In visita all’Europlant di Mijdrecht. Le “green choices” di SC Johnson
Un boomerang, che ricorda, in positivo, come le buone azioni “ti tornino indietro”. Inizia da questo edificio-simbolo dell’architetto Huig Maaskant, divenuto monumento nazionale, la nostra visita all’Europlant di SC Johnson (ex Johnson Wax), lo stabilimento di Mijdrecht, in Olanda, dal quale, dal 1964, escono prodotti di largo consumo per la casa degli europei, come Stira & Ammira, Anitra WC, Mr. Muscolo, Glade, Oust, Pronto Legno e molti altri. Una multinazionale “famigliare” alla quinta generazione, con 128 anni di storia (fondata a Racine, nel Wisconsin nel 1886), che oggi fattura 9 miliardi di dollari e impiega 13.000 persone in 70 paesi del mondo.
Ci accompagnano nel tour alcuni dei top manager dell’azienda: Sander Molkenboer, direttore dello stabilimento, Stef Spaans, responsabile sicurezza, salute e ambiente, Clint Filipowicz, direttore di produzione per il mercato EMEA e Jam Stewart, la direttrice americana dei Public Affairs. Spaans racconta come, prima delle bonifiche, quella piana in cui sorge lo stabilimento, fosse inondata dal mare, fino all’altezza del tetto del “Boomerang”, che ne ricorda il livello (5 metri da terra). L’acqua abbonda comunque ancora nel sito, tanto che il laghetto è alimentato da 16 sorgenti naturali che garantiscono la sicurezza antincendio. Mentre da anni non sono più in uso i sistemi di scarico, grazie a un ingegnoso processo che consente di riciclare le acque utilizzate nelle lavorazioni. “Quando terminiamo la produzione di un prodotto in una cisterna – spiega Spaans – invece di smaltire l’acqua del lavaggio, con i residui del prodotto, la stocchiamo in un’altra vasca, dove verrà recuperata nel ciclo di produzione successivo. L’acqua è infatti parte della ricetta di qualsiasi prodotto, così come sono parte del prodotto specifico gli altri ingredienti, che in questo modo vengono recuperati senza sprechi.”
Europlant, da oltre un decennio, è uno degli 8 siti produttivi a “discarica a zero” della SC Johnson. Gli operai, con l’aiuto di un robot, assicurano che i materiali di scarto e di imballaggio siano separati durante tutto il processo produttivo per essere riutilizzati o riciclati. In questo modo la stabilimento ha riciclato quasi 800 tonnellate di rifiuti nell’ultimo anno. La perizia con cui il braccio meccanico (uno di quelli che siamo abituati a vedere nelle catene di montaggio dell’automotive) apre, svuota, piega e separa gli scatoloni di cartone è impressionante. E consente ai 275 dipendenti dell’impianto super-automatizzato (pochissimi per un hub di 300 mila mq., attivo 24 ore, dove si producono un milione di pezzi al giorno), di concentrarsi sulle attività dove la presenza umana ha maggiore valore.
In aggiunta, le forniture per il packaging viaggiano praticamente a “km. 0″. Subito fuori dallo stabilimento, nella stessa area industriale, ha sede il fornitore dei contenitori di plastica (sempre più sottili e alleggeriti, per risparmiare materia prima), mentre attraversando il boschetto aziendale (dove ciascuno può dare il proprio contributo da “giardiniere”, per compensare le emissioni di Co2) ci si imbatte nel trenino elettrico che collega il confinante stabilimento della Crown, il fornitore delle bombolette. Il trenino è mosso dall’energia della pala eolica di 80 m., che copre il 52% del fabbisogno dell’intera produzione. Unico neo – che richiama gli iter burocratici italiani più che olandesi – i tempi di autorizzazione pubblica per raggiungere questo risultato: per installare e rendere funzionante la turbina ci sono voluti 8 anni, mi confessa, con stoico spirito di sopportazione e senza polemiche, uno dei manager.
Le bombolette spray, consegnate direttamente nel magazzino, passano poi al riempimento, dove le attende una tecnologia ad aria compressa che ha consentito di ridurre significativamente i composti organici volatili. Per la sola produzione del deodorante Glade, questa tecnologia – lanciata proprio nello stabilimento europeo e poi diffusa a livello mondiale - ha consentito la riduzione di 10 tonnellate di LPG (liquid petroleum gas) sulla produzione europea.
Ma cosa contengono questi flaconi e queste bombolette? Alcuni prodotti partono da ingredienti naturali, ma la SC Johnson non rinnega la propria appartenenza all’industria “chimica”, né intende competere con chi realizza prodotti 100% naturali. Il punto, mi spiega il direttore di produzione, è realizzare “prodotti di livello qualitativo e ambientale sempre più alto”, in un continuo work in progress. Quest’ambizione non sarà forse sufficiente per rientrare, propriamente, tra le eccellenze della green economy, ma sicuramente posiziona l’azienda nella fascia alta di quelle che, concretamente, contribuiscono a ridurre l’impatto ambientale – grazie anche all’incidenza dei numeri di produzione.
Dal 2001 anche gli ingredienti sono comunque classificati in una “Green list”, ovvero un processo di selezione sulla base delle caratteristiche di sostenibilità ambientale e impatto sulla salute umana. Ogni potenziale ingrediente (ad oggi il 95% di questi) viene classificato come “Migliore”, “Buono”, “Accettabile” o livello 0. Un ingrediente con una classificazione pari a 3 viene considerato “Migliore”, 2 equivale a “Buono”, 1 ad “Accettabile”, mentre i materiali di “livello zero” vengono utilizzati, dietro approvazione, solo su base limitata o quando non è disponibile alcuna alternativa. In sostanza quando i ricercatori di SC Johnson creano un nuovo prodotto si impegnano per selezionare le materie prime con la classificazione “Buono” o “Migliore”, mentre se i prodotti esistenti vengono riformulati, i ricercatori devono includere ingredienti con valutazioni pari o superiori a quelli della formula originale. Portare al 58% l’utilizzo di ingredienti con una classificazione “Buono” o “Migliore” è l’obiettivo della Greenlist entro il 2016.
Con questo processo brevettato SC Johnson ha già ottenuto alcuni buoni risultati, eliminando, ad esempio, dalle confezioni il PVC, evitando le confezioni con cartone sbiancato tramite cloro (che può causare contaminazioni dell’aria e delle acque), o, ancora, riformulando il detergente per superfici Pledge per aumentarne la biodegradabilità e ridurre i VOC – aumentando al tempo stesso l’efficacia di pulizia. Un processo che dimostra come competitività internazionale e sostenibilità ambientale non siano assolutamente in contrasto, a patto di investire in ricerca, innovazione e nuovi modelli di business.
Andrea Gandiglio