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Elettromagnetismo, il difficile equilibrio tra salute pubblica e smart cities

marzo 17, 2015 Nazionali, Politiche

Quando siamo in un ufficio pubblico per una pratica o in ospedale per una visita. Sulla panchina di una piazza, mentre corriamo al parco, o perfino a scuola. Sempre più spesso siamo immersi in un mare di radiazioni da campi elettromagnetici. Non sempre innocue, soprattutto per gli organismi in corso di sviluppo dei bambini. Eppure indispensabili “architetture” del modello di smart city cui tendono le nostre città e che promette di migliorare la “qualità della vita” delle persone.

Delle radiazioni elettromagnetiche si temevano finora solo gli effetti da surriscaldamento, ma sono anche altri, invece, gli aspetti rischiosi per la salute. “Esiste una letteratura scientifica che mostra i rischi per la salute delle radiazioni elettromagnetiche, soprattutto in relazione all’uso prolungato dei telefoni cellulari – ricorda Roberto Romizi, presidente dell’associazione medici per l’ambiente (ISDE Italia) – Le persone esposte sono rapidamente aumentate negli ultimi anni, tanto che oggi siamo quasi tutti esposti, anche se in diverso modo. Ed anche i livelli di esposizione sono cresciuti“.

Allarmati dall’annuncio del Governo di rivedere gli attuali limiti di legge, sono numerosi gli scienziati, medici, ricercatori, comitati e associazioni che hanno aderito alla “petizione per la difesa della salute dalle radiazioni“. L’appello lanciato con la petizione avverte dei gravi rischi per la salute e per l’ambiente dovuti all’esposizione crescente a campi elettromagnetici a radiofrequenza e microonde, emessi da cellulari, e dispositivi come tablet, pc collegati senza fili, antenne wifi, wimax, radar, ripetitori della radiofonia, tv e telefonia mobile. Non a caso nella lista della Iarc, l’agenzia per la ricerca sul cancro dell’Organizzazione Mondiale per la Sanità, le radiazioni dei campi elettromagnetici - incluse quelle da telefonini e trasmissioni dati wireless – sono riconosciute come “possibili cancerogeni”. Nella scala Iarc che valuta da 1 a 4 i livelli di cancerogenicità di oltre 970 “agenti” (e che include dal benzene al tabacco, dal papilloma virus al caffè) l’elettromagnetismo è classificato dal 2013 nel gruppo 2B, dei “possibly carcinogenic to humans“. La classifica è aggiornata al mese scorso e specifica che, per gli agenti non ancora classificati, non si deve dedurre automaticamente la non pericolosità!

Eppure la strategia del Governo per la banda ultralarga, richiamandosi a standard europei per il superamento del digital divide, dichiara come obiettivo strategico di raggiungere almeno l’85% della popolazione e fornire una “copertura ad almeno 100 Mbps” delle sedi di “pubbliche amministrazioni, scuole, aree d’interesse economico e con elevata concentrazione demografica, siti di datacenter, ospedali, snodi logistici ed aree industriali”. Una copertura inferiore è invece destinata alle aree remote, per l’”’inclusione della totalità della popolazione all’accesso a servizi di rete ad almeno 30 Mbps (obiettivo 2 dell’Agenda Digitale Europea)”.

Per raggiungere tali obiettivi è previsto lo sviluppo integrato di tecnologie fissa e mobile, reti in fibra ottica aperte, agevolazioni per abbassare le barriere di costo dell’infrastrutturazione e un ruolo sussidiario dei soggetti pubblici per favorire, anche in partnership con i privati, un accesso equo e non discriminatorio alle tecnologie. A tali fini sono destinati ben 6 miliardi di euro di fondi pubblici. Il documento, che invoca le smart cities, prevede inequivocabilmente (pag.12) la “razionalizzazione dello spettro elettromagnetico e innalzamento dei limiti elettromagnetici“.

E i pericoli per la salute? “Finora l’Italia è stata tra i Paesi più attenti a prevenire eventuali effetti dell’esposizione a campi elettromagnetici – spiega Fulvio Romagnoli, del Dipartimento di Sanità Pubblica dell’Ausl di Bologna. – con limiti ben più restrittivi di Francia, Germania ed altri paesi europei”. Gli studi sull’effetto delle radiazioni elettromagnetiche si erano concentrati sull’uso dei telefonini a lungo termine, con esposizioni superiori ai 10 anni. Queste ricerche, soprattutto nordeuropee, hanno condotto l’Iarc a valutare come possibili cancerogeni i dispositivi come i telefonini. Ma “per l’Iarc non c’è un’evidenza di pericolosità per l’esposizione lavorativa o ambientale“, sottolinea Romagnoli. Tuttavia, anche per un’esposizione meno intensa di quella dei telefonini (che irradiano a contatto della testa e sono assorbiti dai tessuti) “va sempre adottato un principio di cautela”, anche in considerazione dell’evoluzione incalzante delle tecnologie. “Per le emissioni a bassa frequenza delle linee elettriche esistono studi da più di trent’anni, mentre il settore dell’alta frequenza sta avendo uno sviluppo molto rapido – ragiona il dirigente sanitario -. Tuttavia è anche vero che la diffusione della telefonia 4G, che fa consultare internet dallo smartphone, sta cambiando l’uso del telefonino come studiato finora, perché non va più attaccato all’orecchio”. E’ quindi prevedibile che in futuro possa diminuire il gap tra le stime nostrane ed i valori misurati e vigenti in Europa. All’esposizione di una stazione radiobase, per esempio, è esposto tutto il corpo ed in modo più prolungato rispetto a una conversazione al cellulare, ma si tratta di radiazioni meno impattanti.

“Sugli effetti relativi ai bambini – specifica il dirigente Ausl – non ci sono ancora evidenze chiare, definitive, nonostante i numerosi studi in campo. Ma le comunità locali possono porre in essere azioni a tutela della popolazione, come far collocare gli impianti in punti di minor impatto,  compatibilmente con la fruizione del servizio che i gestori delle reti sono tenuti a garantire”.

Intanto, su segnalazione di un dirigente scolastico, l’Agenzia Regionale per l’Ambiente (Arpa) emiliana ha effettuato rilevazioni sulla scuola media statale Cavour di Minerbio (Bologna), dotatasi di impianto wifi. Le misurazioni sono contenute nell’indagine tecnica stilata nel febbraio 2014 e riguardano diversi punti dell’istituto e momenti d’impianto spento o acceso e in funzione. Il report arriva a una prima, importante conclusione: “l’installazione di questi impianti in postazioni non accessibili agli utenti assicura, in ogni condizione di utilizzo, un’esposizione a livelli di campi elettromagnetici ampiamente inferiori ai valori di riferimento previsti dalla normativa vigente“. La scuola Cavour, ad esempio, ha posto il proprio sul soffitto del corridoio, per una fruizione ottimale dalle tre postazioni (access point) per lo scarico dati, e un’intensità attenuata nelle aule.

Sembra di capire che se l’orizzonte è quello di smart cities dotate di servizi che viaggiano sempre più su fibra ottica o via etere, come app e servizi sms, sono sempre possibili (e consigliabili) misure di precauzione.

Cristina Gentile

 

 

 

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