La nuova Strategia energetica nazionale: passi avanti e perplessità
Il giudizio sulla nuova strategia elettrica nazionale, presentata dal governo martedì, non può che essere positivo: se però da un lato resta qualche dubbio sulla sua effettiva applicabilità, dall’altra lascia immaginare importanti sviluppi per la green economy in settori diversi da quello strettamente energetico.
Il dato di fondo di questo piano, che arriva a venti anni dall’ultimo, è che assume come linea guida, come principi ispiratori, il “green thinking” e mette nero su bianco che gli obiettivi cardine per il nostro paese fino al 2020 sono «riduzione dei costi energetici, pieno raggiungimento e superamento di tutti gli obiettivi europei in materia ambientale, maggiore sicurezza di approvvigionamento e sviluppo industriale del settore energia». E potrà sembrare scontato, ma questa strategia dice anche chiaramente che il raggiungimento degli obiettivi di risparmio energetico e di tutela ambientale sono anche un volano per lo sviluppo e saranno «accompagnati da benefici in termini di crescita economica ed occupazione».
Alcune delle proposte concrete contenute nel documento ci paiono particolarmente convincenti, come il rafforzamento delle norme e degli standard sull’efficenza energetica per edilizia e trasporti (provvedimento a costo zero per il governo), come l’estensione delle detrazioni fiscali per le ristrutturazioni edili votate al risparmio energetico, o la possibilità per le pubbliche amministrazioni di accedere a forme di credito agevolato per interventi su questi temi. Sono altrettanto utili gli incentivi a scalare per lo sviluppo della produzione di energia da fonti rinnovabili con l’obiettivo arrivare al 36-38% dei consumi finali nel settore elettrico nel 2020, ben sopra gli standard minimi posti dall’Europa con il piano 20-20-20. Così come sono apprezzabili gli investimenti proposti per ammodernare la rete elettrica, per agganciare l’Italia ai mercati internazionali del gas e per di cancellare quel gap di costi in termini di approvvigionamento che pesa sulla competitività delle imprese.
Detto questo, le perplessità principali riguardano l’attuazione di questa strategia. Il documento presentato infatti sarà sottoposto, fino al 30 novembre, a un ampio giro di consultazioni, sia via internet (sul sito web del Ministero dello Sviluppo Economico) con la possibilità di inviare osservazioni e commenti, sia con le principali Istituzioni interessate (in particolare le Commissioni Parlamentari competenti), con le parti sociali e le associazioni di categoria. Siamo curiosi di vedere quanto il piano uscirà modificato, migliorato o snaturato, da questo doverso percorso di consultazione. Un certo scetticismo riguarda anche l’effettiva capacità, da parte di un governo che resterà in carica ancora pochi mesi, di procedere all’implementazione delle linee guida proposte: che cosa succederà se l’esecutivo che uscirà a aprile dalle urne dovesse optare per soluzioni differenti? Come si garantisce che gli impegni di spesa e l’allocazione di risorse previste siano mantenute?
Infine, ci auguriamo che questo green thinking non rimanga applicato unicamente alle politiche settoriali dell’energia ma diventi una prassi consolidata e un set di valori guida dell’agire di governo. Faccio in proposito due esempi e due proposte. Pochi giorni fa, il governo ha varato la legge di stabilità nella quale, accanto a numerosi tagli e tasse, vengono stanziati 1,6 miliardi di euro per migliorare la produttività: perché accanto alla detassazione del salario di secondo livello non vengono concessi sgravi fiscali maggiori a chi investe nella green economy? Oltre a questo, sono dei sempre più numerosi i tavoli di crisi aperti al ministero dello Sviluppo economico: perché non immaginare una riconversione green per le aziende che rischiano la chiusura?
Come il piano energetico dimostra, il rispetto e la tutela dell’ambiente possono e devono essere un volano per la crescita.
Marco Bobbio