“Carbo Diem”: l’assenza di strategia ci costa 1,8 miliardi
Fino ad ora l’Italia ha percepito le obbligazioni del Protocollo di Kyoto e dell’Emission Trading Scheme europeo come costi, senza adottare azioni di gestione dei crediti di CO2. Quanto costa al contribuente questa mancanza di strategia? 1,8 miliardi di euro, secondo il nuovo report Carbo Diem della no profit britannica Sandbag.
Per spiegare i motivi di questa cifra, è necessaria una piccola premessa sui mercati della CO2. L’Italia ha firmato e ratificato il Protocollo di Kyoto, con il quale ha assunto l’impegno di ridurre le emissioni di gas serra del 6,5% durante il periodo 2008-2012 rispetto all’anno-base 1990 (mentre l’impegno complessivo dell’Unione Europea è dell’8%). Nel Protocollo è prevista la possibilità, per gli Stati che non riescono a raggiungere l’obiettivo, di acquistare dei crediti dai Paesi virtuosi che rimangano al di sotto del proprio target. C’è anche la possibilità di acquisire dei crediti finanziando progetti di riduzione delle emissioni di gas serra localizzati in Paesi emergenti.
Nonostante la recessione economica, che ha abbassato la produzione e le emissioni di CO2, il nostro Paese viaggia con un ritardo verso gli obiettivi di Kyoto di 181 milioni di tonnellate di CO2, da cui sorge un obbligo di acquisto di crediti di CO2 di un valore di 1,8 miliardi di Euro.
Nello stesso quinquennio 2008-2012, le aziende italiane maggiormente inquinanti sono soggette alla Direttiva Europea sull’Emission Trading: anch’esse hanno degli obblighi di riduzione dei gas serra e possono acquistare crediti di CO2 se si trovano in situazione di deficit ed emettono troppa CO2, mentre possono venderli se abbattono i propri gas climalteranti più del loro target assegnato. La decisione su quante quote assegnare alle industrie è stata presa dal governo italiano attraverso il Piano di Allocazione Nazionale. Il report Carbon Diem mostra come i settori industriali coperti dall’Emission Trading siano in surplus di quote per ben 166 milioni di tonnellate di CO2. Anche qua c’è da dire che la crisi economica ha influito, diminuendo produzione e CO2 emessa, con il risultato finale di un aumento del surplus di quote allocate. Ad esempio, al gruppo RIVA sono state assegnati 11 milioni di crediti CO2 di troppo, a Edipower 2,7 milioni di crediti, Buzzi Unicem 2,4.
Come sarebbe dovuta andare? Il report Carbo Diem, “cogli il carbonio”, è chiaro: all’Italia sarebbe servita una politica sulla CO2 più lungimirante, allocando meno crediti alle aziende italiane coperte dall’Emission Trading. Secondo l’autore del report, Damien Morris, “l’Italia ha cercato di rispondere agli obblighi sul clima al minimo costo [a breve termine], mentre avrebbe potuto investire sul futuro”. Inoltre, sia nei settori industriali che negli altri settori dell’economia è necessario che le riduzioni di gas serra siano reali e avvengano in territorio nazionale, mentre acquistare crediti di CO2 in grandi quantità può essere solo una strategia di breve periodo e per coprire piccoli deficit. Altrimenti rimanderemo il problema al futuro e ci troveremo una coperta sempre più corta.
Veronica Caciagli