Design per la sostenibilità
Nel contesto del Congresso Nazionale di Bioedilizia, organizzato da Environment Park a Torino, si è svolto, giovedì 8 ottobre, il forum ”Eco-design“, moderato da Laura Milani, direttore dello IAAD (Istituto d’Arte Applicata e Design), e incentrato sull’idea che il design della sostenibilità debba essere il prodotto di un dialogo tra diverse discipline.
Un’interazione ben rappresentata dai relatori presenti. I fratelli Davide e Gabriele Adriano (Adriano Design) hanno fornito una curiosa case history con la linea “Takaje”. In collaborazione con la storica azienda del Canavese Tre Spade, i due designer hanno infatti ideato un prodotto che, per mezzo di una semplice valvola, permette di trasformare qualsiasi barattolo in un sottovuoto. Si tratta, nella loro definizione, di un design “simbiotico” dove il nuovo oggetto restituisce la vita ad un altro che diversamente finirebbe tra i rifiuti.
La praticità è al centro anche dell’idea di Gianluca Soldi, creatore di Ovetto. L’esigenza di coniugare design, solidarietà sociale e funzionalità prende forma in un cassonetto per la raccolta differenziata a misura d’uomo. La forma compatta, i colori degli scomparti che riprendono quelli dei cassonetti, trasforma Ovetto in un mezzo educativo che, grazie all’aspetto gradevole, rende divertente la raccolta differenziata.
Come sottolinea Roberta Novelli, docente di Design dei processi sostenibili allo IAAD, il famoso passaggio dal consumatore al consum-attore ha spinto la progettazione sostenibile ad andare al di là dell’utilizzo dei meri materiali. Prodotti come Ovetto e Takaje sono il risultato di un’indagine multidisciplinare che ha conferito ai prodotti un valore aggiunto: la tecnologia incontra l’estetica e l’etica per disconoscere, una volta per tutte, la filosofia dell’usa e getta.
Il trend dell’eco-friendly viaggia però su un binario pericoloso. Marco Cappellini, Presidente di CAPPELLINI Design & Consulting (MATREC), ricorda con un’illuminante vignetta che spesso il miglior modo di adeguarsi al green thinking è semplicemente quello di ridurre i consumi. Come dire: meglio produrre rifiuti eco o produrre meno rifiuti?
La diatriba è quanto mai attuale in un momento in cui il temuto consumattore, muovendosi alla ricerca di prodotti “verdi”, incontra la risposta delle aziende, ormai consapevoli del facile profitto. L’eco vende, piace e conferisce un’immagine positiva anche ai prodotti banali. Secondo studi come Terra Choice, tuttavia, sono sempre di più le imprese che si fregiano impropriamente di un marchio ambientale: si tratta dell’ormai noto greenwashing, fenomeno che sembra poter essere arginato solamente da normative chiare che non lascino spazio all’eco-marketing di facciata.
La prospettiva fornita da Nicola Perullo, docente di estetica all’università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, ripresenta la triade design-prodotto-sostenibilità sotto una nuova luce. Perullo sottolinea come i designer tendano molto spesso a considerare l’elemento cibo come un oggetto tra i molti, dimenticando quanto questo giochi un ruolo del tutto particolare. Quello che potremmo chiamare con un neologismo l’eco-food-design, tanto per cominciare, non richiede tecnologie: il nuovo trend vede protagoniste la carota, l’uovo, l’insalata che, dal produttore, arrivano sulla tavola fresche della bellezza del prodotto genuino. Resta l’annosa questione: meglio un biologico importato o un convenzionale sotto casa? Verrebbe da dire: “meglio il biologico sotto casa”.
Il workshop si chiude con l’intervento di Gianluca Buzzegoli, responsabile Marketing di Fonti Vinadio, che presenta la nuova Bio Bottle di Sant’Anna, realizzata con gli scarti di mais. Un claim accattivante (“L’unica al mondo che sparisce in 80 giorni”), promette, tappo a parte, una bottiglia completamente riciclabile chimicamente. Un prodotto dunque doppiamente green, se dallo smaltimento si ricavano nuove bottiglie. Il costo di produzione resta tuttavia ancora un inconveniente.
Ilaria Burgassi