Borsa dei transiti: una “cura del ferro” per salvaguardare le Alpi
“Per evitare il collasso dei valichi e il soffocamento della popolazione alpina, occorre un contingentamento dei transiti di camion per ogni valico alpino“. A lanciare l’allarme è Fabio Pedrina, presidente dell’associazione svizzera Iniziativa delle Alpi e ideatore della Borsa dei Transiti Alpini (BTA), strumento messo a punto dopo l’incidente al Gottardo del 2001, quando un rogo divampato nel tunnel uccise undici persone. “Il trasporto su gomma attraverso le Alpi – sottolinea – ammonta oggi a oltre 25mila passaggi giornalieri”. Per questo le misure proposte per incentivare l’uso delle linee ferroviarie, dalle capacità ancora sottoutilizzate, sono dimezzare il traffico pesante, oggi pari a 6 milioni e settecentomila transiti l’anno solo da Ventimiglia al Tarvisio, e regolamentare tutti gli assi alpini. Una “cura del ferro” a salvaguardia di territori e comunità.
Depositata al Parlamento Federale svizzero il 14 dicembre 2001, la proposta di BTA si basa sul meccanismo della domanda e dell’offerta. “A fronte di una scelta politica, ossia stabilire quale sia il carico stradale sopportabile dall’arco alpino – spiega Pedrina – le regioni transalpine hanno un interesse diretto a far pagare di più i camion per attraversare le Alpi“. Come già avviene “per il traffico aereo, dove i prezzi dei biglietti variano in funzione del momento della prenotazione e del grado di occupazione atteso – propone Pedrina – il prezzo di mercato dei passaggi autostradali transfrontalieri si orienterà al costo, in alternativa, del trasporto su ruote o del trasbordo ferroviario. I mercati ferroviario e stradale rimangono in concorrenza”.
Come si configurerebbe in concreto? “Un accordo internazionale potrebbe stabilire una quota eco-sostenibile, convertita in un corrispondente numero di permessi di transito – delinea Paolo Turrini, dalla cattedra di Diritto Internazionale dell’Università di Bologna – che in un primo momento verrebbero probabilmente “regalati” ai trasportatori che fanno uso della ferrovia, secondo parametri da determinare, oppure in parte regalati e in parte messi all’asta. In tal modo i permessi diventano commercializzabili. Gli utenti dei valichi alpini devono così valutare su basi economiche la convenienza del ricorso al trasporto su ruote confrontandolo col trasporto su rotaia”.
Un meccanismo che vanta un precedente illustre, il regime del Protocollo di Kyoto. “In comune hanno lo scopo ambientale, ridurre le emissioni di certe sostanze inquinanti entro livelli prestabiliti. Negli accordi di Kyoto, è assegnata una quota agli Stati, e non ai privati come nel caso della BTA: i Paesi che inquinano meno di quanto potrebbero sono autorizzati a vendere la loro quota in eccesso ai Paesi che non riescono a rientrare entro la soglia limite. E’ il così detto Emission Trading Scheme. Quindi, benché il funzionamento di Kyoto e BTA sia diverso, in entrambi i casi c’è una potenziale compravendita di “diritti d’inquinamento”.
Il limite di transiti sostenibili, per i sostenitori della BTA, va calcolato sia in base a criteri tecnici e di sicurezza delle infrastrutture (calibri stradali, corsie, gallerie) sia in base a criteri di compatibilità ambientale e sanitaria. E la messa all’asta on-line dei singoli diritti di transito, come slots di transito a media-lunga scadenza e slots a breve termine per trasporti urgenti, garantirebbe la trasparenza del mercato. Il tetto massimo di passaggi può essere poi rivisto, per un graduale trasferimento dalla strada alla rotaia.
“Il nostro valore di riferimento è il dimezzamento dei passaggi – sottolinea Pedrina. – Inoltre nel 2016 ci sarà la nuova linea di base del Gottardo che comporterà importanti capacità supplementari. Anche al Brennero si sta scavando. Ma il problema per tutti questi grandi progetti è che senza ulteriori misure che tengano conto dei “costi esterni” del traffico pesante, ossia gli ingenti costi ambientali e della salute della collettività, il trasporto stradale rimarrà indebitamente meno costoso dell’alternativa ferroviaria”. Si tratta quindi non tanto di potenziare i tracciati esistenti – come si preparano a fare Austria ed Alto Adige sulla galleria di base del Brennero – o di costruire nuove infrastrutture, ma di rendere più conveniente sfruttare appieno le capacità residue delle attuali linee ferroviarie.
Ma cosa ha impedito finora di raggiungere un accordo sui transiti? “L’Unione Europea rappresenta in realtà il maggiore ostacolo per la realizzazione del progetto – ragiona Turrini. - Molti temono che la BTA sia in potenziale contrasto con alcuni dei principi cardine dell’ordinamento giuridico europeo, in primis la libertà di circolazione delle merci, e con alcuni vincoli nazionali degli Stati coinvolti. Per i sostenitori della Borsa potrebbe non essere facile dimostrare il contrario”. Ma se anche si ritenesse l’obiettivo ambientale meritevole di maggior tutela, argomenta il professore, entrerebbe in gioco il principio di proporzionalità: “La necessità di raggiungere il fine voluto attraverso la misura meno onerosa e meno distorsiva del mercato potrebbe far propendere l’Unione non tanto verso un sistema di quote, quanto verso il regime dei pedaggi. Le norme di liberalizzazione prediligono la tarifficazione“.
L’Unione Europea gioca comunque un ruolo fondamentale, dal momento che il progetto della Borsa riguarda Paesi membri, con l’eccezione della Svizzera, e impatterebbe sulle basi del suo ordinamento giuridico e della sua economia. Le due strade percorribili restano, per il giurista, o la promulgazione di un regolamento europeo, con l’adesione svizzera, oppure la stipula di un “accordo misto”, ovvero un trattato che veda la contemporanea partecipazione di Svizzera, Unione Europea e di tutti i suoi Stati membri, non solo quelli dell’arco alpino, dal momento che anche gli altri ne subirebbero le conseguenze giuridiche. “La soluzione – conclude Turrini – potrebbe dipendere dalla capacità dei sostenitori della BTA di convincere le istituzioni dell’efficacia superiore della Borsa, rispetto alle possibili alternative, nel preservare un bene, quale l’ambiente, che sia l’Unione europea che gli Stati non possono permettersi di perdere o rovinare“.
Cristina Gentile