Giustizia climatica: come tradurre le idee in azioni (e proteggere i diritti umani)
Aveva suscitato scalpore a livello internazionale la richiesta della famiglia originaria del Kiribari, piccolo stato del Pacifico composto da 33 isole su cui vivono 103.000 abitanti, che nel 2013 aveva chiesto alla Nuova Zelanda asilo per motivi climatici: l’isola da cui proviene, infatti, è a rischio di sparizione a causa dell’aumento del livello del mare, come molte altre del Pacifico. Sarebbe stato il primo caso riconosciuto di “rifugiato ambientale”, ma la richiesta è stata rifiutata perché il requisito internazionale per ottenere lo status di rifugiato è una “legittima paura di essere perseguitati” nel Paese di origine.
Questo è solo uno degli aspetti della questione climatica che si incrocia con il diritto internazionale e con la questione della giustizia climatica. Infatti a causa del surriscaldamento del Pianeta i diritti umani delle popolazioni dei Paesi più vulnerabili del mondo saranno severamente minacciati, prospettando l’urgenza di cambiare il sistema giuridico per garantire una protezione alle popolazioni a rischio: a questa necessità di evoluzione legale risponde un nuovo report dell’International Bar Association Task Force on Climate Justice and Human Rights (IBA), intitolato “Giustizia e Diritti Umani nell’Era del Caos Climatico”.
Il report evidenzia come, mentre i cambiamenti climatici colpiscono tutti, in realtà hanno conseguenze sproporzionalmente maggiori proprio verso coloro che non hanno contribuito alla creazione del problema e non hanno le risorse per contrastarne gli effetti. Si tratta di un’ “ingiustizia climatica”, che colpisce ad esempio alcuni Paesi dell’Africa, o le isole del Pacifico, che poco o niente hanno contribuito alle emissioni di gas serra responsabili del surriscaldamento del Pianeta ma che si trovano adesso a fronteggiare, spesso con pochi mezzi economici, gravi cambiamenti, come la minor disponibilità d’acqua, la desertificazione, l’innalzamento del livello del mare.
“I meccanismi legali esistenti per indirizzare mitigazione, adattamento e risanamento dai cambiamenti climatici non riescono a rispondere alla scala della questione globale. – ha dichiarato Michael Reynolds, presidente IBA. – I cambiamenti climatici sollevano problematiche di etica e giustizia a cui ancora non si è dato risposta”. I cambiamenti climatici, infatti, ridisegnano non sono i territori e la geografia, ma a livello geopolitico modificano diritti e obblighi tra generazioni e Stati. Come descritto recentemente dalla Mary Robinson Foundation, la giustizia climatica “collega i diritti umani e lo sviluppo in un approccio antropocentrico, salvaguardando i diritti dei più vulnerabili e ripartendo ostacoli e benefici dei cambiamenti climatici in modo equo e giusto”. Tradurre queste aspirazioni in raccomandazioni concrete richiede che le azioni siano saldamente collegate agli sviluppi della scienza del clima e anche allo status reale delle politiche internazionali per il clima.
Secondo il report occorre quindi riformare il sistema legale per adattarsi e proteggere adeguatamente queste popolazioni, con una vera e propria riforma finalizzata a creare strutture legali per la giustizia climatica: una riforma descritta in 50 “raccomandazioni”. Tra le principali, innanzitutto il riconoscimento legale di un nuovo diritto umano universale: quello di vivere in un ambiente sicuro, pulito, salubre e sostenibile.
Si prescrive anche la creazione di una nuova struttura internazionale per la risoluzione delle questioni climatiche, tra cui una nuova Corte Internazionale sull’Ambiente, con collocazione temporanea presso la Corte dell’Aia. Per quando riguarda le negoziazioni internazionali sui cambiamenti climatici, si consiglia l’utilizzo di un “carbon budget” per determinare quanto gli Stati dovrebbero ridurre le emissioni di CO2 e degli altri gas serra.
La riforma dovrebbe tenere in debito conto anche le aziende e il commercio: a livello internazionale anche un’adeguata strutturazione delle regole del WTO dovrebbero contribuire alla lotta al riscaldamento globale, consentendo bilanciamenti e sussidi. Le aziende dovrebbero essere responsabilizzate, implementando azioni per la diffusione di informazioni e reporting sull’impatto delle loro attività imprenditoriali.
“L’importanza del report è proprio il passaggio dalla comprensione del problema all’azione. La Task Force IBA delinea una strada per tradurre la giustizia climatica in termini legali, con una serie di proposte guidate dal consenso scientifico e poste nella realtà della politica climatica internazionale, con l’urgenza di un impatto sugli individui e le comunità”.
Veronica Caciagli