Cadore, patria dei “Comuni antitransgenici”
In principio fu Calalzo di Cadore, poi Ponte nelle Alpi e Feltre. Sono queste le prime tre amministrazioni locali venete che si sono dichiarate “Comuni antitransgenici” sollecitate dalla campagna “ZERO OGM – Cibo sano per tutti” iniziata a febbraio dal gruppo bellunese “Coltivare condividendo” con la partecipazione di associazioni ambientaliste, tra cui Aiab Veneto, agricoltori e cittadini. Oggi primo cittadino di Calalzo, Luca De Carlo, porterà la proposta di delibera nella seduta della Comunità Montana del Centro Cadore dove con lui siedono i rappresentanti di altri otto comuni cadorini. E molte altre sono le amministrazioni del Bellunese che stanno valutando, incalzate dai propri concittadini, la bozza di delibera proposta dal movimento.
«Per noi è una battaglia fondamentale – commenta il sindaco di Calalzo che ha adottato il provvedimento di giunta il 29 gennaio – L’agricoltura di montagna sopravvive solo se è di nicchia, solo se ha alle spalle secoli di storia e tradizioni colturali e culturali. Contaminare con semi OGM le nostre terre sarebbe una follia, perderemmo le nostre peculiarità. Noi siamo piccoli grandi custodi delle tante biodiversità che abbiamo nel territorio. Dire “no agli Ogm” è un’azione di autodifesa». La delibera riprende in toto la bozza che “Coltivare condividendo” invita a scaricare dal blog e proporre ai propri sindaci. Partendo dal concetto di precauzione, che secondo gli estensori non viene garantito dalle attuali procedure autorizzative degli OGM, tocca anche la nuova Politica Agricola Comune che punta al rispetto agroambientale e alla produzione di alimenti di alta qualità nutritiva.
Il battagliero sindaco cadorino, che ha recentemente anche promosso l’uso dei pannolini ecologici lavabili tra i neogenitori del paese, ci tiene a precisare che non si tratta di una dichiarazione di principio. Ora come ora, ad appalti già aggiudicati, il comune nel provvedimento di giunta ha solamente “invitato” le aziende fornitrici delle mense locali a non utilizzare alimenti contenenti OGM, ma per le prossime gare non ci sono dubbi: «sarà titolo preferenziale l’uso di alimenti OGM free», chiosa De Carlo.
Nelle prossime settimane la piccola cittadina di Calalzo, come gli altri due “Comuni antitransgenici”, sarà oggetto di varie iniziative per diffondere i temi della biodiversità e della tutela delle produzioni locali. A fine mese l’incontro con l’autore di Capra & cavoli, il giornalista Franco Poggianti, mentre venerdì 7 marzo alle 20.30 in sala consiliare la presentazione dell’adesione del comune alla campagna “ZERO OGM” e uno scambio di sementi antiche autoprodotte, roccaforte della lotta ai semi globalizzati su cui le ditte sementiere hanno posto brevetti.
Secondo la Cooperativa agricola El Tamiso, caposcuola dell’agricoltura bio in Veneto che ha aderito e sostenuto la campagna – e che poche settimane fa si è dimessa da Confagricoltura in polemica proprio per la politica dell’associazione nazionale a favore “dell’opzione transgenica” – il nocciolo della discussione sugli OGM non è più soltanto il rischio per la salute e per la contaminazione di coltivazione biologiche e tradizionali, «bensì proprio la brevettazione e il conseguente controllo totale, legale e commerciale, dell’accesso al cibo» che minaccerebbe la sovranità alimentare.
Le sementi autoprodotte non possono essere infatti commercializzate e lo scambio di semi autoctoni è l’unica forma di “ribellione” alla standardizzazione varietale per piccoli coltivatori, agricoltori biologici, vivaisti e, perché no, patiti dell’orto fai-da-te. Almeno per il momento. A fine gennaio la Commissione Ambiente del Parlamento Europeo ha bocciato la proposta del Plant Reproductive Material Law sul materiale riproduttivo vegetale che vieterebbe lo scambio di semi tra piccoli produttori, ma ora la parola passerà alla Commissione Agricoltura. Ci si metta pure che ad aprile è attesa la sentenza del TAR che deciderà se far decadere il decreto ministeriale del 12 luglio 2013 con cui il Ministero della Salute, di concerto con i colleghi di Politiche Agricole e Ambiente, aveva vietato sul suolo nazionale la coltivazione di varietà di mais geneticamente modificato MON 810, e si capisce come il livello di attenzione per il dibattito sugli organismi geneticamente modificati sia decisamente alto, complici molte debolezze nelle procedure comunitarie, vuoti normativi nazionali e ingenti interessi economici.
Tiziano Fantinel, leader di “Coltivare condividendo”, è convinto però che la miglior strategia sia proprio quella dal basso, tra la gente. A febbraio la campagna “ZERO OGM”, ripresa da una precedente del Coordinamento per la biodiversità del vicino Friuli Venezia Giulia dove i comuni dichiaratisi “antitransgenici” sono nove, ha coinvolto oltre cento comuni veneti e italiani. Decine di migliaia i volantini distribuiti di fronte a supermercati, scuole, piazze, mercati rionali, molte le serate informative con docenti e ricercatori universitari sul territorio e una evidente e netta opposizione agli OGM da parte della stragrande maggioranza dei cittadini incontrati.
«Dobbiamo recuperare il senso del produrre cibo che non è una semplice merce. Come ci alimentiamo è fondamentale per la nostra salute – commenta Fantinel – anche nei Programmi di Sviluppo Rurale dobbiamo premiare chi salva la biodiversità e pensa alla fertilità del suolo. C’è differenza tra chi coltiva e chi fa agroindustria, il primo agricoltore produce cibo, il secondo merce. Le mostre di semi autoctoni che organizziamo servono a far capire la ricchezza varietale esistente. Vedendo sul tavolo molte varietà di mais si percepisce concretamente l’ampia possibilità di scelta che la biodiversità offre. Il passo successivo è individuare filiere commerciali senza OGM e promuoverle tra i consumatori: fare la spesa vale quanto votare!».
Travalicando le appartenenze di partito, “ZERO OGM” ha visto il plauso di molti amministratori e politici locali, in primis il presidente del Veneto Luca Zaia, il consigliere regionale democratico Graziano Azzalin, l’eurodeputato Andrea Zanoni, fino a Ermete Realacci, presidente della Commissione Ambiente della Camera.
Cristallina la posizione di Zaia, già ministro delle politiche agricole, che alla vigilia dell’iniziativa ha inviato a Fantinel una lettera di sostegno definendola “una campagna di civiltà per tutti”. Vi si legge: «Chi invoca la libertà per giustificare il sopruso di coltivarli (gli OGM, ndr) non è un idealista ma semplicemente un interessato, che sa bene come ogni falla che apra agli OGM è un passo in più per giustificarli dicendo “tanto ci sono già”. Io dico che la collettività ha tutto da perderci nel breve e nel lungo periodo».
Decisamente poco coraggiosa, di contro, la presidente del Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani che, pur dicendosi “contraria a qualsiasi coltura Ogm”, fa appello alle lacune nella normativa nazionale e comunitaria. La Serracchiani aveva già destato scalpore tra le associazioni ambientaliste (spesso vicine alla sinistra) disattendendo il decreto ministeriale del luglio scorso e predisponendo un regolamento regionale di coesistenza tra Ogm e colture convenzionali e biologiche. Dopo un acceso botta e risposta con l’allora ministro Orlando, la recente procedura europea di infrazione nei confronti dell’Italia in materia di legislazione sulle colture geneticamente modificate pare ora darle “tecnicamente” ragione, ma la questione, per gli ambientalisti, non è chiusa.
E se il Veneto è stata la prima regione italiana a istituire una task force anti OGM, potrebbe essere la Valle d’Aosta la prima regione OGM free d’Italia. La giunta regionale valdostana, con l’intento di garantire l’integrità delle colture convenzionali e, soprattutto, dei prodotti enogastronomici locali e a marchio DOP e IGP, ha infatti approvato il 21 febbraio un disegno di legge che, se approvato dal Consiglio, vieterebbe l’uso di OGM nelle colture sul territorio regionale. Ma anche in questo caso, l’ultima parola spetterà all’Unione Europea. Con buona pace della sovranità alimentare e territoriale.
Alessandra Sgarbossa