Contro-vertice a Rio+20: no a una green economy sfruttatrice
Nonostante all’orizzonte del vertice Rio+20 sullo Sviluppo Sostenibile, che si chiuderà oggi in Brasile si profili un clamoroso nulla di fatto, il summit ha avuto almeno il merito di accendere i riflettori sulle tante situazioni di sfruttamento ambientale al centro del “Contro-vertice” di Cúpula dos Povos, organizzato in contemporanea da 200 Ong, armate di analisi e propositi più concreti di quelli sui tavoli governativi del summit ufficiale. A partire dalle migliaia di storie – tutte diverse, eppure per certi versi simili – degli abitanti dell’Amazzonia, il grande polmone verde del Paese, costantemente sotto attacco di lobby industriali senza scrupoli. Comunità locali, contadini, pescatori, e rappresentanti della società civile riuniti al contro-summit si battono infatti, paradossalmente, contro la green economy, quando questa sia intesa come “grande ombrello che racchiude sotto di sé tutti i modi di commercializzare e mercificare la natura”.
Mentre il silenzio dei leader mondiali è quasi imbarazzante, Da Rio filtrano dunque innumerevoli storie di persone e comunità decise a dire “no al capitalismo verde, sì a un’economia solidale”. “Hanno distrutto i nostri fiumi per costruire gigantesche dighe, distrutto le nostre foreste per piantare eucalipti, soia e riso: il governo permette alle grandi imprese di ingrandirsi a spese dei brasiliani, dei popoli indigeni che dopo 512 anni di storia aspettano ancora che le loro terre siano delimitate“, è il racconto di un capo villaggio arrivato da Mata Medonha, nello Stato di Bahia.
La “novità” di Rio+20 che più colpisce i 30.000 partecipanti al Summit dei Popoli è proprio la scissione nei negoziati, con un passo indietro rispetto all’Earth Summit del 1992, tra ambiente e sviluppo, tanto da far azzardare a qualche commentatore la definizione di “Rio -20″, dove il meno indica un chiaro ritorno al passato. “Il vertice Rio+20 – denuncia l’Ong Oxfam – fallirà se affronterà ambiente e sviluppo come due temi distinti, secondo una vecchia concezione superata ben venti anni fa dal primo vertice di Rio. Riteniamo che l’impegno a Rio per un unico processo che riunisca gli obiettivi di sviluppo sostenibile e il paradigma di sviluppo post-2015 potrebbe rappresentare uno storico accordo per sradicare la povertà e assicurare la prosperità a tutti attraverso la condivisione delle risorse limitate della terra”.
La green economy dovrebbe cioè diventare, secondo l’appello delle comunità locali, la via per assicurare a tutti l’accesso alle risorse, nel rispetto degli ecosistemi e dei loro ritmi. “Porre fine alla povertà e proteggere l’ambiente sono cause inscindibilmente legate e non possono essere affrontate separatamente. Le attuali proposte sono una ricetta per diluire l’impegno, moltiplicare lo sforzo e disperdersi. Alle persone più povere del mondo, che ancora soffrono la mancanza di assistenza sanitaria di qualità e di istruzione è anche negata la giusta quantità di acqua, aria pulita e terra. I poveri saranno i primi a rimetterci se Rio+20 non riuscirà a definire una serie di obiettivi per il pianeta. Abbiamo bisogno di un unico quadro guida il cui scopo è quello di porre fine alla povertà e ripristinare l’ambiente che ci sostiene tutti”, sottolinea Antonio Hill, senior advisor sui cambiamenti climatici di Oxfam International.
Il messaggio delle Ong ai potenti è quello di inaugurare un nuovo corso dell’economia verde, che unisca la sostenibilità ambientale a quella sociale. Difendere la natura per tutelare i diritti di tutti. Dal contro-vertice arrivano anche tantissime storie di profughi ambientali, persone costrette a lasciare la propria terra per eventi climatici estremi. Secondo un dossier di Legambiente diffuso ieri, in tutto i profughi vittima dei cambiamenti climatici sono 6 milioni, ma, stando alle stime dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr), entro il 2050 il fenomeno potrebbe riguardare fino a 250 milioni di persone. Con conseguenze distruttive per le fasce più deboli della popolazione, a cominciare dai bambini: “Con più di 7 miliardi di abitanti del pianeta – spiega Khaled Mansour, Direttore Comunicazione dell’Unicef – la comunità internazionale dovrebbe chiedere al vertice di Rio de Janeiro cosa significhi sviluppo sostenibile per 2,2 miliardi di bambini nel mondo. Dopo tutto, il futuro che vogliamo e che stiamo costruendo lo dovranno vivere loro, e i loro figli. E dovrebbe essere un futuro più giusto. Lo sviluppo sostenibile ha a che fare col fatto di comprendere, riconoscere e intervenire attivamente sulle interrelazioni esistenti tra economia, società e ambiente naturale”.
Ed è stata proprio una giovane studentessa a ricordare ai potenti, durante la sessione di apertura di Rio+20, i loro compiti:“Ci avete promesso di combattere la povertà; ci avete promesso lo sviluppo sostenibile, la lotta contro i cambiamenti climatici. Le multinazionali si sono impegnate per rappresentare l’ambiente. Il nostro futuro è in pericolo,sappiamo che il tempo corre. Avete 72 ore per decidere il destino dei bambini del mondo, l’orologio è scattato ora. Tick tick tick”, ha ammonito Britney Trifford. Ma in quel momento in molti hanno fatto finta di non sentire e sui grandi media tutto tace.
Veronica Ulivieri