L’acqua secondo Alberto Bertone
Quando lo abbiamo intervistato la scorsa settimana il Decreto Ronchi sulla “privatizzazione dell’acqua” era ancora in attesa di approvazione alla Camera, ma Alberto Bertone, amministratore delegato di Fonti di Vinadio SpA (Acqua Sant’Anna), sembra aver sempre avuto le idee chiare a riguardo. “Non si è mai visto un servizio efficiente ed economico in regime di monopolio”, ci conferma infatti al termine dell’intervista che, per attualità del tema, vi proponiamo ribaltata, partendo dalla fine.
Da un imprenditore come Bertone, pragmatico e intraprendente, che a 29 anni decide di lanciarsi nel business dell’acqua (apparentemente saturo e dominato dalle multinazionali) e in 10 anni diventa uno dei leader sul mercato italiano, è difficile sentire una lode dei servizi pubblici – o pubblicamente finanziati – sinonimo, troppo spesso, di inefficienza, burocrazia e spreco di risorse.
Con il suo stabilimento ha intrapreso esattamente la strada opposta: investimenti oggi per essere all’avanguardia domani, anche dal punto di vista della sostenibilità: struttura dell’edificio in pietra e legno per inserirsi nel contesto di montagna, logistica su rotaia per il trasporto dai magazzini di Cuneo e Torino al resto d’Italia, movimentazione gestita da robot elettrici ricaricabili (e non a gasolio), formato quadrato delle bottiglie per ottenere un risparmio di spazio nel trasporto, canalizzazione del calore prodotto dai macchinari per riscaldare gli uffici, fasciatori automatizzati che consentono di risparmiare il 50% della plastica negli imballaggi e, dulcis in fundo, la Sant’Anna Bio Bottle, la prima bottiglia in “plastica” vegetale (ricavata dal mais) che non utilizza petrolio e si biodegrada completamente in 80 giorni nei siti di compostaggio. Questi gli accorgimenti che rendono lo stabilimento di Vinadio un caso di studio internazionale.
Intendiamoci, nonostante l’aura religiosa del brand (derivante dal luogo di produzione e dal vicino santuario) Bertone non ambisce alla beatificazione, ma ricorda di essere un imprenditore e – come tale – interessato a far quadrare i conti e, dove possibile, risparmiare. Il punto è che si può risparmiare in maniera intelligente, conciliando economia ed ecologia, come già hanno testimoniato molti lungimiranti imprenditori da noi intervistati.
D) Cosa pensa della cosiddetta “privatizzazione dell’acqua” in discussione alla Camera [Decreto Ronchi, poi approvato, n.d.r.]?
R) La gestione portata avanti fino ad oggi dall’ente pubblico è stata pessima e così non può funzionare. I privati che devono stare sul mercato e scontrarsi su un tetto di tariffe sicuramente possono migliorare l’efficienza degli acquedotti e della distribuzione, investendo – e non solamente aumentando le tariffe, come si teme. L’importante è monitorare i costi, stabilendo, zona per zona, che l’acqua in quel luogo debba essere venduta entro un tetto massimo di prezzo. Il concetto è: io ente pubblico ti dò questo bene in concessione con questo vincolo, tu impresa cerca di essere efficiente per poter rientrare nel tetto stabilito. I monopoli pubblici non hanno mai sviluppato tecnologia nè portato nulla di buono, sono carrozzoni che sono sempre serviti a metter dentro amici dei politici di turno. Ma se lei oggi chiede un allacciamento non ha molta scelta – non c’è concorrenza.
D) Ci convinca che non sta tirando l’acqua al suo mulino: meglio l’acqua minerale o l’acqua del rubinetto?
R) Sono due prodotti molto diversi tra loro, nonstante si voglia spesso far credere il contrario. Pensi all’indagine in corso da parte del procuratore Guariniello: noi abbiamo sempre sostenuto la dannosità dei filtri. E’come spostare un delicato procedimento industriale in casa. La corretta gestione di quei filtri è costosissima e molto laboriosa. E poi ricordiamoci, per fare un esempio locale, che l’acqua di Torino si prende a Settimo Torinese o nel Po, alla confluenza del Sangone (dove c’è la Smat). L’acqua pura del Pian della Mussa non arriva più nemmeno ad Ala di Stura! Se uno vuole bere l’acqua del Po trattata col cloro può farlo tranquillamente, però non mi si dica che sono due prodotti uguali. Per estremizzare: lasciando la conegrina aperta un anno la puzza scompare, ma se la bevo è sempre conegrina. Così il cloro nell’acqua trattata.
D) Torniamo all’impegno di Sant’Anna nella sostenibilità ambientale. Pensa che questo impegno sia stato premiato dai consumatori?
R) E’molto difficile misurare la quota di mercato che può essere stata spostata grazie alla consapevolezza, nel consumatore, delle nostre iniziative per minimizzare l’impatto ambientale. Credo però che la nostra coerenza e l’aver sempre dedicato sforzi e investimenti in questa direzione abbia fatto apprezzare Sant’Anna come una delle società di acque più attente all’ambiente in Italia. Nel nostro caso (come in quello della Ferrero) si percepisce inoltre “la famiglia” dietro all’azienda e questo aiuta a dare un volto e ad acquisire fiducia, anche perchè siamo molto legati al territorio. Questo forse spiega come siamo diventati il primo player italiano [i capitali sono ancora oggi interamente piemontesi, n.d.r.] contro tutte le multinazionali del settore.
D) Voi non imbottigliate nel vetro, come mai?
R) Il vetro è il miglior prodotto se lo si considera usa-e-getta, il peggiore, dal punto di vista dell’igiene e della qualità dell’acqua, se lo si rilava e riutilizza. Le bottigile vengono rilavate alla velocità di 100.000 all’ora utilizzando anche la soda caustica, che è più inquinante della plastica. Non dimentichiamo poi i camion che vanno avanti e indietro per raccogliere i vuoti e distribuire le bottiglie rilavate e riempite. La Bio-bottle ha la capacità di conservare l’acqua in un modo molto simile al vetro, senza cioè trasferire in alcun modo (nemmeno esposta al sole) elementi derivanti dal petrolio – proprio perchè non li contiene. Il PET ben conservato non da alcun tipo di problema, ma con il PLA [la "plastica" di mais, n.d.r.] la sicurezza è totale, per questo la vedo come una vera e propria alternativa al vetro, più ancora che alla plastica tradizionale. La bottiglia in PLA può poi essere riciclata, non solo meccanicamente, ma anche attraverso gli appositi siti di compostaggio. La bio-bottle può tranquillamente essere buttata nell’umido. L’unico elemento di plastica rimane attualmente il tappo, ma appena i numeri saranno tali da garantirne l’economia riusciremo a sostituire anche quello con il PLA, che attualmente costa 4/5 volte tanto.
D) Durante un recente evento internazionale (di cui eravate sponsor) Gunter Pauli, il fondatore di Zero Emissions Research Initiative, ha gettato dal tavolo (non so quanto consapevolmente) una vostra bottiglia invitando il pubblico a diffidare di quanto fanno molte aziende. Come commenta questo gesto?
R) Noi siamo statti attaccati in tutti i modi per il PLA, anche portati in tribunale (dove finora abbiamo sempre vinto), per cui siamo abituati a scrivere e dire unicamente ciò che è vero e dimostrabile. Se il professor Pauli mi dice esattamente cosa sbagliamo sono ben disponibile a discuterne. Se qualcuno ha dubbi sul fatto che sia realmente biodegradabile abbiamo tutte le analisi che lo possono confermare.
Andrea Gandiglio