Bonafé: tasse ecologiche e green jobs
In vista delle elezioni europee del 25 maggio, proseguono le interviste di Greenews.info ai candidati, italiani ed europei, dei vari schieramenti che stanno dedicando maggiore spazio ai temi ambientali. Dopo il tedesco Jo Leinen, dell’Alleanza Progressista dei Socialisti e Democratici, abbiamo intervistato Simona Bonafé, classe 1973, del Partito Democratico italiano.
Ex assessore all’Ambiente del Comune di Scandicci, in provincia di Firenze (si è dimessa nel 2013, in occasione dell’elezione al Parlamento italiano), dal 2004 Bonafé è quasi sempre accompagnata da una locuzione molto amata dalla stampa nazionale “renziana della prima ora”. Dopo essere stata una delle tre coordinatrici della campagna di Matteo Renzi per le primarie del centrosinistra del 2012 (insieme a Boschi e Biagiotti), oggi, Bonafé è capolista del Pd nella circoscrizione dell’Italia Centrale.
D) Onorevole Bonafé, cosa vuol dire impegnarsi a costruire “un’Europa più verde”? Il manifesto adottato dal congresso del PSE – a cui il suo partito ha aderito a fine febbraio scorso – in vista delle elezioni europee, ha indicato questa priorità tra i dieci punti programmatici che dovrebbero contribuire a delineare il volto della nuova Europa…
R) Volere un’Europa più verde significa impegnarsi a realizzare, nelle politiche pubbliche, quella famosa “green economy” che ci aiuterebbe a diventare un Paese più sostenibile e, dunque, a creare buona occupazione e sviluppo duraturo. Un cambiamento trasversale e complessivo che non si limiterebbe a un singolo settore economico ma che investe l’intero modello di sviluppo. Un modello che non sia più energivoro e che punti all’efficienza energetica, che prenda in considerazione l’impatto ambientale della produzione di beni e servizi. È del 4 ottobre 2012 la direttiva sull’efficienza energetica approvata definitivamente dal Consiglio che, senza fissare obiettivi vincolanti per gli Stati membri, prevede la definizione di obiettivi indicativi nazionali di risparmio energetico in tema di ristrutturazione degli edifici pubblici, di piani di risparmio energetico per le imprese pubbliche e audit energetici per tutte le grandi imprese, e fornisce indicazioni per l’individuazione di strumenti di finanziamento delle misure di efficienza energetica. Ancora: la Commissione Europea ha definito una strategia di ampio respiro che, nel quadro di “Europa 2020″, stimoli i soggetti economici e industriali, che operano nel mercato interno dell’UE, a investire nell’innovazione tecnologica con l’obiettivo di ridurre le emissioni di carbonio e di utilizzare in maniera efficiente energia e risorse.
D)Tanta carne al fuoco, è vero, ma finora non si è visto molto in termini di attuazione di politiche pubbliche improntate al modello dell’economia verde. Se lei ne avesse la possibilità, da dove partirebbe?
R) Non ho alcun dubbio che una delle priorità su cui, tra l’altro, l’Europa ci sollecita da anni, è quella di mettere mano alla fiscalità ambientale…
D) Sono in molti a pensare che l’applicazione della fiscalità ambientale voglia dire più tasse…
R) Nulla di più sbagliato: è esattamente l’opposto ed è proprio la sua assenza che ha portato, in Italia, a una progressiva stratificazione di tasse ambientali, alcune esplicite, altre indirette. Sappiamo che oggi, in Italia, le tasse sull’ambiente sono pari al 6% della tassazione complessiva. E che purtroppo questo enorme peso, in termini di protezione dell’ambiente, non arriva all’1%. Una sproporzione – quella che emerge dal rapporto tra sacrificio imposto e beneficio tratto – che diventa una vera e propria beffa.
D) Di cosa parliamo, allora, quando affrontiamo il tema della “fiscalità ambientale”, anche chiamata “tassazione ecologica”?
R) Concretamente significherebbe rimodulare il carico fiscale, spostando il peso delle tasse, progressivamente, dal lavoro e dalle imprese al consumo di risorse energetiche e naturali. Un orientamento, condiviso da tutti gli organismi internazionali: Fondo monetario internazionale, Banca mondiale, Ocse e Banca Centrale Europea. Segnalo anche che il 9 gennaio 2012 l’AEA, l’Agenzia Europea dell’Ambiente, ha pubblicato due studi sulla European Tax Reform (ETR) che dimostrano come l’implementazione di una riforma fiscale europea potrebbe dare impulso all’eco-innovazione, creare nuovi posto di lavoro, generare benefici all’ambiente, tra cui la riduzione dei gas serra. Ad esempio, una riforma di questo tipo – secondo i report dell’EEA – farebbe raggiungere l’obiettivo di tagliare i gas serra del 20% entro il 2020, tassando le emissioni e reinvestendo le entrate in innovazione e riducendo le imposte sui redditi (e dunque i costi che derivano dalla sicurezza sociale).
D) Da questo punto di vista, rispetto agli altri paesi europei, come siamo messi in Italia?
R) Male. Dobbiamo lavorarci su: In Francia esiste una legge quadro del 2007 che introduce norme fiscali per il consumo del suolo e dell’acqua; anche Germania, Austria e tutti i paesi nordici hanno introdotto nel proprio sistema fiscale norme in linea con gli indirizzi europei di riforma della fiscalità, con l’obiettivo di promuovere crescita, competitività e occupazione senza danneggiare l’ambiente. Metà dei paesi dell’UE ha ricevuto tra il 2011 e il 2012 indicazioni rispetto a una rimodulazione in senso ambientale di tasse esistenti: l’insieme di queste raccomandazioni è contenuto in un apposito documento della Commissione Europea. Al nostro Paese, nel 2012, è stato richiesto, tra l’altro, di agire “per spostare il carico fiscale dal capitale e dal lavoro verso la proprietà e il consumo così come verso l’ambiente”. È tempo di passare ai fatti…
D) Alcuni critici sostengono che i cosiddetti green jobs non siano reali: la tesi è che il “green deal”, nella misura in cui ha lo scopo di creare occupazione o agire come stimolo anticrisi, sia uno strumento inefficiente. Lei che ne pensa?
R) Secondo il Rapporto Greenitaly 2013 di Unioncamere, qualità, innovazione e tecnologie “verdi” sono gli elementi caratterizzanti di uno dei pochi comparti in controtendenza nell’economia del Paese: ci sono già tre milioni di lavoratori green e, quest’anno, il 38 per cento di tutte le assunzioni programmate nell’industria e nei servizi sarà in aziende che investono in sostenibilità e nella riduzione dell’impatto ambientale. Ora, è chiaro un dato: lo sviluppo di un’economia sostenibile è l’occasione per creare nuove professioni o aggiornare attività classiche in chiave ecologica. Questo deve avvenire attraverso un cambiamento radicale di tutto il modello produttivo e non di alcuni pezzi, a partire dalla riforma fiscale.
D) Anche in termini di protezione del patrimonio naturale italiano…
R) Soprattutto! Un sistema fiscale in chiave ecologica funzionerebbe da deterrente per le attività dannose all’ambiente, che sono anche le più costose. Ma implica realizzare anche quella tutela delle risorse naturali e della biodiversità per le quali una legislazione, seppur attenta, non basterebbe.
D) Altro elemento importante, su cui la strategia messa in campo dall’Europa, ci richiama da tempo, è l’innovazione. Anche “eco”…
R) Direi che, anche in questa direzione, la tassazione ecologica potrebbe rappresentare la leva per sostenere sia le attività di ricerca&sviluppo che il welfare degli Stati nazionali, che avrebbero a disposizione entrate oggi inesistenti da reinvestire in campo sociale e accademico. La crescita economica di un Paese dipende in primo luogo dalle risorse che la classe dirigente di quel Paese riesce a mettere in campo per creare innovazione.
Ilaria Donatio