Quale sviluppo per l’auto elettrica? L’analisi di Antonio Sileo
Pubblichiamo, in esclusiva su Greenews.info, una sintesi della memoria sull’auto elettrica presentata il 23 marzo da Antonio Sileo, ricercatore IEFE Bocconi e I-Com – Istituto per la Competitività, nell’audizione alle Commissioni Trasporti e Attività Produttive della Camera e poi confluita nel paper “I low battery” di VeDrò – L’Italia al futuro.
Tutte le case automobilistiche sono ormai impegnate in percorsi ecologici, molti dei quali includono l’auto elettrica.
È tuttavia estremamente problematico ragionare sul fronte della domanda, a cominciare dalla consueta difficoltà di stimare la disponibilità dei consumatori a pagare di più per prodotti molto più efficienti – e individuare quali possano essere i potenziali acquirenti (gli early adopter).
Per questa ragione numerosi centri di ricerca hanno elaborato una messe di scenari, i cui risultati sono in sostanziale contrasto tra loro. Per il 2020, infatti, si prevede una penetrazione dell’auto elettrica e ibrida ricaricabile che va da poco più dello 0% fino al 25% del parco automobilistico mondiale, mentre se ci si spinge fino al 2050 viene stimata una percentuale di vendite tra il 20% e il 80%. Gli intervalli sono davvero troppo elevati per avere una visione chiara delle prospettive future.
Del resto non è la prima volta che l’auto elettrica è sembrata pronta al debutto. L’ultima è stata a inizio anni ’90, quando negli Stati Uniti e in Europa, si intravidero modelli concepiti elettrici ab origine. Particolarmente significativa la EV1 della General Motors (quella del documentario Who killed The Electric Car?). Il progetto fu possibile sia per i notevoli sussidi messi in campo dall’amministrazione Clinton nell’ambito del progetto Partnership for a New Generation of Vehicles (PNGV) (ben 1,25 miliardi di dollari), sia per soddisfare le nuove leggi anti-inquinamento della California con limiti di emissioni davvero stringenti (lo ZEV mandate, prevedeva che entro il 1998 almeno il 2% delle auto prodotte fosse a emissioni zero).
La GM rese disponibili, per il noleggio a lungo termine, oltre 800 modelli EV1. Nonostante le numerose richieste di noleggio e i feeback positivi degli utilizzatori, la GM fermò tutto perché non era possibile vendere un numero sufficiente di veicoli da rendere il progetto EV1 redditizio.
L’abbandono fu nel 2003: le auto furono tutte ritirate e, inspiegabilmente, distrutte tanto da alimentare leggende e teorie complottistiche (non del tutto infondate). I contenuti innovativi del veicolo erano davvero notevoli e da soli spiegano un break even difficile da raggiungere. Il “sacrificio” dell’EV1, tuttavia, non è stato inutile perché dall’esperienza sono stati tratti utili insegnamenti utilizzati oggi per le auto ibride ad autonomia estesa (Chevrolet Volt e Opel Ampera) che GM ha iniziato a vendere negli Stati Uniti e sta per lanciare in Europa.
Nel Vecchio Continente il ruolo di apripista spettò hai francesi che iniziarono con il progetto sperimentale di car sharing della cittadina di La Rochelle. La diffusione dei veicoli sembrò davvero concreta, basti pensare che dal 1995 al 2002 furono prodotti oltre 10.000 autoveicoli, solo da parte del Gruppo PSA – Peugeot-Citroen. Ma, a differenza del caso statunitense, si trattò di modelli adattati da auto tradizionali; quelli progettati già inizialmente come elettrici non andarono oltre i prototipi e qualche preserie.
Le autovetture elettriche di allora, non erano in grado di reggere il confronto con i modelli convenzionali da cui derivavano: avevano un prezzo più che doppio, un’autonomia e velocità massima che rendevano rischioso qualsiasi utilizzo al di fuori di un contesto urbano, abitabilità spesso dimezzata per ospitare le ingombranti e pesanti batterie al piombo. I principali costruttori d’auto avevano un interesse modesto all’avvio del settore. L’elettronica e la telematica dei veicoli erano del tutto inadeguate. Inoltre, dopo i consistenti miglioramenti conseguiti nel corso degli anni ‘80, spinti dall’imposizione di nuovi standard di emissione e dalle conseguenza degli shock petroliferi, negli anni ’90 diesel e benzina avevano un prezzo relativamente basso, cosa che rendeva estremamente difficile l’affermazione di vetture automobili particolarmente efficienti (“ecologiche”). Paradigmatico l’esempio della Volkswagen Lupo 1.2 TDI 3L (o dell’ancora più performante ma ancor più costosa Audi A2 1.2 TDI): 33 km/l nel ciclo urbano e 81 g/km di emissioni, aerodinamica particolarmente curata (Cx 0,29), massa contenuta (855 Kg), utilizzo di leghe e materiali pregiati (alluminio e magnesio) a fronte di un prezzo quasi doppio della omologa versione tradizionale. Un pay back dunque troppo lungo. Proprio quegli anni hanno, inequivocabilmente, dimostrato quanto sia difficile stimare la disponibilità a pagare per veicoli con prestazioni ecologiche molto superiori alla media.
Questa volta però il contesto è parecchio mutato, a cominciare dalla tecnologia: miglioramenti dei sistemi di accumulo (in particolare le batterie di nuova generazione) e nella loro gestione, economie di apprendimento conseguite negli ambiti dell’elettronica di consumo, della telematica e delle – sempre più numerose – vetture ibride (basti pensare alla frenata rigenerativa).
Ma i drivers ancor più forti sono quelli che potremmo definire “esogeni”: imposizione, specie in ambito urbano, di limiti di emissione e di circolazione sempre più stringenti, prezzi dei carburanti (e loro percezione) crescenti, consapevolezza di mercati sempre più maturi, e ormai in sovrapproduzione – dove il ciclo di vita non può essere ulteriormente compresso.
Nei paesi con elevate potenzialità di crescita, poi, Cina, India e Russia, in particolare, dove le capitali e gran parte dei centri maggiori sono già fin troppo inquinati, le auto elettriche potrebbero addirittura essere incluse tra le opzioni iniziali di una motorizzazione di massa. Il numero degli stakeholder nel mondo dell’auto elettrica è notevolmente aumentato e nella relativa componentistica, si stanno oggi impegnando grandi aziende che fino a ieri poco o nulla avevano avuto a che fare con l’automotive. Mai del resto si era manifestato un interesse paragonabile a quello attuale da parte dell’intero settore elettrico. Infine le iniziative di piccoli produttori innovatori non sono né passate inosservate, né giudicate poco profittevoli, visto che le grandi case ne stanno acquisendo delle quote; l’esempio della Tesla Motors è, mai come in questo caso, lampante.
Ciò detto, resta il fatto che è davvero difficile stimare quanti di questi veicoli circoleranno in Italia al 2020. Forse è ancora troppo presto, ma si potrebbe iniziare a ragionare partendo dall’intero parco effettivamente circolante che, a fine 2009, superava i 32,8 milioni di autovetture. Di queste meno del 5,4% è alimentato con carburanti alternativi, GPL e metano, che fino a marzo 2010, grazie agli incentivi e alla spinta dei prezzi di benzina e diesel, hanno raggiunto un volume di immatricolazioni e una diffusione nei listini mai registrata prima.
Quest’ultimo dato è indubbiamente significativo, perché queste tipologie di veicoli hanno beneficiato di un regime di incentivazione pressochè stabile dal 1997. L’altra doverosa considerazione, oltre alla necessità di aiuti, è che il raggio di utilizzo dell’auto elettrica sarà primariamente l’agglomerato urbano. Anche nel caso di ibride ad autonomia estesa, le lunghe percorrenze riducono infatti i vantaggi dei due motori.
Ora se teniamo conto che l’auto da città, più innovativa e costosa degli ultimi anni (la Smart) ha avuto bisogno di 10 anni per arrivare al milione di esemplari venduti, si potrebbe formulare una prima ipotesi di penetrazione di auto elettriche al 2020 pari all’1% e di un parco stimato, molto conservativamente, a 33,5 milioni.
Questa dimensione non comporterebbe alcun problema per i consumi elettrici, che aumenterebbero di circa 1 TWh (stimando una percorrenza annua di 15.000 km sulle specifiche tecniche dei veicoli ora in commercio, come la Mitsubishi I-Miev), ovvero intorno allo 0,3% dei consumi finali attuali. Valore che potrebbe raddoppiare considerando anche una diffusione, al 2% del parco, dei veicoli ibridi ad autonomia estesa.
Ma l’aspetto più importante, a mio avviso, è la funzione di ulteriore stimolo che l’auto elettrica e i veicoli alimentati in qualsiasi modalità alternativa, a cominciare dal metano, potranno avere sulle auto “tradizionali“, già instradate su un percorso di continui e spesso notevoli incrementi in termini di efficienza e di emissioni.
Antonio Sileo