Po dei Laghi: un Masterplan per costruire il futuro
Si narra che lo scrittore francese Stendhal, di fronte ai capolavori dell’arte fiorentina, fu colpito da un’emozione tanto forte da portarlo quasi allo svenimento: la nota “Sindrome di Stendhal”. Penso di aver provato, più volte, una simile vertigine di fronte ai più bei paesaggi naturali che mi è capitato di vedere nel mondo, ma non mi era mai successo per un Masterplan! Sarà la mia natura da “svizzero” nato nel Paese del caos, ma vedendo armoniosamente condensata tanta analisi, pianificazione e riflessione ho provato la sensazione travolgente di trovarmi di fronte a un capolavoro. Forse perchè tocca il territorio in cui sono nato, ma anche perchè abbraccia un orizzonte temporale decennale, al quale la politica, le istituzioni e buona parte dell’imprenditoria (navigando a vista, senza progetti nè strategie ragionate, inchiodati alle trimestrali) ci hanno disabituati a pensare.
Il Masterplan del Po dei Laghi è stato presentato giovedì 20 ottobre al Museo di Scienze Naturali di Torino, e credo (e mi auguro) sia destinato a diventare un caso di studio nazionale. Si tratta di un progetto di certosina precisione per anticipare, in maniera lungimirante e intelligente, il momento in cui gli impianti di estrazione, di cui è costellata la provincia a Sud di Torino, esauriranno il periodo di concessione e torneranno ad appartenere al demanio. Ma cosa ne faranno i nuovi proprietari, quei Comuni che già oggi, traditi da uno Stato indebitato fino all’osso e da un federalismo fiscale incompiuto, non riescono più a far fronte nemmeno ai servizi di base al cittadino? Meglio pensarci per tempo – e per bene.
Per questo il Parco del Po Torinese (nella figura del suo illuminato direttore Ippolito Ostellino) ha commissionato agli architetti Giorgio Beltramo e Andrea Cavaliere dello studio Paicon e al Prof. Paolo Castelnovi del Politecnico di Torino, un masterplan per prefigurare le ipotesi di “riconnessione territoriale e paesaggistica” tra queste “isole” e valorizzarne le relazioni con il ricchissimo insieme di risorse culturali, ambientali, storiche, enogastronomiche e ricettive che già oggi caratterizzano questi territori.
Il Masterplan, spiega il Prof Castelnovi, più che un piano (nel senso normativo) è dunque ”un programma strategico di valorizzazione territoriale, paesaggistica e fruitiva“, fatto di livelli di dettaglio concentrici, che partono dal contesto ”macro” dell’area in oggetto e delle strategie di sviluppo regionale per arrivare a individuare il “micro”, ovvero dove posizionare il parcheggio delle biciclette perchè sia integrato, al meglio, con il traporto intermodale di quel Comune. In questo risiede la concretezza del progetto e la differenza tra un sogno ad occhi aperti e un percorso difficile, laborioso e complesso, ma assolutamente reale e perseguibile. Come dimostrano gli esempi europei di successo a cui i progettisti si sono ispirati, dal Parco Miribel Jonage di Lione agli interventi che, a partire dal Dopoguerra, hanno reso la regione tedesca della Ruhr un caso di studio internazionale. “Lungo il Reno – racconta Giorgio Beltramo – sono stato colpito da un’alternanza incredibile tra cave di estrazione e enclave di stupenda naturalità, dove l’ambiente e il paesaggio convivono con strutture di ricezione progettate e costruite intelligentemente, nel rispetto delle regole“.
Come ha ricordato, del resto, con un felice parallelismo, l’assessore alla Cultura e al Turismo della Provincia di Torino, Ugo Perone, durante il suo intervento in sala (partecipato e non “di rito”), “non salveremo la cultura con la cultura, ma nemmeno con il mecenatismo. La salveremo solo facendo capire come la cultura e l’ambiente siano ottime opportunità di sviluppo“. Basta cioè con l’intelletualismo ripiegato su se stesso, ma anche con il vetero-ambientalismo che vede la tutela del patrimonio naturale in forma “museale”, come un valore fine a se stesso, e largo invece a una forma di collaborazione pubblico-privato che sappia fondere l’interesse collettivo (doverosamente rappresentato dal primo) con le capacità propositive, manageriali e la disponibilità di capitali indubbiamente più presenti nel mondo delle imprese.
La parola d’ordine è “fruizione“. Un’area naturale abbandondata che non sia riconnessa al proprio territorio e ai suoi fruitori, infatti, non solo è morta, ma rischia di diventare presto luogo di degrado e di discariche abusive. Per questo la collaborazione virtuosa avviata con i cavatori di Unimin – un tempo incubo di ogni ambientalista – è stata e sarà determinante. “I cavatori – fa notare Castelnovi – sono tra i pochi imprenditori che ragionano su un arco di tempo lunghissimo, intergenerazionale“. “E poi, banalmente, hanno i mezzi e le capacità per realizzare grandi interventi praticamente a costo zero, quando invece un Comune dovrebbe attivare un laborioso e dispendiosissimo iter di assegnazione dei lavori, che non sempre potrebbe permettersi”. Molte di queste cave hanno già iniziato un percorso di recupero ambientale, ma ora si tratta di coordinare gli sforzi e i progetti pensandone un’integrazione con l’offerta turistica, culturale ed enogastronomica locale, secondo il concetto di greenways, i percorsi di fruizione del territorio capaci di andare oltre la mera pista ciclabile, il singolo mercatino di prossimità e la visita alla Reggia sabauda, che da soli non riusciranno mai ad attirare il turista straniero.
Messe “a sistema” queste risorse avranno invece la capacità di generare sviluppo sostenibile, a partire dal turismo di prossimità (o del tempo libero), garantito dalla vicinanza di quest’area con la città di Torino, per arrivare a intercettare la richiesta – in continua crescita, precisa Daniela Broglio, responsabile Accoglienza e Sviluppo Territoriale di Turismo Torino - del turismo “en plein air” e del glamping (la nuova frontiera del camping glamour, praticato per scelta di vita e non per mancanza di budget), che già oggi muovono numeri importanti dal Nord Europa e “rubano” quote di mercato significative al turismo culturale tradizionale.
Cultura & Natura sono dunque destinate, secondo il Masterplan, a ritrovarsi lungo l’asse del Po, l’elemento distintivo che il marketing territoriale di Po Confluenze Nord Ovest e di ATL, dovrà saper comunicare come la risorsa naturale, culturale, turistica e sportiva che può accompagnare il viaggio del turista sostenibile attraverso un territorio che, secondo Paolo Castelnovi, è forse uno dei più tipicamente piemontesi, nel senso letterale di luogo dove emerge con forza il rapporto tra la montagna e la pianura.
Tutto sta nella capacità di “fare squadra” e progettare responsabilmente il futuro, doti non propriamente italiane, ma che il periodo di crisi e i rivolgimenti epocali che ne seguiranno potrebbero incentivare. Dopo aver coinvolto, con esiti non sempre fortunati, tutti i livelli della pubblica amministrazione locale, i cittadini più lungimiranti, i cavatori, le associazioni sportive e giovanili e gli albergatori, ora la sfida dei promotori del Masterplan è coinvolgere gli agricoltori, i “guardiani del paesaggio agricolo”, che da un progetto di questa portata potrebbero ricavare eccezionali opportunità di integrazione al reddito – dalle forme di ricettività agrituristica, alle fattorie didattiche, alla vendita diretta dei propri prodotti. Senza dover sempre attendere la mano caritatevole della PAC dal cielo stellato dell’Unione Europea.
Andrea Gandiglio