Biometano: il cavillo che blocca lo sviluppo italiano del biogas
La Lombardia è la regione italiana in cui, dato l’elevato numero di allevamenti, ci sono più impianti a biogas che, grazie ai cosiddetti digestori, usano le deiezioni animali, integrate con gli scarti agricoli e i sottoprodotti delle colture, per produrre elettricità. L’uso dei reflui zootecnici per l’energia, inoltre, aiuta a non disperderli nel terreno, diminuendo il pericolo di inquinamento delle falde freatiche e consentendo, al tempo stesso, alle aziende di usare o rivendere l’energia prodotta. E proprio a Cremona inizia oggi BioEnergy Italy, un’occasione per presentare le ultime novità tecnologiche e fare il punto sulla situazione italiana della produzione di biogas e sulla questione, ancora aperta, del bioemetano.
“Ogni volta che in Italia parliamo del biometano – dice Alex Dalpiaz di MT-Energie Italia, una delle imprese leader nel settore del biogas – notiamo sempre un grande interesse da parte delle aziende. Purtroppo, però, sono gli incentivi e la legislazione che mancano: in Italia non è possibile immettere in rete il biometano e trasportarlo dove può essere pienamente sfruttato. Ed è un vero peccato perché, con la sola eccezione della Sardegna in cui c’è qualche problema, la rete di distribuzione in Italia sarebbe già adatta alla diffusione del biometano che, immesso in rete da una piccola azienda agricola, ad esempio, potrebbe essere utilizzato lontano dall’area in cui è stato prodotto, a beneficio di un’area industriale o di un complesso condominiale in città”.
In Germania le cose vanno in modo diverso: “Ci sono circa 110 gli impianti che raffinano il biogas ottenendo il biometano e immettendolo in rete. Qui una legge molto chiara sulla immissione in rete e sulla distribuzione ha permesso di creare un mercato in cui i gestori investono. Esiste una banca dati dei prelievi di biometano per la produzione di energia elettrica.” I tedeschi, grazie ad impianti di cogenerazione, usano il biometano anche per il riscaldamento fuori dal luogo in cui viene prodotto, e non solo per l’elettricità. Cosa che non avviene in Italia, in cui viene dispersa una delle potenzialità del biogas”. Scindere il luogo di utilizzo da quello di produzione, continua Dalpiaz, “permette di sfruttare appieno le possibilità del biometano”.
Oggi a Cremona Dalpiaz prenderà parte a due forum tecnici gratuiti rivolti ad aziende zootecniche ed agricole per illustrate i vantaggi della produzione di biogas e di biometano presentando alcune novità tecnologiche messe a punto dalla MT-Energie la cui casa madre è proprio in Germania, a Zeven, nella Bassa Sassonia. Il gruppo è attivo in tutta Europa e, dal 1995 ad oggi, ha progettato e realizzato in vari Paesi (Germania, Italia, Inghilterra, Ungheria, Repubblica Ceca, Lettonia) oltre 550 impianti di biogas di taglia compresa tra i 100 kW e 2,4 MW di potenza elettrica. Gli impianti italiani sono 43, per un totale di 35,5 MWe di potenza installata. Questa mattina MT presenterà un sistema di raffinazione del biogas per ottenere il biometano che utilizza speciali membrane. “Usiamo tutt’ora il metodo classico del lavaggio amminico. E’ un procedimento di tipo chimico che permette di scindere le molecole di anidride carbonica (CO2) da quelle di metano (CH4). Il biogas, infatti, si presenta come una miscela composta da anidride carbonica, metano e, in minima parte, da ossigeno e azoto. La soluzione amminica, tuttavia, deve essere rigenerata con un trattamento termico che è la parte più dispendiosa. E in Francia, ad esempio, è una tecnologia che non regge il confronto perché l’energia elettrica costa poco. La soluzione a membrane, invece, usa l’energia elettrica per funzionare e, quindi, diventa più appetibile in Francia e nei Paesi in cui l’energia elettrica ha un prezzo basso. Le membrane sintetiche, che lavorano ad una pressione di 8 atmosfere, hanno una diversa affinità con i differenti gas, trattengono soltanto alcune molecole e ne rilasciano altre. Sono dunque impermeabili alle molecole di metano, che trattengono, mentre lasciano passare le molecole di anidride carbonica che, alla fine del processo, sono rilasciate in atmosfera”. L’immissione in atmosfera è a saldo zero, spiega Dalpiaz: “si tratta di molecole che, mediante la fotosintesi clorofilliana, erano già state assorbite dall’atmosfera da parte delle biomasse e che vengono poi rilasciate, ma in misura ridotta, per effetto del processo di fermentazione e di digestione operato dai batteri”.
Le novità legislative italiane incentivano comunque l’uso degli scarti agricoli. Il decreto sulle energie rinnovabili non fotovoltaiche del 6 Luglio 2012 favorisce infatti i sottoprodotti di origine biologica: bucce di pomodoro, scarti di cipolle e patate, sansa di oliva, melasso o polpa di barbabietole esauste e residui di ortofrutta diventano risorsa e possono essere reimpiegate in ulteriori processi produttivi. “E’ la cosa più sensata, ed è la strada da seguire: sfruttare gli scarti meno nobili anche di coltivazioni, per così dire, più ricche, come viticoltura, frutticoltura. Questo rende accessibili gli impianti a biogas anche in regioni in cui, per caratteristiche agricole e morfologiche, non si coltiva mais e gli spazi sono più stretti. Penso alle valli trentine anziché alla pianura padana, o a certe zone della Toscana ma anche della Campania e della Sardegna dove a breve installeremo nuovi impianti. Anche quelli, però con novità tecnologiche che presenteremo oggi, pensate proprio per questo tipo di colture e per impianti più piccoli: è il caso del nostro impianto MT Mixbox, in grado di miscelare la parte liquida e quella solida, riducendo i tempi di miscelazione e,quindi, i costi ma in grado di separare anche pietre o corpi estranei che potrebbero danneggiare le pompe dell’impianto”.
Rimane il rammarico di non poter realizzare in Italia – almeno per adesso – gli impianti per il biometano. Eppure, anche se a grande distanza dalla Germania, dove ci sono circa 7.000 impianti a biogas, l’Italia è al secondo posto: stando a una recente ricerca presentata a Milano dall’Osservatorio Agroenergia 2013, la filiera italiana del biogas (composta a fine 2012 da 850 impianti in funzione, con un fatturato complessivo di 2,5 miliardi di euro) ha un potenziale di produzione annuo di 5,6 miliardi di metri cubi di combustibile verde, la metà della produzione nazionale di gas. Un punto da cui si potrebbe partire per ridurre la nostra dipendenza energetica, che ci impone di importare ogni anno 70 miliardi di metri cubi di gas metano.
Andrea Marchetti