Italia – Francia: un match schizofrenico. E rispunta il nucleare
Questa volta le mura della Bocconi non hanno salvato i professori dalle critiche e dalle perplessità dell’opinione pubblica. Tanto che perfino Claude Crampes – arrivato ieri a Milano dall’Università di Tolosa per partecipare al convegno “Energia e sviluppo sostenibile: politiche pubbliche e strategie d’impresa. Una visione incrociata Francia-Italia” – ha dovuto rettificare il suo intervento, di fronte alle critiche giunte dal pubblico: “Forse non mi sono espresso chiaramente – ha precisato – sulla necessità, per l’economia mondiale, di un mix energetico che comprenda, ovviamente, le rinnovabili, oltre al nucleare e al fossile. Forse non mi sono neppure ben spiegato sulle opportunità delle rinnovabili…”.
Una gentil concessione, ma forse anche una excusatio. Crampes non ha tuttavia rinunciato all’ultima parola, con una critica pungente, in netto contrasto con gli obiettivi europei del 2020: “Credo che sia stato un comportamento assurdo spendere tanto denaro per il fotovoltaico in Germania…”. Gli fa eco il bocconiano Arturo Lorenzoni, che ammette: “Sì, in effetti, sul fronte delle rinnovabili sono stati compiuti passi incredibili”. Se il senso dell’affermazione sia positivo o negativo non è chiaro (come quando la Merkel dice che le misure italiane contro la crisi sono “impressionanti”).
Poteva essere un convegno ricco di potenzialità, quello svoltosi ieri nell’ateneo milanese e organizzato insieme all’Ambasciata di Francia: un appuntamento, suddiviso in due tavole rotonde, per discutere sulle scelte energetiche delle nazioni e delineare le opportunità delle imprese. Il risultato, invece, ha seminato qualche perplessità tra i supporters della green economy, ma soprattutto ha confermato la lucidità dell’analisi del Wuppertal Institut, quando parla di atteggiamento schizofrenico dei Governi e dei cittadini: si rispolvera con nonchalance l’opzione nucleare, ma un minuto dopo ci si dichiara pienamente d’accordo sull’inevitabile sviluppo delle rinnovabili, dimenticandosi che stiamo parlando di due modelli, due “filosofie” diametralmente opposte: la generazione concentrata vs. la generazione distribuita. La convivenza delle due soluzioni è fare di necessità virtù, non può essere una strategia.
A volte la storia recente aiuta a capire meglio. Nel 2006, l’allora presidente del Consiglio italiano, Romano Prodi, si trovò infatti d’accordo con il primo ministro francese Dominique de Villepin nell’auspicare una cooperazione bilaterale sul fronte energetico. Ma oggi, a cinque anni di distanza, l’asse tra l’Eliseo e Palazzo Chigi non è più così saldo. Saranno anche i problemi legati all’euro, ma in realtà il punto è che il governo Sarkozy non ha mai “perdonato” l’Italia che, nel 2009, aveva promesso di aprire quattro centrali nucleari. Promessa mancata, dopo che il referendum popolare ha bandito (per sempre?) l’atomo dal nostro paese. E il conflitto rimane aperto, nonostante l’Italia sia un buon cliente della Francia e importi una quantità considerevole di energia nucleare d’oltralpe.
Nella tavola rotonda moderata da Carlo Scarpa, dell’Università di Brescia, è proprio il nucleare a tenere banco. “Nonostante Italia e Germania abbiano detto no – commenta Jean-Marie Chevalier, dell’Ateneo di Parigi – in Europa la maggior parte dei paesi è favorevole all’atomo. Occorre certamente finanziare le rinnovabili, ma il nucleare rimane l’unica alternativa all’aumento del carbonio e alla crescita dei prezzi. Nessuna energia è perfetta, ma bisogna lavorare nell’ottica dell’efficienza e della diversità. Come economista, credo che la chiusura delle centrali nucleari in Francia equivalga alla distruzione di un valore. Bisogna essere razionali: se l’agenzia sulla sicurezza nucleare è in grado di vigilare sulle centrali, allora problemi non ce ne sono”. Luigi De Paoli, collega della Bocconi, ha un sussulto e frena un poco: “Il nucleare non deve essere bandito a priori, tuttavia oggi non risulta più competitivo. Il problema delle scorie non va sottovalutato e occorrono inoltre regole valide a livello internazionale per le agenzie di sicurezza”.
Parallelamente alla Conferenza dell’Onu sui Cambiamenti Climatici, in corso a Durban, dove il mondo intero è chiamato a prendere atto dei danni causati dal surriscaldamento globale, a Milano, i “tecnici” si confrontano dunque sulle possibili soluzioni, tra le quali riaffiora la carbon tax. Per Crampes, che decide di vestire i panni della Cassandra, “lo sviluppo delle rinnovabili sarà lungo e difficile: attualmente, il costo di produzione è molto alto, si tratta di fonti disperse a livello geografico e l’intermittenza operativa richiederebbe un doppio contatore; l’eolico, per esempio, è fortemente influenzato dal fenomeno dell’intermittenza…”. Qualcuno dal pubblico – non numerosissimo, ma preparato e agguerrito – fa notare al professore che gli attuali sistemi per catturare l’energia dal vento sono tecnologicamente molto avanzati e permettono di ottenere una produzione significativa.
Ma cambiamo di nuovo canale: “Quello che sta accadendo nel campo dell’energia – chiarisce Lorenzoni – ha una portata storica: le rinnovabili appaiono il vero driver dell’economia”. E ora torniamo al pessimismo: “I problemi però ci sono: le rinnovabili – ammette lo stesso Lorenzoni – si sviluppano soltanto in ambiti non competitivi, quindi che senso hanno le politiche sulla concorrenza e che ruolo assumerà il GSE? Inoltre, occorre affrontare il problema del costo della transizione, nell’ottica di una stabilità dei prezzi futuri, e restituire benefici in termini di occupazione a coloro che pagano il rinnovamento”.
Zapping: “Occorre aumentare la produzione di rinnovabili nel futuro. Noi lo stiamo facendo”, rimarca Francoise Guichard, direttrice dello Sviluppo Sostenibile per Gdf Suez. Salvo poi ammettere candidamente: “Certo, anche noi abbiamo una parte di business basata sulla produzione nucleare. Siamo produttori, ma anche industriali”. In Brasile l’azienda francese ha anche realizzato una diga, che non ha propriamente lasciato impassibili gli ambientalisti. “Preferiamo guardare alla responsabilità sociale di lungo periodo – precisa madame Gdf con saldo realismo – e del resto anche in Brasile le infrastrutture hanno portato progresso e occupazione…”.
E ancora: “Anche per Enel lo sviluppo delle rinnovabili rappresenta uno dei principali fattori di crescita – aggiunge Simone Mori, direttore Regolamentazione, Ambiente e Carbon Strategy della multinazionale italiana – tanto che vantiamo nel nostro gruppo una società apposita per il settore. Senza contare poi che, sul fronte dell’innovazione, abbiamo compiuto notevoli passi in avanti”. Non pare quindi esserci più dubbio, a fine convegno, sul fatto che le rinnovabili rappresentino il futuro: lo ribadisce anche Roberto Testore, che per Assolombarda presiede il comitato promotore Green Economy Network, un’aggregazione di imprese che lavorano in questo ambito. Torna l’euforia “verde” tra i relatori italiani, perché le aziende, ricorda Ivan Mangialenti, di Schneider Electric, hanno un urgente bisogno di ridurre i costi, anche sul fronte energetico. E appunto per questo, “risultano sempre più numerosi gli imprenditori che cercano di individuare buone pratiche per la sostenibilità”, spiega Federico Pezzolato, titolare di una società che lavora a fianco delle imprese.
Esco un po’disorientata dal valzer rinnovabili sì, rinnovabili no, nucleare meglio? Pensavamo che fosse una partita chiusa, ma a volte ritornano. Aiutati dal fascino di una erre moscia.
Agnese Pellegrini