Indica Sativa Trade: in fiera a Bologna le mille applicazioni della canapa
Non chiamatela stupefacente. Le declinazioni della canapa industriale, riammessa alla coltivazione in Italia dal 1998, abbracciano i più svariati ambiti commerciali, dal tessile alla cosmesi passando per l’edilizia sostenibile, l’alimentazione e la medicina. A Indica Sativa Trade (Bologna, Unipol Arena, 20-22 maggio) le applicazioni della versatilissima pianta portate in fiera sono state moltissime.
La quarta edizione della fiera internazionale ha coinvolto più di 80 aziende, dal business molto differenziato, provenienti da tutta Europa con le più recenti novità su attrezzature e tecnologie per la coltivazione (biologica, convenzionale, idroponica), produzione di concimi organici e minerali, selezione e produzione di semi e prodotti alimentari, cosmetici, abbigliamento e mattoni per l’edilizia. Con la canapa, infatti, si realizza di tutto: con le fibre si confezionano abiti dall’ottima traspirabilità, mentre dai suoi semi si producono olio e cosmetici ad alta tollerabilità; con le foglie della pianta si realizzano pannelli isolanti e ignifughi per la casa. Per uso terapeutico ed alimentare, inoltre, ha ottime proprietà: elevato il valore nutritivo, di vitamine, minerali e Omega 3, 6 e 9. Lo scarto ottenuto dopo la spremitura del seme, pressato in bastoncini, diventa pellet o compound, ovvero biomassa, utile come combustibile.
In Italia nel 2015 risultava coltivata a canapa un’estensione di circa mille ettari di terreno, destinati a raddoppiare quest’anno, per un giro di affari complessivo stimato intorno ai 5 milioni di euro, secondo Ikhemp, azienda di ricerca sulla cannabis industriale e terapeutica. Dati lontani da quando, nel 1940, l’Italia era il secondo produttore mondiale dopo l’Unione Sovietica, con 90 mila ettari dedicati, ricorda Assocanapa.
Ma con la generale messa al bando della cannabis – negli Stati Uniti sin dagli anni Trenta – e con l’arrivo delle fibre sintetiche, la coltivazione era pressoché scomparsa anche da noi. Gli organizzatori della manifestazione parlano di “demonizzazione“, per i vincoli imposti alla coltivazione e i controlli in funzione di contrasto alle droghe. La normativa nazionale e quella europea prevedono tutt’ora particolari restrizioni. Per esempio, sono ammesse solo varietà di sementi certificate, garanzia di filiere controllate e di canapa dal basso quantitativo di tetraidrocannabinolo (THC), il principio attivo responsabile degli effetti stupefacenti. “Fino agli anni Sessanta la coltivazione era diffusa in Romagna e nella provincia di Lucca, poi fu abbandonata dopo l’inasprimento del divieto di coltivazione della canapa indiana e la stretta sulla canapa tessile – sostengono gli organizzatori di Indica. – Solo da pochi anni la produzione di canapa e’ stata riscoperta nel nostro Paese e il mercato e’ ora in rapida crescita. Per questo, quattro anni fa, abbiamo deciso di dare vita a una fiera dedicata”.
E mentre la politica nostrana è impantanata sul sostegno agli “scopi terapeutici” della cannabis – alla fine dello scorso anno la Camera ha approvato all’unanimità il disegno di legge sulla coltivazione della canapa industriale, ma il testo deve ora superare il vaglio del Senato – le aziende della canapa terapeutica come I khemp esportano al 90% negli Usa. “Cinque anni fa abbiamo iniziato recuperando la qualità di canapa detta Eletta Campana, molto adatta ai climi meridionali caldo-aridi – racconta Pier Paolo Crocetta, presidente della società barese – Questa qualità ha livelli molto elevati di cannabinolo, non psicotropo, molto efficace nelle terapie contro il dolore tumorale e in altre patologie, come gli spasmi. Perciò facciamo ricerca per estrarlo e trasformarlo nel modo migliore”. Ikhemp infatti ha una divisione agricola, oltre quella scientifica, per cui gestisce l’intera filiera a partire dalla sementiera, con 800 ettari di terreno coltivato, impiegando 30 ricercatori e con un indotto di un centinaio di persone circa.
Quello legato all’uso legale della canapa è un mercato in forte espansione. La cooperativa agricola Canapa campana, ad esempio, ha più che triplicato la coltivazione, dai 30 ettari dello scorso anno ai 98 ettari del 2016. L’attività è partita da una sperimentazione del 2009 dell’Università di Napoli, e oggi l’azienda ricava dalla canapa olio, birra, farina, pasta, tisane, miele e pesto. I più apprezzati? “L’ olio, perché è ottimo come alimento ma anche per alleviare la psoriasi – spiega Giuseppe D’Ambrosio, responsabile amministrativo – e poi la farina e i prodotti da forno”. Un pacco di pasta di canapa e kamut, o canapa e farina integrale, costa circa 3.50 euro. “Dietro c’è un lavoro artigianale che prevede trafilatura a bronzo, essiccazione di 48 ore, maestranze locali e materiali riciclabili nelle confezioni. Puntiamo alla qualità, e questa giustifica il prezzo” sottolinea. Canapa Campana si affaccia ora anche al canale della grande distribuzione, come la catena di supermercati Decò.
Bottega della Canapa, azienda nata nel 2003 e distributrice in Italia dello storico marchio tedesco “Pure” (la piantina verde in campo bianco), è invece votata al tessile, cosmesi e food rigorosamente di canapa biologica. Alla fiera presenta quest’anno il “pan di canapa”, una linea di pane e focacce che distribuirà nei suoi 4 negozi in franchising (Faenza, Cesena, Bologna e Ferrara) e attraverso l’e-commerce. “La crisi è stata relativa per i prodotti di nicchia, come i nostri, che fanno affidamento sulla condotta d’acquisto di un consumatore consapevole” spiega Massimiliano Spinelli, uno dei due titolari.
Convinti della scelta della canapa anche alla Zahre beer di Sauris (Udine). Da falegnami convertiti alla birra e alla canapa nel 2001, parlano di “successo esponenziale” per questo “nuovo stile di birra” che porta all’azienda friulana un fatturato da 1 milione di euro l’anno. Massimo Petris: “Siamo stati tra i primi in Italia a produrre birra alla canapa. Aggiungiamo ad una birra poco luppolata, stile lager, fiori, foglie e semi di canapa, in diverse fasi della lavorazione. Otteniamo così un tocco di sapore in più“. La materia prima però è anche importata, perché a 1.400 metri d’altitudine non tutte le annate sono ottimali.
Punta invece su una canapa 100% italiana e sull’esperienza locale in fatto di grani antichi ed autoctoni (Solina, Senatore Cappelli) la giovane Hemp Farm, azienda del teramano. A partire da un impianto da 40 mila euro e sotto la guida di un esperto agricoltore, è riuscita ad avviare una filiera corta di coltivazione, trasformazione e commercializzazione di prodotti alimentari – olio, birra, tisane, farine, biscotti, pasta e piadine, tutti di canapa e quindi senza glutine.
La start up siciliana Kanèsis, invece, è nata con una notevole spinta innovativa: un team di giovani neolaureati o “masterizzandi” ha messo a punto, a partire dal compound di canapa, un filamento termoplastico che può essere usato nella stampa 3D. Una rivoluzione, in prospettiva, che potrebbe soppiantare le plastiche derivate dal petrolio. “A partire da qualunque scarto di campo, canapa, arance, carciofo, carrubo, ginestra – spiega il fondatore di Kanesis, Giovanni Milazzo – possiamo produrre materia prima di eccellente qualità per l’industria. I diversi materiali che possiamo ottenere da biomasse, uniti a una resina bio, saranno belli, naturalmente colorati, e con proprietà meccaniche eccezionali”. In prospettiva Kanesis punta a ricostruire una filiera delle arance in Sicilia, che riprenda gli studi sui polimeri di derivazione naturale come il polilimonene.
Cristina Gentile