Il futuro delle risorse minerarie. Intervista a Ugo Bardi
Pubblichiamo l’intervista di Bruno Pampaloni, contributor di Affari & Finanza – La Repubblica e Greenews.info, a Ugo Bardi, docente presso il Dipartimento di Chimica dell’Università di Firenze e presidente di ASPO – Italia, l’associazione per lo studio del “picco petrolifero”.
E se, in un futuro non troppo lontano, si fermasse la produzione di platino o quella di mercurio? Addio sogni di gloria per i veicoli commerciali all’idrogeno e addio, pure, alle lampade fluorescenti a basso consumo, con buona pace dell’Unione Europea. Ipotesi da pessimisti? Non del tutto, considerato che la produzione di platino e mercurio è giunta ad una fase critica. Ma anche altri elementi, come l’indio (adoperato negli schermi Lcd) o il rame (presente in tutti i sistemi di trasmissione) potrebbero non riuscire a rispondere efficacemente all’eccesso di domanda industriale.
Per approfondire questa delicata questione abbiamo incontrato il Professor Ugo Bardi, docente di Chimica all’Università di Firenze e Presidente della sezione italiana dell’ASPO (Associazione per lo Studio del Picco del Petrolio), che si occupa di tradurre in modelli matematici l’esaurimento del petrolio e delle materie prime.
“In realtà occorre distinguere.” afferma il Pofessor Bardi “In natura esistono infatti elementi rari come il platino, l’indio o il gallio, risorse di abbondanza intermedia quali rame, tungsteno, stagno o zinco e elementi abbondanti o molto abbondanti tipo ferro, alluminio e silicio. Anche se resta difficile stabilire un termine temporale preciso, a breve termine le risorse rare causeranno problemi di forniture alle industrie, specialmente in caso di crescita della domanda.”
La vera “minaccia” è costituita dalla scarsità di platino e indio. Il platino viene utilizzato come catalizzatore delle marmitte per autoveicoli o come componente fondamentale per le pile a combustibile che potrebbero essere utilizzate in futuro nei veicoli a idrogeno. Se si dovesse sostituire il parco mezzi attuale con un uguale numero di veicoli a idrogeno il platino esistente non basterebbe. E ad oggi esso riesce a soddisfare il mercato legato alle marmitte catalitiche solo perché è possibile riciclarlo. Ma, anche in questo caso, se fosse richiesto un aumento della produzione la disponibilità non sarebbe sufficiente.
“Nel 1981 andai all’Università di Berkley per lavorare insieme ad altri ricercatori alla sostituzione del platino utilizzato nelle pile a combustibile. Ce ne occupammo per due anni. Purtroppo senza successo” racconta Bardi. “Effettivamente si sta studiando questo problema da diverso tempo, ma ancora non si registrano risultati di immediato interesse commerciale”.
L’indio offre meno suggestioni e preoccupazioni ambientali al grande pubblico. Eppure si pensi a come la minor facilità di impiego potrebbe influire su importanti applicazioni della tecnologia se gli schermi dei computer, dei telefonini o dei televisori dovessero rinunciare ai display Lcd.
“Va chiarito: il sistema di produzione non presenta problemi immediati, ma fa fatica a seguire le richieste di mercato. La mia impressione è che il rischio di dover tornare ai vecchi tubi catodici è da prendere in considerazione” precisa il professor Bardi. La situazione generale presenta altre incognite. La produzione di mercurio – in netto declino – fa presagire difficoltà a medio termine se non fosse possibile riciclare questo elemento in modo efficiente e considerato che al momento non esiste “un sostituto certo per le lampade fluorescenti”. Lampade che, nel rispetto dei nuovi requisiti sull’efficienza energetica, l’Unione Europea ha previsto debbano contribuire a sostituire tutte quelle alogene e ad incandescenza tradizionali entro il 2012. Ma non basta. Va aggiunto infatti che, per quanto riguarda il rame, si sta cominciando ad estrarlo da filoni a bassa concentrazione (meno dell’1%). In Cile, maggior produttore al mondo, vanno esaurendosi i depositi dove il rame si trova concentrato tra l’1% e il 3%. Ecco perché la ricerca di giacimenti a minor diluizione spinge verso un inevitabile rialzo dei prezzi questa risorsa, usata in tutti i sistemi elettrici e non facilmente rimpiazzabile. Tantomeno con l’alluminio, presente in maniera copiosa, ma infiammabile.
Se platino, indio, mercurio e rame rappresentano i casi più complicati, qualche preoccupazione potrebbe offrirla anche il silicio. Pur essendovene in abbondanza, non è infatti sempre reperibile nelle purezze migliori. Si pensi al mercato fotovoltaico, in grande espansione. La realizzazione delle celle si basa principalmente sul silicio molto puro, il cosiddetto 5N (o 99,999, considerato tra l’altro il limite inferiore), ottenuto per mezzo di processi di purificazione che necessitano di forti investimenti. Al momento, l’offerta ha difficoltà a tenere il passo della domanda e questa è una delle ragioni per le quali i prezzi del fotovoltaico restano alti.
“Il rischio è quello di dover stabilire un limite alla crescita della tecnologia. Anche se possibile, non credo tuttavia probabile che l’intero sistema possa venire messo in crisi. Il silicio è un elemento abbondante ed è in atto una grande attività di ricerca e sviluppo sulla sua produzione e purificazione. Inoltre le celle solari non sono necessariamente basate sul silicio. Basta pensare a nuove tecnologie come quelle dette “a film sottile”, che si basano su altri elementi da usarsi in quantità molto piccole. Al momento, le celle al tellururo di cadmio (CdTe) sono già una realtà commerciale concorrenziale con il silicio”. E, per il futuro, il mercato guarda verso nuove soluzioni tecniche. In generale, le celle solari utilizzano minuscole quantità di materiali riciclabili e durano parecchio. “Ecco perché ritengo che, nel lungo termine, non vi saranno gravi problemi in merito alla disponibilità di risorse minerali. A lungo termine, è bene ribadirlo” tiene a specificare il Professore.
Infine il litio. Dal 2003 ad oggi il litio è quasi decuplicato di valore passando dai 350 dollari a tonnellata agli attuali 3000. Non a caso, considerato che si tratta di un metallo utilizzato in molti processi industriali: dall’elettronica al vetro o alla farmaceutica, dalla ceramica all’industria automobilistica – che ne progetta l’uso per migliorare l’autonomia e le prestazioni delle vetture elettriche e ibride grazie alla sua leggerezza (è il metallo meno pesante esistente in natura) e alla possibilità di immagazzinare maggiori quantità di energia. Meglio precisare però che, in caso di difficoltà legate alla continua espansione dell’estrazione, il piombo non sarebbee certo il sostituto ideale. Bardi non nasconde la sua soddisfazione (“è sicuramente una buona cosa”) per il recente accordo tra la Regione Piemonte, il Politecnico di Torino e la Rockwood Italia volto allo sviluppo di un processo congiunto che dovrebbe concludersi con la realizzazione di una batteria capace non solo di far funzionare l’auto elettrica ma anche di lasciar sperare possibili applicazioni nel campo delle telecomunicazioni.
Bruno Pampaloni