Bioeconomia: una risposta da 45 miliardi di euro alla crisi europea
Le previsioni non lasciano spazio a dubbi: di qui al 2050, la popolazione mondiale sfiorerà i 9 miliardi di abitanti, con ripercussioni pesanti sulle risorse naturali, l’ambiente e i cambiamenti climatici. E se questo aumento vertiginoso non riguarderà direttamente i paesi dell’Ue, le conseguenze, complice la globalizzazione, ci toccheranno da vicino. Per questo, l’Europa non potendo stare a guardare, ha deciso di rafforzare la scelta della sostenibilità come strada obbligata e fruttuosa.
Quella che fino ad oggi era apparsa spesso come “un’opzione” di sviluppo, oggi risulta infatti una componente irrinunciabile per una crescita a misura d’uomo e di pianeta. Partendo da queste considerazioni, la Commissione Europea ha presentato, ieri a Roma (in anteprima per l’Italia), la strategia contenuta nel documento“L’innovazione per una crescita sostenibile: una bioeconomia per l’Europa”, che punta su un’economia fondata, appunto, su risorse biologiche e rinnovabili.
La strategia, spiega la Commissione, «prevede un piano d’azione basato su un approccio interdisciplinare, intersettoriale e coerente al problema. L’obiettivo è creare una società più innovatrice e un’economia a emissioni ridotte, conciliando l’esigenza di un’agricoltura e una pesca sostenibili e della sicurezza alimentare con l’uso sostenibile delle risorse biologiche rinnovabili per fini industriali, tutelando allo stesso tempo la biodiversità e l’ambiente».
Il termine “bioeconomia” si riferisce infatti «a un’economia che si fonda su risorse biologiche provenienti della terra e dal mare, nonché dai rifiuti, che fungono da combustibili per la produzione industriale ed energetica e di alimenti e mangimi. La bioeconomia comprende anche l’uso di processi di produzione fondati su bioprodotti per un comparto industriale sostenibile». un esempio su tutti, i rifiuti organici, che «rappresentano un potenziale notevole in alternativa ai concimi chimici o per la conversione in bio-energia, e possono coprire il 2% dell’obiettivo stabilito dall’Ue per le energie rinnovabili».
Tanti sono dunque i settori toccati dalla nuova strategia: agricoltura, silvicoltura, pesca, produzione alimentare, produzione di pasta di carta e carta, nonché comparti dell’industria chimica, biotecnologica ed energetica. «L’Europa deve passare a un’economia ‘post-petrolio’. Un maggiore utilizzo di fonti rinnovabili non è più solo una scelta ma una necessità. Dobbiamo promuovere il passaggio a una società fondata su basi biologiche invece che fossili, utilizzando i motori della ricerca e dell’innovazione. Si tratta di una mossa positiva per l’ambiente, la sicurezza energetica e alimentare e per la competitività futura dell’Europa», sintetizza Máire Geoghegan-Quinn, commissario per la Ricerca, l’innovazione e la scienza. Che ha definito la strategia insieme ai colleghi Antonio Tajani (Industria), Dacian Cioloş (Agricoltura), Maria Damanaki (Pesca) e Janez Potočnik (Ambiente).
La sostenibilità, infatti, non può riguardare solo la ricerca, ma è un concetto più ampio: «La strategia intende creare sinergie e complementarità con altri settori, strumenti e fonti di finanziamento per le politiche che condividono gli stessi obiettivi, quali i fondi di coesione, le politiche comuni della pesca e dell’agricoltura (PCP e PAC), la politica marittima integrata, le politiche ambientali, industriali, occupazionali, energetiche e sanitarie».
Le sfide da affrontare, sottolinea Antonio Di Giulio, del direttorato generale Ricerca e Innovazione della Commissione, riguardano i nostri stili di vita e i modi in cui consumiamo e produciamo. «La sfida più importante è la messa in sicurezza della nostra offerta alimentare. Dovremo avere una catena funzionante, ma anche sprecare di meno. Sarà poi necessario ridurre la nostra dipendenza dalle fonti fossili e tagliare le emissioni, intervenire nella lotta ai cambiamenti climatici e aumentare la competitività dell’economia europea».
Più concretamente, la strategia poggia su tre pilastri fondamentali. Il primo, prevede un aumento degli investimenti in ricerca, innovazione e competenze per la bioeconomia, utilizzando sia risorse Ue e dei singoli stati, sia investimenti privati. Il secondo asse punta invece sullo sviluppo dei mercati e della competitività nei settori della bioeconomia. Gli interventi in agenda sono tanti, dall’intensificazione sostenibile della produzione primaria, alla conversione dei flussi di rifiuti in prodotti con valore aggiunto. Infine – terzi pilastro – sarà necessario anche un più stretto coordinamento delle politiche e un maggior impegno delle parti interessate, attraverso la creazione di una piattaforma e di un osservatorio ad hoc.
Le prospettive sono interessanti. «Oggi – spiega Di Giulio – la bioeconomia europea vanta un fatturato di circa 2.000 miliardi di euro e impiega oltre 22 milioni di persone, che rappresentano il 9% dell’occupazione complessiva dell’Ue». Nell’ambito del programma di ricerca Orizzonte 2020, sono stati proposti investimenti per 4,7 miliardi di euro solo per il settore “Sicurezza alimentare, agricoltura sostenibile, ricerca marina e marittima nonché bioeconomia”, a cui se ne aggiungeranno altri in ambiti diversi. La Commissione calcola che per ogni euro investito, la ricaduta in valore aggiunto nei settori del comparto bioeconomico sarà pari a dieci euro entro il 2025. Solamente i finanziamenti diretti potrebbero quindi generare, si legge nella Strategia, «circa 130.000 posti di lavoro e 45 miliardi di euro di valore aggiunto nei settori della bioeconomia», a cui va sommata «un’ulteriore crescita proveniente da altri investimenti pubblici e privati».
Veronica Ulivieri