“Il ritardo Costa”. Occhi puntati su emissioni e rotte delle grandi navi
Quando si parla di inquinamento marino e impatto ambientale sulle coste e i fondali, la prima cosa che viene in mente sono i rifiuti vaganti e quelli sommersi, non certo una nave da crociera, e nemmeno un’imbarcazione cargo. Eppure, una sola nave di questo tipo, in un anno, è in grado di produrre più emissioni rispetto a molti piccoli stati, e una rotta sbagliata e azzardata – vedi l’incidente della Costa Concordia – può mettere in pericolo l’ecosistema marino di una zona costiera piuttosto ampia. Figuriamoci quando questi incidenti si ripetono a raffica, come in una “maledizione“.
Anche l’Ecofin, il consiglio europeo dei Ministri dell’Economia, ha finalmente compreso la delicatezza, per l’ambiente, dei trasporti internazionali – marittimi, ma anche aerei – e ha chiesto alla Commissione Europea di produrre, entro giugno, un “reflection paper” sul carbon princing, cioè il meccanismo di pagamento delle emissioni di CO2. Dal 1° gennaio 2012, infatti, tutte le compagnie del settore aereo sono coinvolte nel sistema comunitario di scambio delle quote di emissioni dei gas serra, con il conseguente obbligo di verificare le proprie emissioni e doverle bilanciare. Il trasporto marittimo internazionale di persone e merci, al contrario, continua a rimanere fuori dai meccanismi di riduzione delle emissioni, nonostante il suo peso ambientale. Le emissioni globali di gas serra (soprattutto CO2) delle navi, spiega la Commissione Europea, «sono approssimativamente 900 milioni di tonnellate l’anno», pari a circa il 3% di quelle totali. E sono in continuo aumento: «Si stima che saranno più del doppio nel 2050, in assenza di interventi», mentre «per limitare il cambiamento climatico a 2 gradi centigradi, dovrebbero ridursi almeno del 50% al 2050 rispetto ai livelli del 1990».
Bruxelles ha lanciato dunque una consultazione pubblica on line, aperta fino ad aprile 2012, sul coinvolgimento del trasporto marittimo nelle misure di contrasto al cambiamento climatico. Che dovrebbero inserirsi, sostengono Wwf e Oxfam, autori di un recente studio sul tema, in un accordo internazionale. La proposta delle due organizzazioni è di applicare «un prezzo del carbonio di 25 dollari per tonnellata di carburante per le navi», cosa che «aiuterebbe a ridurre le emissioni e a generare 25 miliardi di dollari all’anno entro il 2020». «Il primo obiettivo, secondo noi, deve essere quello di ridurre i gas serra rilasciati nell’atmosfera. Per le emissioni inevitabili, poi, bisogna fare in modo che ci sia un pagamento, per poi sviluppare politiche di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici», spiega Mariagrazia Midulla, responsabile Clima del Wwf Italia.
Altro grande problema, quando si parla di questi bestioni del mare, sono le rotte a rischio. Presto dovrebbe arrivare il decreto interministeriale Ambiente-Trasporti che pone regole precise sull’argomento. Secondo un’ipotesi di lavoro del Ministero dell’Ambiente, potrebbe essere introdotto il limite di navigazione a tre miglia dalla costa per i cargo con trasporti pericolosi in transito nelle aree protette. Due le aree su cui c’è maggiore attenzione: il Canale di Piombino, che separa la terraferma dall’isola d’Elba, e Venezia. Per quest’ultima, si ipotizzano limiti di tonnellaggio nel Bacino di San Marco, mentre in Laguna potrebbe scattare la distanza di sicurezza di due miglia tra le navi in transito. Per le aree protette ci saranno linee guida specifiche, mentre per entrare in alcuni porti, ancora da individuare, potrebbe esserci l’obbligodi usare il pilota, una figura professionale ad hoc che sale a bordo e prende i comandi, gia’ in uso in alcune realtà.
Proprio per chiedere al titolare dei Trasporti Corrado Passera di accelerare sul decreto, Greenpeace ha lanciato la campagna Sbrigati Ministro. Il ritardo “Costa“, già sottoscritta da più di 34.500 persone.
L’associazione si è anche presa la briga di fare un inventario (con il Rapporto Toxic Costa) di tutte le sostanze pericolose presenti all’interno della Concordia, un vero e proprio vaso di Pandora che minaccia le coste dell’Arcipelago toscano. Dall’armatore «sono state veicolate delle informazioni in alcuni casi superficiali. Greenpeace apprezza la trasparenza che ha portato alla pubblicazione dell’inventario, ma l’uso di termini generici come “pitture e smalti” o “insetticida” non permette di effettuare stime apprezzabili dei rischi per l’ambiente», premette Vittoria Polidori, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace. Molte sostanze di cui sono costituiti questi prodotti, spiega l’associazione, «sono composti organici a base di cloro, noti per la loro persistenza nell’ambiente e la capacità di accumularsi negli organismi viventi. La loro esposizione nel lungo periodo può comportare serie ripercussioni sulla salute, talora in maniera irreversibile». Bisogna poi contare tutti gli arredi, solo apparentemente innocui: «Se la nave si dovesse spezzare o rimanere a lungo adagiata sul fondo, sostanze come ftalati, alchilfenoli (tensioattivi non ionici), composti a base di bromo e paraffine clorurate potrebbero, nel corso degli anni, essere gradualmente rilasciate in mare e contaminare l’ambiente circostante».
Intanto, le operazioni di estrazioni del carburante vanno avanti, e la speranza è che il peggio sia passato. Ma finché anche l’ultimo litro di IFO380 non sarà rimosso, non si potranno dormire sonni tranquilli: « La sua fuoriuscita – avverte Greenpeace – determinerebbe il maggior impatto sull’ambiente nella storia dell’Isola del Giglio, che è parte del Santuario dei Cetacei».
Veronica Ulivieri
Mentre questo articolo veniva pubblicato, i ministri dell’Ambiente e dei Trasporti hanno firmato il decreto rotte. Il provvedimento introduce, tra le altre cose, un limite di 2 miglia di distanza che le navi superiori alle 500 tonnellate dovranno rispettare in prossimità delle aree protette.