta in ottima salute alla 16°edizione, la capitale sabauda ha ospitato, in pochi giorni, la 10° edizione della View Conference, dedicata alla convergenza digitale e alla computer graphics e lo Share Festival, evento di arte e cultura digitale nato per stimolare le nuove possibilità di espressione offerte dai new media e dall’innovazione tecnologica.
In mezzo a tante, più o meno futuribili, manifestazioni di creatività tecno-assistita la visita che più ci ha affascinato (per merito, più che per nostra deformazione professionale) è stata quella al Centro Sperimentale del PAV, il Parco Arte Vivente curato dall’artista Piero Gilardi, recentemente al centro di una polemica politica tipicamente italiana (nel senso deteriore del termine), che poco ci interessa. Il consiglio migliore che ci sentiamo di dare è di visitare – come noi abbiamo fatto – il PAV senza pregiudizi, riflettendo sul significato e le potenzialità educative dell’operazione e su quali sarebbero state le alternative di utilizzo di un’area industriale dismessa. Al di là dei gusti estetici soggettivi sulle opere e dell’infinita querelle su cosa sia o non sia arte, la nostra impressione è che il PAV valga abbondantemente lo spazio che occupa e vada, piuttosto, ulteriormente aiutato, sviluppato e promosso – semmai (se tagli di spesa si devono fare) a scapito di altre iniziative culturali e artistiche sicuramente meno innovative , di cui non si sente una particolare esigenza.
Al contrario, estremamente attuale e urgente ci sembra l’invito della Bio Arte al “reincanto per il mondo naturale”, promosso dal PAV, nella sua funzione di “incubatore di coscienza ecologica diffusa” e “museo interattivo nella natura”, attraverso un’originale commistione tra arte, scienza, tecnologia e natura.
Il Parco Arte Vivente, inaugurato nel 2008 ma ancora poco conosciuto, sorge in un’area densamente abitata vicina al Villaggio Olimpico di Torino dove, fino ai primi anni novanta, la Framtek produceva componenti per automobili. Il sito, una volta bonificato, è diventato, su idea di Piero Gilardi, un’area verde di 23.000 mq. disegnata dall’architetto paesaggista Gianluca Cosmacini, che ospita, all’aperto, installazioni ambientali di artisti internazionali (spesso di formazione “agraria”) e, al centro, un edificio interrato, progettato da Alessandro Fassi secondo i dettami dell’architettura bioclimatica.
Qui sorge Bioma, l’opera ambientale permanente di Gilardi, che si snoda in un percorso attraverso sei ambienti, (allestiti insieme all’architetto Massimo Venegoni e al creatore di software Riccardo Colella) in cui l’interazione del visitatore fa dialogare materiali inerti con materiali viventi e apparati tecnologici interattivi. Raccontato in questi termini potrebbe sembrare un’esperienza fredda e astratta, ma così non è. Ogni ambiente è infatti studiato – con un intento didattico oltre che artistico - per stimolare un’esperienza sensoriale “aumentata” che spazia dalla vista al tatto, dall’olfatto all’udito, alla sonorizzazione di enerige invisibili come il magnetismo. Rispetto alle opere presenti all’esterno, figlie della Land Art e della “ecoestetica di restauro”, che mira al recupero di un’originaria purezza naturale, quest’opera – come suggerisce Gaia Bindi nel bel saggio Arte e Ecologia: storia di un fertile incontro (in “G.O. Growing Out. Evoluzione di un parco in movimento”, edito per celebrare il primo anno di attività del PAV) - sembra ispirarsi all’ecologia insieme naturale, sociale e tecnologica proposta da Gregory Bateson, per giungere a un’integrazione tra ambiente e civilizzazione.
Una concezione che si ritrova nelle opere della mostra temporanea Greenhouse – Autumn (visitabile fino al 31 dicembre 2009), terza serie di un ciclo espositivo che segue l’andamento delle stagioni prendendo spunto dalla struttura ospitante, la serra di vetro e legno del PAV che, in questo caso, diventa metaforicamente custode della natura, delle opere e degli esseri viventi ospitati al suo interno in attesa dell’inverno. Qui l’opera di Diego Bonetto (torinese influenzato dalla rigogliosa natura dell’Australia, dove vive) invita a giocare, tramite un percorso assistito da un palmare, con le specie autoctone e spontanee del parco, mentre Laura Viale sperimenta la complessità dello sguardo sul paesaggio, tra reale virtuale, e il meticoloso Nicola Toffolini si fa testimone della dialettica naturale/artificiale, da cui emerge un primato della natura, capace di non abbassare la testa davanti all’intervento umano.
Abbiamo chiesto a Piero Gilardi di raccontarci la genesi del progetto, i rapporti con il mondo dell’industria e i prossimi passi.
D) L’idea del PAV ha una continuità con il suo percorso all’intero dell’Arte Povera?
R) La radice teorica confluita nel contesto del PAV – che è un insieme di persone dove convivono opinioni diverse raccolte sotto l’ombrello della Bio Arte - è quella relazionale. Le nostre sono tutte esperienze artistiche di coinvolgimento, di lavoro con il pubblico, ad esempio attraverso i workshop. Quella con il pubblico è un’esperienza che potremmo definire “strutturale” per il raggiungimento dei nostri fini estetici. Tutto ciò è collegato ad un concetto di intelligenza collettiva che sicuramente affonda nell’idea di’”arte partecipata” dell’Arte Povera, secondo la quale l’arte doveva entrare nella vita – e la vita la si trova dentro la società.
D) Il pubblico dunque lo coinvolgete attivamente voi. L’altro protagonista della sfida ambientale è l’impresa. Riscontrate interesse da parte delle imprese a collaborare ad un percorso di ricerca comune, tenendo conto del fatto che quasi tutte le opere del percorso espositivo interno hanno una forte componente tecnologica?
R) Arte e impresa sono due mondi che sembrano aver ripreso a viaggiare separatamente. Dico “ripreso” perchè il rapporto arte e impresa non è nuovo, nasce nel dopoguerra e poi cresce negli anni’60 con lo sviluppo della chimica. Molti artisti – tra cui anch’io – si sono cimentati allora nell’utilizzo di materiali artificiali, di sintesi, come i polimeri. In tutti gli anni ’90, poi, la new media art è stata seguita – e anche aiutata dall’industria. La Silicon Graphic, ad esempio, che produceva una macchina molto costosa come l’Indigo, aveva attivato un programma di prestiti per gli artisti e per le mostre d’arte. Anche la Apple e Sony ci hanno seguito e si sono nutrite della vitalità delle nostre sperimentazioni. Alla fine degli anni ’90 le esigenze delle imprese informatiche sono invece mutate: non serviva più l’artista pioniere di un genere, ma una diffusione più ampia in rete – oggi assolta dai creativi informatici, che in qualche modo hanno sostituito il ruolo dell’artista sperimentatore. Può darsi che oggi si possano creare nuove sinergie. Purtroppo quello che constato è che i Macintosh su cui abbiamo realizzato tutte le opere di Bioma li abbiamo dovuti acqistare noi, in quanto da parte di Apple non c’è stata alcuna disponibilità a fornirci le macchine.
D) Eppure molte aziende, anche del settore informatico, pubblicizzano il loro impegno “green”…
R) In effetti la nostra speranza è che oggi si apra qualche spazio di collaborazione tra arte e industria sul piano dell’Eco-tech. Tutto il sistema produttivo deve fare i conti con una necessità di ristrutturazione: il settore auto sta andando verso l’auto “pulita”, quello delle energie rinnovabili è l’unico a crescere anche economicamente. Si tratta di definire i terreni di possibile collaborazione.
D) Vuole lanciare un messaggio a possibili sponsor privati che possano essere interessati ad avvicinare la propria immagine al vostro progetto?
R) Lo possiamo lanciare per un progetto specifico al quale stiamo lavorando. Gilles Clemént, il pioniere francese dell’arte ecologica – autore del parco Citroen a Parigi - ha preparato un progetto per noi, destinato a trasformare in un giardino permanente il tetto di questo edificio. L’investimento della Città di Torino sulla nostra struttura è funzionale unicamente al mantenimento della spesa corrente, ma non possiamo gravare oltre sull’ente pubblico. Il progetto di Gilles Clement dovrebbe costare circa 90.000 euro. Unire la propria immagine ad un progetto di Gilles Clement credo che possa essere molto interessante per un’impresa che investe in sostenibilità…
Andrea Gandiglio
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