La cosmesi naturale è cosa antica
Nell’epoca in cui spuntano come funghi centri benessere, impazzano i trattamenti miracolosi e nascono discipline che promettono il sogno dell’eterna giovinezza, ci sono alcuni prodotti semplici, naturali e millenari che meritano di essere riportati all’attenzione dei consumatori.
E’ questo lo spirito che muove gli organizzatori del Sana 2010, il Salone Internazionale del Naturale che, giunto alla sua 22esima edizione, apre oggi a Bologna, fino a domenica 12 settembre.
Molti gli stand dedicati alla cosmesi naturale e ai prodotti di bellezza ecologici ed ecocompatibili. Spicca il ritorno di un grande classico come il Sapone di Aleppo (Almalaky Royal), un sapone per l’igiene personale, basato unicamente su grassi di origine vegetale, nato nella città di Aleppo in Siria, dove la lavorazione artigianale segue una tradizione che risale all’antichità, perpetuata generazione dopo generazione.
Le prime notizie di questo sapone si possono trovare addirittura nell’Antico Testamento e risalgono al 2.500 a.C. Da quel momento, ogni anno, a novembre, quando gli olii di oliva vengono prodotti, si ripete lo stesso rituale nei caravanserragli dei vecchi suk di Aleppo. L’olio d’oliva, viene trattato con acqua e bicarbonato di sodio, lentamente, in un calderone di pietra, utilizzando lo stesso sistema di saponificazione usato nell’antichità. Durante la cottura viene poi aggiunto l’olio d’alloro, ingrediente prezioso e importantissimo la cui concentrazione, nel sapone, ne determina il potere curativo: nella concentrazione che va dal 4% all’8% è impiegato per patologie della pelle lievi, come antisettico per la pelle grassa, per l’igiene intima e come emolliente; in concentrazioni superiori, fino a 16%, è indicato invece per patologie più importanti come eczemi, psoriasi, allergie, dermatiti e micosi.
Terminata la cottura, i saponi, ancora di colore verde, vengono messi in impalcature a forma di torre, dove vengono lasciate all’aria fresca per un lungo periodo a maturare. Il sapone secco si indurirà in un lasso di tempo pari a 9 o 10 mesi e verrà successivamente tagliato, rigorosamente a mano, nella sua nota forma “cubica”.
Queste stesse proprietà ecologiche si ritrovano in un altro prodotto millenario, conosciuto già dalle donne dell’antico Egitto, così come da quelle indiane per colorare i capelli e disegnare la pelle con simboli decorativi o religiosi: l’hennè.
L’ hennè si presenta sotto forma di polvere, ottenuta dall’ essiccazione e dallo sminuzzamento delle foglie della Lawsonia inermis, una pianta sempreverde originaria delle regioni calde subtropicali, dell’Africa del nord e centro orientale, dell’Asia minore, dell’Iran e dell’India occidentale, apprezzata per le sue qualità antisettiche. L’henné, infatti, non ha solo il merito di conferire lucidità alla chioma e di tingerla: è anche sebo-normalizzante ed è un ottimo antiforfora. Il suo uso costante rende quindi i capelli più corposi e lucidi, ma a differenza delle normali tinture, può essere tranquillamente usato durante la gravidanza, poiché non contiene ammoniaca ed è completamente naturale.
Curiosità: se si aggiunge all’acqua calda, con cui si impasta la mistura da applicare sui capelli, del té nero o del karkadè o del caffè, è possibile regolare il colore che si desidera e ottenere una gamma che va dal rosso più intenso al bruno. Se invece si aggiunge un cucchiaio di aceto o di yogurt o di limone, mescolando bene fino ad ottenere la consistenza di una crema densa, si fisserà meglio il colore.
Dalla saggezza e dalla cura del corpo mediorientale arriva un altro prodotto, come direbbero i vegani, cruelty-free ovvero non testato sugli animali e composto di elementi totalmente naturali: il khol, valido sostituto delle matite colorate tanto utilizzate da chi ama sottolineare quotidianamente il proprio sguardo. Si tratta infatti di una polvere composta da carbone, olii vegetali, cenere prodotta dalla combustione di frutta a guscio o semi e altre resine speciali che, a seconda degli ingredienti, può essere nero o grigio.
Le prime tracce di uso di kohl risalgono all’età del bronzo (a partire dal XXXVI secolo a.C.), quando veniva utilizzato come protezione dalle infezioni dell’occhio. Virtù che è rimasta inalterata nel tempo e che fanno di questo antico prodotto un vero toccasana per gli occhi: oltre ad abbellirli, li protegge da fattori esterni come la polvere, i raggi del sole, il fumo.
Ultima dell’elenco ma prima nell’ordine di importanza igienica è, infine, la pulizia dei denti. Anche qui la natura ci viene in aiuto e suggerisce un valido sostituto a dentifricio e spazzolino nella “natural brush”, la radice dell’albero Araak (Salvadora Persica) che cresce in tutto il Medio Oriente, ed è anche nota con il nome di sewak (letteralmente: “massaggio”). Già gli antichi Egizi e Babilonesi ne conoscevano le benefiche virtù su denti e gengive e la consideravano ”lo spazzolino da denti per eccellenza” perché pulisce ed elimina i residui di cibo grazie alle sue fibre di cellulosa abbondanti e resistenti, che ben si adattano alla conformazione della dentatura. Nella tradizione di utilizzo millenario, confermata dalle più recenti ricerche scientifiche, la sewak è sempre stata considerata il miglior strumento per mantenere alti livelli di igiene in bocca, prevenire la formazione della carie e della placca, rendere i denti più banchi, rinforzare lo smalto. Con un regolare utilizzo è possibile inoltre rimuovere le macchie di fumo, di caffè e degli agenti inquinanti derivanti da cattiva alimentazione. Se utilizzata ogni giorno, è bene tuttavia tagliare e rinnovare la punta, poiché le sostanze attive svaniscono con l’utilizzo e la parte utilizzata può impolverarsi o sporcarsi.
Elena Marcon