La strategia energetica europea dopo la crisi ucraina
Il rapido precipitare degli eventi in Ucraina prima e tra Russia e Ucraina, poi, forse non del tutto imprevisto ma di sicuro non da tutti atteso, ha riportato al centro dell’attenzione il tema della dipendenza energetica dell’Europa. In verità, non ci sono stati particolari problemi né tantomeno interruzioni di fornitura e neanche tensioni sui prezzi all’ingrosso del gas naturale, e tuttavia l’impatto sui media è stato notevole; quasi inevitabile dunque che il Consiglio Europeo, tenutosi a Bruxelles il 20 e 21 marzo, se ne occupasse, a proposito della futura strategia “Energia & Clima” al 2030.
Anche per un motivo tecnico che è il caso di ricordare. Il consumo di gas d’inverno è maggiore per i consumi da riscaldamento. Per assicurare la continuità delle forniture e gestire fluttuazioni più o meno ampie di domanda e di offerta si ricorre storicamente agli stoccaggi, che permettono di disporre di gas in maniera differita rispetto all’estrazione o all’importazione. Gli stoccaggi si svuotano progressivamente durante i mesi freddi e perciò un’interruzione delle forniture a febbraio o anche a marzo, specie se accompagnata da freddo intenso può creare dei problemi. Come pure si è già verificato in passato, proprio in occasione delle tensioni russo-ucraine. La tempistica pertanto era, in effetti, preoccupante, anche se più in teoria che in pratica, dato che quest’inverno i consumi sono stati molto modesti.
È quindi facilmente comprensibile come nelle parole del presidente Van Rompuy, oltre alla riduzione della dipendenza di forniture di gas, fosse chiara l’esortazione affinché si acceleri per un’ulteriore diversificazione dei fornitori di energia, elaborando sistemi per aumentare il potere di trattativa, continuando a sviluppare le rinnovabili e le altri fonti autoctone, con un maggior coordinamento di sviluppo delle infrastrutture.
Più in generale, il Consiglio ha, di fatto, confermato le indicazioni presentate dalla Commissione Europea con la Comunicazione COM(2014) 15 del 22 gennaio 2014. A cominciare dall’efficienza energetica e dalla revisione della direttiva 2012/27/UE - che dovrebbe concludersi entro la fine di quest’anno – solo allora la Commissione valuterà l’eventuale necessità di modificarla.
La Direttiva 2012/27/UE chiede agli Stati membri di risparmiare energia agendo su edifici privati e pubblici, promuovendo diagnosi energetiche, contabilizzatori di calore, contatori intelligenti nonché sviluppo del mercato dei servizi energetici, prevedendo però solo degli obiettivi nazionali indicativi e quindi non vincolanti. Così come non sono previsti per le fonti rinnovabili che entro il 2030 dovrebbero arrivare a coprire il 27% dei consumi europei, ma, appunto, senza l’imposizioni di obiettivi nazionali.
Nel nuovo sistema di governance, basato su piani nazionali, agli Stati membri viene lasciata ampia flessibilità di intervenire sul proprio sistema energetico «nel modo più consono alle preferenze e alle circostanze nazionali». Con una progressiva evoluzione dei meccanismi di sostegno per le energie rinnovabili verso un sistema più efficiente in termini di costi e maggiormente basato sul mercato, nonché una più stretta convergenza dei regimi di sostegno nazionali oltre il 2020. Anche per il clima restano valide le proposte della Commissione: riduzione delle emissioni di gas serra del 40%, rispetto al 1990, da raggiungere unicamente mediante interventi interni all’Unione, senza l’apporto dei “meccanismi flessibili” del Protocollo di Kyoto (le riduzioni ottenute grazie a progetti realizzati in Paesi terzi) e riforma dell’Emission Trading System (ETS) con l’introduzione di una riserva per di quote da introdurre nel 2021, all’inizio del prossimo periodo di scambio.
Quello di marzo è dunque stato un passaggio interlocutorio, parte di un’ampia discussione che si svilupperà in vista della conferenza sul clima di Parigi 2015. Il prossimo e più incisivo è già previsto per ottobre di quest’anno. La ponderatezza delle decisioni è comprensibile «dato l’enorme impatto sulle nostre economie» per usare le parole di Van Rompuy. Facile dedurre che la marcia verso il 2030, che almeno per ora vede confermati gli ambiziosi obiettivo di lungo termine per il 2050, dovrà contemperare costi e benefici, per consumatori e imprese. Queste ultime dovranno avere una base forte e competitiva, in termini sia di produzione che di investimenti, quale motore principale di crescita economica e di occupazione. Parole che ricordano i tanti appelli degli industriali – l’ultimo quello delle associazioni confindustriali di Germania e Italia presentato in occasione del vertice italo-tedesco del 17 marzo – che lamentano un impatto troppo gravoso delle politiche green.
Va ricordato però che il Consiglio continua a considerare l’impegno ambientale un’opportunità industriale come si legge nel paragrafo “competitività e politica industriale” a proposito delle tecnologie abilitanti fondamentali, le KET, Key Enabling Technologies. Batterie per l’elettromobilità, materiali intelligenti, produzioni ad alto rendimento e bioprocessi industriali dovrebbero di conseguenza essere rafforzati individuando con rapidità i progetti di interesse europeo. A tal proposito è esplicito l’invito alla Commissione «a riferire sulle modalità con cui promuovere la tecnologia pulita mediante azioni concrete in tutte le pertinenti politiche dell’UE». Le tecnologie pulite resterebbero quindi elemento trasversale per la promozione della competitività dell’industria europea.
Antonio Sileo*
*Ricercatore IEFE Bocconi @ilFrancotirator