SISTRI sempre più facoltativo. E’vera “semplificazione”?
La vicenda del SISTRI, nato nel 2009 dopo una non breve e non facile gestazione nell’ambito del più ampio processo di innovazione e modernizzazione della Pubblica Amministrazione, si arricchisce di nuovo tassello. La specifica (e ambiziosa) ragione della sua creazione era permettere l’informatizzazione – con l’introduzione di un sistema di controllo della tracciabilità - dell’intera filiera dei rifiuti speciali a livello nazionale e dei rifiuti urbani per la Regione Campania. Ora, il 24 aprile il Ministero dell’Ambiente ha emanato il primo decreto semplificativo del SISTRI, che ha reso facoltativa l’iscrizione al sistema di tracciabilità dei rifiuti per una categoria più ampia di aziende produttrici di rifiuti speciali pericolosi. In particolare il decreto 126/2014, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 99 del 30 aprile ed in vigore dal giorno successivo, stabilisce la non obbligatorietà dell’iscrizione per i produttori iniziali di rifiuti pericolosi con meno di 10 dipendenti e che esercitino le loro attività nei settori industriale, artigianale, commerciale, sanitario e dei servizi, escludendo altresì gli enti e le imprese di cui all’art. 2135 del codice civile, indipendentemente dal numero di dipendenti, che conferiscano i propri rifiuti nell’ambito dei circuiti organizzati di raccolta. Come espressamente indicato nel testo normativo, l’esclusione riguarda anche il settore agro-alimentare. Questo primo decreto arriva dopo un lungo periodo di dibattito fra le associazioni di categoria e il governo: dibattito iniziato anni fa, col primo decreto SISTRI, ma che negli ultimi mesi, stante l’avvio della definitiva (?) operatività e l’avvicinarsi dell’applicabilità delle sanzioni, si è fatto più acceso.
Dal 3 marzo, infatti, il SISTRI è entrato in vigore per tutti i soggetti obbligati, con una proroga ulteriore rispetto alle sanzioni, che entreranno in vigore solo a gennaio 2015 grazie al decreto Milleproroghe convertito con la legge 15/2014. Già in passato, peraltro, la lunga serie di proroghe ha determinato significativi problemi di applicazione per alcune fattispecie di reato e le conseguenti sanzioni tanto che, a dimostrazione della complicatezza del quadro, non sono mancate le pronunce della Corte di Cassazione.
La scelta del Ministero dell’Ambiente, sentiti i ministeri dello Sviluppo Economico e delle Infrastrutture e Trasporti, di allargare il novero di aziende escluse dall’obbligo dell’iscrizione certamente va incontro alle numerose e giustificate richieste di semplificazione del sistema, e di riduzione dei costi gravanti sulle aziende. Ma non basta, perché sin dall’inizio sono emerse criticità nell’utilizzo del sistema informatico di tracciabilità dei rifiuti: difficoltà tecniche anche nelle prime prove di connessione, a cui avrebbero dovuto dare risposta improbabili call center; difficoltà, soprattutto per le piccole e medie aziende, di adeguarsi ad un sistema di registrazione dei rifiuti completamente diverso da quello utilizzato fino ad ora; i costi connessi con questa operazione quali l’adeguamento software, l’acquisto di nuove attrezzature, la formazione del personale e in alcuni casi, la necessità di dedicare qualcuno solo ed esclusivamente allo svolgimento di tali mansioni.
Che si possa ritornare indietro ed eliminare completamente il SISTRI non è pensabile: il nostro Paese ha l’obbligo, derivante da disposizioni comunitarie, di dotarsi di un sistema di tracciabilità dei rifiuti efficace, e di un sistema sanzionatorio egualmente efficace e proporzionato. Ma, e la cosa è sotto gli occhi di tutti, è difficile non convenire che il SISTRI, almeno così come è stato pensato fino ad ora, sia stato in grandissima parte un’esperienza fallimentare. Il decreto ministeriale dello scorso 24 aprile va nella direzione giusta, ma occorre fare alcune riflessioni.
Intanto continuare a basare il sistema sulle proroghe non fa bene a nessuno. Innanzitutto perché non si raggiunge lo scopo per cui il SISTRI è stato ideato, vale a dire il monitoraggio dei rifiuti e quindi la loro tracciabilità, e poi perché si crea un “doppio sistema” tra chi si è iscritto, pagando e non avendo al contempo alcun tipo di servizio (o comunque di “controprestazione” da parte dello Stato) e chi, pur essendo obbligato, non si è iscritto ma, stante la proroga del regime sanzionatorio, non è soggetto ad alcun tipo di sanzione. In questo caso, a che titolo lo Stato ha percepito i contributi versati per gli anni passati? Una soluzione a questo spinoso problema potrebbe essere quella di accreditare tali somme sui contributi per gli anni a venire, anche se rimarrebbe il problema delle somme che di fatto sono state bloccate.
Stesso discorso per le black box: i trasportatori hanno destinato somme anche ingenti per il montaggio dei dispositivi per un sistema prorogato di anno in anno. E in tempi di crisi come questi, bloccare delle somme per le aziende significa non poterle destinare a rinnovare il parco mezzi, nei casi migliori, a pagare fornitori, nei peggiori. Tra l’altro, con riferimento agli iscritti “facoltativi”, sarebbe opportuno verificare in futuro, quanti avranno optato per l’adesione al sistema. Insomma, nonostante l’evidente buona volontà, dubbi e criticità rimangono comunque molti.
Il decreto 126/2014 prevede anche un’altra novità che riguarda il trasporto intermodale: il termine di durata massima del deposito temporaneo è ridotto da 45 a 30 giorni. È evidente che l’accorciamento dei termini di durata massima potrebbe avere delle conseguenze serie per gli operatori del settore: è bene tener presente che, nel caso di superamento del termine, scatta la responsabilità per gestione illecita di rifiuti, dovendosi qualificare il fatto non come un generico deposito temporaneo fuori termine ma come il più grave caso di stoccaggio non autorizzato.
Più in generale, resta vero che i margini di miglioramento non mancano – e non mancheranno nuovi decreti e circolari – è altrettanto vero che il SISTRI è che diventato un acronimo molto noto tanto da divenire bersaglio, come avverte anche il sito ufficiale, di phishing. Vale a dire l’invio (copioso) di messaggi di posta elettronica che in apparenza sembrano provenire dal dominio di posta del SISTRI ma che in realtà sono messaggi “civetta” inviati da malintenzionati per attuare delle truffe informatiche.
Mariagrazia Chianura* e Antonio Sileo**
*Avvocato
** Ricercatore IEFE-Bocconi @ilFrancotirator