Com’è andata a finire? Gli impegni dell’Accordo di Copenhagen
61 Paesi, tra cui l’Europa e i suoi 27 Stati membri, Cina e Stati Uniti, hanno mantenuto la promessa di sottoporre, entro il 31 gennaio 2010, i propri target di mitigazione delle emissioni a medio termine (2020), come previsto dall’Accordo di Copenhagen. Insieme, questi Paesi sono responsabili del 78% delle emissioni globali. Vediamo sinteticamente in cosa consistono i rispettivi impegni.
PAESI INDUSTRIALIZZATI: CONFERMA DELLE OFFERTE CONDIZIONATE E UNA NEW ENTRY
I Paesi industrializzati confermano gli impegni dichiarati a Copenhagen, come risultano ad oggi dal sito dell’UNFCCC (“Appendix I, Quantified economy-wide emissions targets for 2020“). Tra questi l’Unione Europea conferma una riduzione del 20% al 2020, lasciando l’incremento al 30% come opzione in caso di un accordo piu’ ambizioso da concludere in seguito. La Norvegia va oltre, impegnandosi al taglio incondizionato dei gas serra del 30%, che potrebbe arrivare fino al 40% nell’ambito si un successivo protocollo internazionale. La Croazia, in vista della sua annessione all’Unione Europea, si pone un obiettivo temporaneo di riduzione delle emissioni del 5%, che sara’ rivisto in linea con lo sforzo di mitigazione europeo. La Russia offre un -15% incondizionato, soggetto ad aumento al -25% a condizione che i crediti derivanti dalle sue foreste possano contribuire a raggiungere l’obiettivo e che, naturalmente, cio’ avvenga nel quadro di un accordo tra i maggiori Paesi emittenti.
Dall’altro lato dell’oceano, Stati Uniti e Canada si allineano, promettendo una riduzione del 17% rispetto al 2005, ma soggetta ad approvazione della legge sulle emissioni di gas serra negli Stati Uniti. Visto che le emissioni statunitensi sono cresciute nel periodo 1990-2005, l’obiettivo corrisponde in realta’ a un – 4%, se riportato all’anno base 1990. Nonostante questo primo traguardo sia decisamente minore rispetto all’impegno europeo, gli Stati Uniti si dichiarano anche pronti a impegnarsi a una riduzione del 30% entro il 2025 (circa 15% rispetto al 1990), del 42% entro il 2030 (33% al 1990), fino ad arrivare al meno 83% al 2050 (-80%).
Il Giappone del nuovo primo Ministro Hotoyama conferma la propria disponibilita’ a una riduzione del 25% rispetto al 1990, ma nell’ambito di un trattato “equo ed efficace”. L’Australia nicchia, con un’offerta di riduzione minima del 5% rispetto al 2000, ma che potrebbe arrivare al 15% o anche al 25% (sempre rispetto al 2000) se ci sara’ un impegno reale a stabilizzare le emissioni a 450 ppm (450 parti per milione, limite considerato massimo dalla comunita’ scientifica per limitare le probabilita’ di un aumento della temperatura globale di piu’ di 2 gradi centigradi). La Nuova Zelanda “si prepara a prendere responsabilita’ dei target di riduzione tra il 10 e il 20%, se ci sara’ un accordo globale completo”, collocando il mondo su un percorso tale da limitare l’aumento della tempratura a non piu’ di 2 gradi, con una divisione equa e comparabile degli sforzi di riduzione; inoltre dovranno essere contabilizzati equamente i crediti da attivita’ di forestazione e cambio del suolo e si dovra’ far ricorso al mercato dei crediti di riduzione della CO2 per diminuire i costi globali di abbattimento dei gas serra.
Una new entry tra gli Stati con target di riduzione e’ il Kazakhstan: aveva gia’ chiesto e ottenuto di esssere compreso nella lista dei Paesi Annex I del Protocollo di Kyoto (ovvero dei Paesi Industrializzati con obblighi di riduzione delle emissioni). Adesso offre di contribuire allo sforzo mondiale, con una riduzione delle proprie emissioni incondizionata del 15% rispetto al 1992.
PAESI EMERGENTI: AZIONI DI MITIGAZIONE E ALCUNE CONCESSIONI CINESI
I Paesi Emergenti confermano la propria disponibilita’ ad adottare delle misure interne di mitigazione delle emissioni, pur nel rispetto del principio di responsabilità comune ma differenziata della Convenzione delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC), ricordando che l’aumento di concentrazione di CO2 nell’atmosfera e’ stato causato finora dai Paesi Industrializzati i quali, dunque, dovrebbero dare un contributo maggiore alla lotta al global warming, anche in termini economici.
La Cina conferma l’impegno di ridurre la propria intensita’ energetica (rapporto tra emissioni di CO2 e PIL) del 40-45% entro il 2020 rispetto ai livelli del 2005, che corrisponde in realta’ a una piccola variazione rispetto allo scenario “Business As Usual”. A questo obiettivo, gia’ dichiarato prima di Copenhagen, aggiunge pero’ due importanti novita’: in primis l’incremento della quota di energia da fonte non fossile al 15% entro il 2020 (energia primaria consumata), mentre attualmente la percentuale e’ del 9% (fonte Reuters, Aprile 2009). La Cina offre inoltre un aumento dell’area forestata di 40 milioni di ettari rispetto ai livelli del 2005, corrispondenti a un incremento della capacita’ di assorbimento delle foreste di circa 560 milioni di CO2/anno – una quantita’ maggiore delle emissioni annue italiane.
L’India, pur con un consistente piano sulle energie rinnovabili, offre un impegno piu’ modesto: ridurre l’intensita’ energetica del 20-25% entro il 2020 rispetto al 2005. L’Indonesia risulta invece piu’ proattiva, con la proposta di un taglio del 26% rispetto allo scenario Business As Usual, da raggiungere attraverso le sette misure previste nel Piano Nazionale indonesiano: dall’energia rinnovabile a interventi di efficienza energetica e forestazione.
Il Brasile espone, nella propria lettera all’UNFCC, una serie di azioni per arrivare a una riduzione delle emissioni quantificate dal 36,1 al 38,9% entro il 2020 rispetto allo scenario ”Business as usual”, ovvero il livello di emissioni che il Brasile raggiungerebbe al 2020 senza politiche correttive. Il Messico ha recentemente adottato un Programma Speciale per il Cambiamento Climatico che mira a una riduzione del 30% delle emissioni rispetto allo scenario Business as Usual, subordinato all’ottenimento di un supporto adeguato dai Paesi industrializzati, dichiarando inoltre un impegno incondizionato di abbattimento di 51 milioni di tonnellate di CO2 entro il 2012.
La lista completa delle azioni dei Paesi Emergenti comprende altri 20 Paesi ed e’ disponibile nel sito dell’UNFCC (“Appendix II – Nationally appropriate mitigation actions of developing country Parties”), che rende pubbliche anche le dichiarazioni di associazione all’Accordo di Copenhagen.
Ancora ne dovra’ essere fatta di strada per arrivare a un accordo vincolante, capace di limitare l’aumento delle temperature mondiali ai 2 gradi centigradi. Ma siamo nella direzione giusta.
Veronica Caciagli
Climate Change Officer, Consolato Generale Britannico di Milano