Sardegna, terra di “sapere della mano” ed ecotessitrici
Artigianato batte industria. Il tessile in Sardegna è in agonia – così come la petrolchimica e altri settori industriali – gli operai sopravvissuti, ormai in via di estinzione, vivacchiano in cassa integrazione e la gran parte degli stabilimenti sono chiusi. Cattedrali nel deserto e un sogno d’industrializzazione ormai evaporato. Resistono, invece, i telai della tradizione e il “sapere della mano” (quello studiato dall’antropologo sardo Giulio Angioni) con memoria ancestrale e millenaria. Donne, ma recentemente pure uomini, che tessono in modo sostenibile e nonostante la crisi economica riescono a sopravvivere e conservare un artigianato che affonda le sue radici nella notte dei tempi. Anche se non si tratta di un vero e proprio business.
Una mappa ben documentata di questi antichi mestieri con visione da green economy è visibile in “Janas. Storie di donne, telai e tesori”, il documentario dei registi Giorgia Boldrini, Giulio Filippo Giunti, Stefano Massari nato dal progetto della designer Stefania Bandinu. La creativa sarda con residenza tra l’isola, Bologna e la Francia che si è messa alla guida del suo pulmino Volkswagen per un tour d’indagine conoscitivo tra donne e telai della Sardegna, accompagnata dalle musiche di Paolo Fresu, Paolo Angeli e Sonia Peana.
‘’Il Bisso è e deve rimanere Bene di Tutti come il mare’’: un manifesto per il bene comune, quindi per la sostenibilità, quello che leggiamo nelle parole di Chiara Vigo. Nata in una fredda sera del 1 febbraio 1955 a Calasetta, paese dell’isola di Sant’Antioco, in una famiglia di maestri dell’arte della sartoria. Nonni e bisnonni da cui ha ereditato la passione per la tessitura. Nonna Leonilde le ha trasmesso tutti i segreti per lavorare il Bisso – una fibra tessile conosciuta come la seta del mare che si ottiene dalla lavorazione dei filamenti del mollusco Pinna Nobilis – con un vero e proprio rito ancestrale: ‘’Il Giuramento dell’Acqua, i formulari che permettono le estrazioni di colore dalle piante e la lavorazione della fibra di Bisso’’. Quasi magia. Ma il lavoro del Maestro Vigo – preferisce essere definita al maschile l’unica tessitrice del Bisso oggi sopravvissuta – non è solo tradizione; ha studiato biologia marina e lavorato in un impianto di acquacoltura per acquisire le maggiori informazioni possibili sulla Pinna Nobilis Setacea. Massima dedizione per salvare una tradizione millenaria, tenace lotta ambientalista a tutela del Bisso dall’estinzione, minacciato dall’inquinamento e dalla pesca non regolamentata del mollusco da cui si estrae. I filamenti della Pinna Nobilis possiedono proprietà terapeutiche e vengono utilizzati dai pescatori per curare le ferite. Insomma un bene prezioso, a rischio di estinzione, tutto da tutelare. E per chi vuole saperne di più Chiara apre le porte del suo museo (a ingresso volutamente gratuito), dove racconta l’affascinante storia del Bisso.
Se Chiara Vigo tesse la seta del mare, Maria Corda quella di montagna. Stefania e Giorgia, le due ideatrici del documentario, l’hanno raggiunta nel suo laboratorio-museo-negozio di Orgosolo – il paese dipinto dai murales al centro dell’isola – nel forziere di ‘’Su Lionzu’’, il copricapo tradizionale che rende unico e originale il costume femminile del paese barbaricino. Come Chiara anche Maria trae un’utilità economica quasi insignificante dalla vendita del prodotto, ma dona alla comunità un fondamentale contributo alla tutela della biodiversità locale. La tessitrice, infatti, non si occupa solo di confezionare il velo ma di tutta la filiera, ad iniziare dall’allevamento dei bachi. Una tradizione importata ad Orgosolo nel 1600 grazie ai gesuiti ma con l’invasione dei prodotti industriali ormai quasi abbondata. Maria resiste, anche se negli ultimi due anni di copricapo “non ne ha venduto uno”.
Le biografie di Chiara Vigo e Maria Corda ci parlano dunque di sostenibilità ambientale, culturale e sociale, ma nelle loro esperienze manca però quella economica. Quel nesso che non ci permette di parlare di green economy in riferimento alle loro esperienze.
Ma altre tessitrici riescono a creare reddito con le loro produzioni. Il documentario Janas accompagna alla scoperta di numerosi casi. A iniziare dalla storia della cooperativa ‘’Su Marmuri’’ di Ulassai – borgo di soli 1.500 abitanti nella regione storica dell’Ogliastra – che da 40 anni offre una preziosa fonte di reddito alle donne del paese. Le industrie tessili hanno chiuso, mentre i telai della cooperativa sono sempre in azione. Puro artigianato con piccole innovazioni meccaniche, dove il lavoro è soprattutto quello del ‘’sapere della mano’’. In queste donne c’è la conservazione della memoria storica della tessitura tradizionale sarda, ma con l’apertura nello stile, nei segni e nei disegni alle esperienze artistiche contemporanee (hanno collaborato con l’artista Maria Lai e con la designer Carolina Melis). Come racconta la tessitrice Maria Serrau ‘’ vogliamo far venire qui i nostri clienti’’. E’ la filosofia del “tappeto a chilometri zero”, come confermano i dati: il 60% della produzione è venduta in loco. Ovvero la tessitura come attrattore per le altre risorse del paese e volano di un turismo sostenibile che si nutre di artigianato, gastronomia, monumenti culturali e paesaggio.
Abbiamo isolato tre storie, ma nel documentario sono molti di più i personaggi che svelano il loro approccio sostenibile alla tessitura e che oltre alla tutela della tradizione si aprono all’ innovazione per catturare ed offrire il gusto contemporaneo ai clienti. C’è Tonello Mulas, che prepara tinture naturali per colorare le sue creazioni; c’è Luciano Bonino che recupera stoffe e abiti antichi per rielaborare la tradizione; c’è Vilda Scanu specializzata in arazzi; c’è Isabella Frongia e la madre ultraottantenne Susanna con il loro antico telaio di famiglia. E c’è Stefania Bandinu che non solo ha ispirato il progetto realizzato da Giorgia Boldrini, ma nel suo viaggio tra donne, uomini e telai ha chiesto ed ottenuto dagli artigiani scampoli e campioni di tessuto. Una raccolta che lei ha ‘’riciclato’’ per la composizione dei suoi Bijoux, gioielli ecosostenibili.
Gian Basilio Nieddu