Poligoni militari, la lotta ambientale parte dalla Sardegna
“Baxeisindi”. E’ sulla collina, davanti al poligono militare. La scritta è tenuta dalle mani tese di alcuni manifestanti, Capo Frasca come Hollywood. “Andatevene“, significa in lingua sarda. Seimila persone, seimila tra uomini, donne e moltissimi bambini per protestare contro le servitù militari in Sardegna. Tante bandiere, da Sel a Forza Italia, dagli ambientalisti agli indipendentisti. Numerosi vessilli hanno sventolato sabato scorso mossi al vento della costa occidentale. Pullman e sigle pagati da nessuno, né né sindacati né partiti hanno potuto cavalcare la rivolta: il popolo dell’Isola ha girato le spalle alla politica asservita ai poteri forti. Una nuova presa di coscienza: non più in piazza per l’indennizzo, ma in piazza per chiedere la chiusura del poligono.
La protesta è avvenuta in seguito all’incidente del 4 settembre scorso, quando durante un’esercitazione, il fuoco di un tornado tedesco ha polverizzato ventisei ettari di territorio all’interno del poligono. Boati, esplosioni e tutto a poche centinaia di metri dalle spiagge ancora piene di turisti. Un tappeto di bombe gigantesche, missili da 100 kg conficcati nel terreno. Quello di Capo Frasca è uno scandalo senza precedenti. Hanno tentato in tutti i modi di nascondere il disastro ambientale in un luogo dove alla devastazione delle fiamme si aggiunge la scoperta di centinaia di missili dispersi in tutta la superficie della punta estrema del promontorio.
Anche il Presidente della Regione sarda Francesco Pigliaru è sceso in campo: “Io credo – ha dichiarato dopo il sopralluogo nella base – che si possa iniziare a chiudere i poligoni, partendo proprio da Capo Frasca”. Presto il Ministro della Difesa Roberta Pinotti o il sottosegretario Domenico Rossi saranno in Sardegna per un confronto con il Governatore sardo. “Ci sono contatti e concorderemo insieme una data per cercare di contemperare le esigenze della Sardegna e quelle della Difesa”, ha dichiarato il sottosegretario. “Con la Regione Sardegna abbiamo avviato un percorso a 360 gradi con un’analisi sulla riduzione parziale dei poligoni, sull’ambiente e sulla salute in sinergia con il territorio: credo ci siano tempi per lavorare bene e le bonifiche sono parte pregnante di questo processo“.
“Bonifiche?“, si chiede Fernando Codonesu, sindaco di Villaputzu, in passato consulente della Commissione parlamentare di inchiesta sull’uranio impoverito e autore del libro “Servitù militari, modello di sviluppo e sovranità in Sardegna”. “Le bonifiche sono state cancellate per decreto. Un decreto del Ministro all’Ambiente Galletti ha equiparato le aree militari alle aree industriali. In questo modo la soglia dell’inquinamento raggiunta attraverso proiettili, mortai, bombe e missili che sul terreno lasciano sostanze nocive si è automaticamente alzata. Con limiti di legge che ora potrebbero aumentare esponenzialmente. Spostando i termini per le bonifiche, che potrebbero non venire mai fatte. Sia nelle aree militari in uso, che in quelle in via di dismissione”, denuncia. “In Sardegna per le bonifiche sono già stati spesi in tre anni 75 milioni, 25 milioni l’anno. Briciole”, precisa Codonesu. “Il fatto è che questi soldi non si sa che fine abbiano fatto. Sono spariti. Cosa fare immediatamente? Chiedere l’annullamento del decreto”.
Pane per i denti di chi lotta contro le problematicità in Sardegna sull’uso e l’abuso del territorio per esercitazioni militari e sperimentazioni di vario genere per oltre 50 anni e sui danni ambientali come conseguenza. Isola martoriata che in Italia paga il prezzo più alto con un territorio asservito dalle servitù militare, circa 30mila ettari, il 60% del territorio italiano. Una lotta bastarda e subdola tra il diritto al lavoro e il diritto alla salute, perché in alcune aree si è costretti a scegliere tra sopravvivenza e malattia. Molti degli abitanti dei poligoni, infatti, come è successo per Perdasdefogu, sono totalmente dipendenti dal poligono. Allora quello a cui si aspira è l’indennizzo. L’indennizzo è una conquista. Così con il denaro è stata rubata la speranza di poter scegliere il bene della propria terra e dei propri figli. “Una vergogna”, rincara la dose Codonesu. “Una vergogna se si pensa che non esistono dati certi sull’incidenza di malattie tumorali, i dati esistono solo al poligono di Quirra, l’unico monitorato. Per il resto del territorio, indagini ambientali zero, zero in cinquant’anni. Sappiamo in modo generico che si sono utilizzati metalli pesanti, ma sappiamo anche che a Teulada il Ministro ha decretato che 4 ettari di terra usata dai militari sono imbonificabili. Addirittura imbonificabili! “, racconta.
Intanto oggi la novità. Con una delibera la Giunta regionale ha esteso il Piano contro il fuoco ai poligoni di Perdasdefogu, Capo Frasca e Capo Teulada. In 15 anni è stata distrutta dagli incendi una superficie di 722 ettari. Insomma sembra arrivato il momento di restituire all’uso pubblico i territori per troppi anni sottratti alla comunità, ma soprattutto per molti sardi è arrivato il momento che i rapporti con lo Stato siano improntati a una relazione tra pari. Nel rispetto dell’ambiente e di chi ci abita.
Francesca Fradelloni