Maldive: si respira aria tossica e di rivolta
Le dimissioni di Mohamed Nasheed dalla carica di presidente delle Maldive erano sembrate inizialmente dettate da pressioni dietro le quinte e non da un vero e proprio colpo di stato militare. Non e’ mai stato un segreto che molti nel paese non amassero la piega democratica e ambientalista presa dal giovane capo di stato, conosciuto per aver organizzato una seduta dei ministri sott’acqua, armati di muta da sub e bombola, per far risaltare la delicata situazione ambientale di uno degli arcipelaghi turistici piu’ famosi del mondo. Tuttavia, l’inaspettato cambio di leadership e il mancato appoggio di cui soffre ora Nasheed potrebbero essere stati facilitati proprio dall’aver disatteso alcune sue promesse ambientaliste.
Fonti locali testimoniano che era da almeno una ventina di giorni che a Male’, la capitale, l’aria si era fatta tesa; polizia e esercito in tenuta anti-sommossa animavano le preoccupazioni della popolazione ma, nonostante le avvisaglie, la situazione era stata ampiamente sottovalutata, sia dai media che dai residenti. Invece, con il passare delle ore e la diffusione delle notizie, la tensione ha raggiunto anche il resto del paese e ora anche a Hoovadhoo (atollo a 260 miglia a Sud di Male’) brucia la stazione di polizia e il palazzo di giustizia; mentre a Male’ vige il coprifuoco e aumentano disordini e rivolte.
Nel corso degli anni, Mohamed Nasheed e’ riuscito a costruirsi un appoggio nazionale e internazionale, conquistandosi la reputazione di ambientalista convinto e attivo per la protezione delle Maldive. Tuttavia, nonostante la coalizione di governo, non e’ mai riuscito a tirare dalla sua parte la polizia, l’ esercito e l’ala islamica piu’ fondamentalista, probabilmente i sostenitori del colpo di stato di pochi giorni fa. Un’altra cosa che in tre anni il presidente Nasheed non e’ riuscito a fare e’ stato affrontare la situazione di Theelafushi, chiamata anche Rubbish Island, dove l’immondizia dell’arcipelago continua a bruciare a cielo aperto.
Progetto nato durante il governo di Gayoom, Theelafushi era un reef semisommerso a circa 3 miglia ad ovest di Male’, che e’ stato convertito a zona industriale e immondezzaio della capitale dopo essere stato terrapienato con rifiuti solidi e ricoperto di sabbia. Piu’ che una discarica, Theelafushi e’ un vero e proprio inceneritore a cielo aperto dove lavoratori principalmente bengalesi si occupano di recuperare rifiuti vendibili e bruciare tutto il resto. Con stipendi da fame e pessime condizioni abitative, condividono l’isola con grandi aziende locali e internazionali che lavorano con sostanze tossiche e riempiono l’aria di diossina. Insomma, quest’isoletta a pochi chilometri dalla capitale dell’arcipelago delle Maldive e’ un posto molto poco salubre, tanto che un ragazzo bengalese, in un’intervista a un documentarista europeo, ha dichiarato che “sarebbe meglio stare in galera, almeno lì c’e’ fresco.”
Varie associazioni ambientaliste e attivisti denunciano da tempo la situazione e nel dicembre del 2011, in occasione dell’introduzione di un divieto governativo temporaneo di scaricare spazzatura a Theelafushi, un servizio della BBC aveva fatto luce sull’ altra faccia delle Maldive, quella che non si vede nei depliant. Le barche colme di rifiuti, per la maggior parte provenienti dai resort di lusso, avevano cominciato a scaricare i rifiuti nella laguna dell’isola, per via dei lunghi tempi di attesa dovuti al traffico di barche e immondizia.
Ora, a caldo degli eventi che stanno ulteriormente scuotendo l’aria delle Maldive, il movimento ambientalista si dice deluso da Nasheed, sostenendo che se avesse voluto dare risalto alla sua figura di ambientalista, avrebbe dovuto affrontare il problema concreto dei rifiuti e lasciare le riunioni sottacqua, vestito da sub, al folclore successivo. Anche perche’, dicono gli abitanti, “con questi ritmi e’ possibile che siano i rifiuti e non il surriscaldamento globale a sommergere le Maldive.”
Tra le proposte degli ambientalisti c’è, ad esempio, l’introduzione di una tassa “una tantum” ai resort (che nei depliant si definiscono spesso “strutture ecosostenibili”), i principali produttori di rifiuti, tassa da pagare a seconda della grandezza e degli introiti della struttura. La tassa, aggiungono gli ambientalisti, avrebbe potuto essere usata per comprare un inceneritore che, nonostante non sia ancora una risoluzione al problema, per lo meno produrrebbe energia elettrica e inquinerebbe meno. Certo, l’impegno di Mohamed Nasheed nell’attirare l’attenzione globale sull’ambiente delicato del suo paese ha permesso di dare risalto mediatico alla vulnerabilita’ ambientale delle Maldive, spesso note solo come paradiso dei turisti di lusso, ma le problematiche locali, conseguenze dello sfruttamento turistico e industriale, sono state messe in secondo piano. Ora anche l’equilibrio politico e sociale e’ a rischio.
Mentre i turisti scappano a gambe levate dal paradiso tropicale, per paura di rivolte, e la comunita’ internazionale, le grandi corporation e gli operatori turistici seguono da vicino gli sviluppi della vicenda, i disordini non sembrano calmarsi. Nell’arcipelago conosciuto per essere un santuario della natura si respira aria di rivolta a pieni polmoni e, ahime’, anche aria tossica.
Marcella Segre