Hibu, le t-shirt ecologiche che raccolgono gli scarti dell’alta moda
Prima ancora che dal numero, dal cartellino di autenticità e dalla firma del suo creatore, le eco t-shirt di Alessandro Acerra le riconosci dagli occhi delle figure. Grandi, bianchi con la pupilla nera, stilizzati eppure espressivi, simili a quelli di un gufo. Da qui viene il nome del marchio, Hibu (hibou in francese significa gufo), e sicuramente anche un po’ del successo delle t-shirt. Che di particolare hanno anche un’altra cosa: sono in cotone biologico, decorate con stoffe preziose, tessuti di scarto dell’alta moda recuperati, fatte a mano una per una. Unendo così la qualità sartoriale italiana alla moda sostenibile, l’unicità di ogni capo alla sensibilità ecologica.
Alessandro, 31 anni, milanese di origini campane, è appena tornato da Pitti bimbo, dove ha presentato la collezione invernale con felpe e magliette a manica lunga. Sono numerose le sue partecipazioni alle fiere, da White kids al Salone del Mobile, fino alla Biennale di Venezia. Sì, perché oltre a fare lo stilista, è anche designer e artista. Un «creativo», come si definisce lui, con una parola che le contiene tutte.
La sua avventura nel mondo della eco sostenibilità inizia all’Accademia di Brera, dove nel 2005 si diploma con una tesi in eco-design, dal titolo “Niente si crea, tutto si ricicla”. Intanto, frequenta diversi corsi in comunicazione visiva, modellazione e fotografia al Politecnico di Milano. «Dopo la fine degli studi, ho iniziato a realizzare le prime magliette. All’inizio per me e per i miei amici, poi, tre o quattro anni fa, ho creato il marchio Hibu ed ho iniziato a commercializzarle». E oggi le t-shirt di Alessandro sono acquistabili solo in alcuni negozi selezionati e, on line, sul sito Greencommerce.it. Alessandro elabora i soggetti, sceglie le stoffe, le ritaglia e imbastisce per poi cucirle. I tessuti provengono da scarti sartoriali o da rimanenze di produttori famosi, nati spesso per capi di lusso destinati alle passerelle milanesi e recuperati, mescolati per poi rivivere sotto forma di animali e piccoli mostri colorati e ironici.
«Sono sempre stato a contatto con tante stoffe, perché mia madre fa la sarta. Con il tempo, mi sono creato un vero e proprio archivio di tessuti recuperati da riutilizzare». I soggetti, simpatici e coloratissimi, «richiamano i manga, i cartoni degli anni Ottanta, le icone della vita quotidiana. Io mi bombardo quotidianamente di immagini, le immagazzino, e poi rielaboro tutto sulle magliette, con le decorazioni tela su tela». Ogni t-shirt è diversa dall’altra e ha con sé un certificato di autenticità che ne garantisce l’unicità, con numero di serie e firma. Capi unici che stanno a metà tra l’arte e la moda e «cercano di combattere l’omologazione di massa portata dalla globalizzazione», «progettati come quadri da indossare». «Quando queste magliette diventano piccole e non si portano più, non sono da buttare: si incorniciano come un quadro, perché hanno dietro di sé una storia, sono firmate dall’artista e realizzate con tessuti pregiati. La mia idea è farne un oggetto di culto, da collezione». Anche il packaging è originale: «Vengono confezionate nei contenitori della pizza, simbolo di una delle poche cose che ancora rappresenta l’Italia nel mondo per qualità e produzione».
Da cinque o sei anni Alessandro realizza anche oggetti di arredamento e design, sempre rigorosamente con materiale destinato alla discarica, spesso difettato, e restituito a una nuova vita. Vedi la linea degli Eco-toys, i «mostri ingoia rifiuti». Pupazzi di diverse dimensioni che, una volta riempiti, si adattano agli usi più diversi. «Diventano poltrone o divani, oppure contenitori per i giocattoli, cestini da scrivania. Basta “ingozzarli” con i rifiuti e gli scarti, come bottiglie di plastica, carte a cartone, imballi di poliestere e tutto ciò che a ognuno piace vedere all’interno delle bocca affamata del suo mostrino».
Accanto alla vena del designer e dello stilista, c’è quella più provocatoria dell’artista. Alessandro ha firmato installazioni shock, dal postino morto sul lavoro (“Lavorare è sacrificio”) alla suora senza tetto (“Mistero della fede”), che spesso hanno fatto discutere, ricevendo però allo stesso tempo l’apprezzamento di nomi noti, da Oliviero Toscani a Achille Bonito Oliva. «Mi piace provocare, piazzando manichini che creano sgomento. Ma le mie opere d’arte sono anche servite a far conoscere meglio le mie creazioni e far parlare di più di Hibu e degli oggetti di design».
Veronica Ulivieri