Summa 2017: l’atmosfera unica del “fuori salone” della famiglia Lageder
Vent’anni fa Alois Lageder decise di “abbandonare” il Vinitaly. Senza polemica, ma per poter dedicare più tempo e attenzione ai propri clienti e amici – un’esperienza quasi impossibile nella frenesia di una fiera che ospita migliaia di espositori assediati da decine di migliaia di visitatori. Era l’ordine di grandezza che non gli piaceva. Per questo nacque Quintett, la decisione di ospitare cinque vignaioli di diversa provenienza nelle tenute storiche della famiglia a Magrè sulla Strada del Vino, in Alto Adige, a poco più di un’ora da Verona. Un progetto che, negli anni, prende il nome di Summa e che ieri ha festeggiato la 20°edizione con 83 produttori provenienti da tutto il mondo, dalla Francia alla Nuova Zelanda, dalla Germania al Kazakistan.
Summa è la dimostrazione concreta dell’efficacia dell’approccio “olistico”. Non solo quello praticato da Lageder in vigna e in cantina, secondo il metodo biodinamico, ma anche negli eventi (coordinati dalla figlia Anna): un gruppo selezionato di produttori – quasi sempre presenti in persona – ospitati negli spazi di palazzi storici ristrutturati con i materiali della tradizione architettonica locale, nel contesto di un antico borgo altoatesino in mezzo alle vigne e alle montagne, che si popola, per l’occasione, di appassionati, giornalisti e professionisti del vino, liberi di muoversi all’aria aperta, tra un cortile e l’altro, come in un “festival diffuso“. E’ evidente quanto la suggestione e il coinvolgimento, anche estetico ed emotivo, dei partecipanti, possano essere diversi rispetto alle anonime corsie delle fiere ospitate in capannoni di cemento armato.
Non tutti i produttori presenti sono biologici o biodinamici, ma questa “apertura” fa parte dello spirito di accoglienza e condivisione dell’evento, che non vuole essere il ritrovo di “una setta” di fanatici con la verità in tasca, ma un momento di confronto anche con chi, per il momento, opera diversamente, ma forse proprio qui troverà gli stimoli e le ragioni per la “conversione” (al bio). Alois Clemens Lageder, il figlio trentenne, che ha debuttato in azienda a Summa 2016, non ha problemi a riconoscere il criterio, anche umano, della selezione: “qualcuno ha condiviso un percorso, altri sono amici…”. Come dire: quello che conta è l’autenticità delle persone che fanno il vino e dei rapporti sociali, non tanto il “bollino”.
Nonostante Lageder sia stato nominato, nel 2016, presidente di Demeter (l’unico ente che certifica il biodinamico) non c’è infatti alcuna “discriminazione” nei confronti dei “convenzionali”. A ciascuno è riservato un tavolo sul quale poter esporre e far degustare le proprie bottiglie, raccontando la propria filosofia. A distanza di poche sale si possono trovare aziende come la Tenuta Mara di San Clemente (RN) – che diffonde la musica classica nelle vigne e i canti gregoriani in cantina – e OT l’azienda del dissacratorio Oliviero Toscani, che seppur in conversione non ha esaurito i suoi dubbi sulla possibilità di fare veramente biologico in alcune zone d’Italia: “come puoi fare il vino bio vicino all’autostrada – sbotta – dove passano migliaia di camion tutti i giorni?!“. Il riferimento ad una pregiata DOCG lombarda è piuttosto chiaro…
Parlare con gli espositori, qui a Summa, è sicuramente più facile che altrove e ti arricchisce non solo di nozioni tecniche, ma anche di storie umane. Incontriamo Zaure Rozmat, la fondatrice del magazine kazako The Steppe, che ci racconta del titanico progetto di recupero delle vigne abbandonate durante la disgregazione dell’Unione Sovietica, da parte di Zeinulla Kakimzhanov, il fondatore di Arba Wine, che, con l’aiuto di enologi italiani, vuole fare “uno dei migliori vini al mondo”, grazie alle caratteristiche climatiche e morfologiche uniche della zona pedemontana di Almaty. Parliamo anche con Roland Velich, il titolare dell’austriaca Weingut Moric, che il Wine & Spirit Magazine ha nominato per la quinta volta tra i 100 migliori produttori al mondo e che alla richiesta di raccontarci il suo “Burgenland“, risponde semplice con un sorriso: “è vino rosso“. Il resto lo devi sentire nel calice, senza tante parole. E poi ci sono tanti tedeschi innamorati dell’Italia e venuti a vivere e produrre vino nel nostro paese, non solo in Toscana. Uno di loro, Schubert, è invece andato a farlo in Nuova Zelanda, dove, mi spiega la responsabile marketing, “il biologico non è ancora capito”. Infine visito le cantine della tenuta Löwengang di Lageder, dove si sperimentano le “comete“, tecniche arcaiche o nuovissime, vendemmie in periodi non convenzionali, macerazioni degli interi grappoli in botte, tutto per capire come migliorare continuamente la qualità contrastando il problematico fenomeno dei “cambiamenti climatici“, che i viticoltori patiscono già oggi sul proprio business più che altre categorie.
Nelle descrizioni delle aziende sul book della manifestazione è abbastanza comune trovare definizioni come “anticonformista”, “pioniere”, “futurista“. Forse la cifra che unisce questi produttori, prima ancora del “bio” è quella di non accontentarsi del presente e di ciò che è main stream, ma voler continuare a cercare, a capire, a migliorare.
Andrea Gandiglio