Barack Obama e l’ambiente: quanto è pesato nella campagna 2012?
Barack Obama ce l’ha fatta, ha vinto di nuovo, ma questa volta con molta meno energia e, in verità anche con molto meno ambiente di quanto di possa immaginare.
Il tema del cambiamento climatico, che nel 2008 fu uno dei cavalli di battaglia di Obama, è stato praticamente assente dal confronto, eppure i sondaggi indicavano – già prima dell’uragano Sandy – che negli “swing states” la maggioranza degli elettori era favorevole alla riduzione delle emissioni di CO2 e agli incentivi per l’energia eolica.
Come hanno rimarcato gli osservatori più accorti (in Italia Zorzoli su Staffetta Quotidiana, ad esempio), il Presidente non ha mai replicato a Mitt Romney, che aveva platealmente irriso Obama per avere «promesso di incominciare a rallentare l’aumento dell’altezza degli oceani e di risanare il pianeta, mentre io prometto di aiutare voi e la vostra famiglia».
Dopo le devastazioni dell‘uragano, gli endorsement sono arrivati dal sindaco di New York Michael Bloomberg, «le condizioni meteorologiche estreme che abbiamo sperimentato a New York e in altre parti del mondo … dovrebbero bastare per costringere i leader eletti ad azioni immediate contro il cambiamento climatico». E dal governatore dello stato di New York, Andrew Cuomo: «Chi dice che non è in atto un drammatico cambiamento nel clima, nega la realtà»
Obama alla fine si è salvato in corner, con un accenno nel suo apprezzato victory speech, ma ha sostanzialmente trascurato, a questo giro, la tematica del cambiamento climatico. Non si ritrovano, infatti tracce della tematica né all’interno dei maggiori discorsi programmatici tenuti, né all’interno del capitolo “energia” del sito dedicato alla sua campagna elettorale.
Questa svolta a 180° rispetto alla precedente campagna elettorale si può dunque spiegare solamente con la minore preminenza della tematica green rispetto alla creazione di posti di lavoro e allo stato dell’economia in generale – ipotesi confermata dal Ministro Clini nel corso di Ecomondo, ma anche dalla rilevazione Rasmussen del gennaio 2012). Ed è proprio quest’ultima motivazione ad aver spinto Obama, già a partire dal 2009, ad adottare un profilo basso relativamente al tema green. Questo atteggiamento ha condotto alla mancata approvazione, nel 2010, dell’American Clean Energy and Security Act – che, tra le altre cose, avrebbe dovuto introdurre il sistema di scambio dei permessi di emissione – da parte del Senato (allora Democratico), per riconosciuta assenza di numeri. Se non ci fosse stato l’endorsement di Bloomberg, sul quale diversi hanno sollevato qualche sospetto riguardo all’autenticità delle motivazioni, il tema del cambiamento climatico molto probabilmente sarebbe rimasto nell’ombra. Resta perciò molta incertezza su quali possano essere i passi successivi di Obama in materia lotta al cambiamento del clima, considerando anche l’opposizione assai forte dei Repubblicani, che detengono la maggioranza alla Camera.
Dove, invece, le promesse del 2008 hanno trovato maggiore spazio è nell’intervento a favore delle energie rinnovabili e nella creazione di green jobs. Come previsto, sono stati effettuati massicci interventi a favore del settore eolico e fotovoltaico e dell’efficienza energetica (calcolati in circa 75 miliardi di dollari tra il 2009 e il 2011). Il numero di posti di lavoro creati nel settore, 3,1 milioni complessivamente secondo l’Ufficio Nazionale di Statistica, è stato inferiore ai 5 milioni promessi, ma ha visto, tra il 2003 e il 2010 una crescita annua di circa il 3,2%, con un aumento netto a cavallo tra il 2008 e il 2009, periodo del primo stimolo finanziario del governo Obama e proprio nel momento in cui il tasso di occupazione generale iniziava a scendere in maniera preoccupante (secondo un report della Brookings Institution). La produzione di energia da rinnovabili ha avuto un incremento sostanziale, di circa il 25% complessivo, ma del 117% se consideriamo i soli settori eolico e fotovoltaico, quelli più direttamente sostenuti dall’amministrazione. La quota complessiva proveniente da rinnovabili (incluso idroelettrico e biomasse), invece è salita leggermente dal 7% al 9%, in marcia verso quel 25% promesso entro il 2025. Da questo punto di vista, tuttavia, molto dipenderà da ulteriori investimenti e risorse, stante il collegamento diretto tra lo stanziamento dell’amministrazione e l’incremento della produzione da fonti alternative. Per quanto riguarda, invece, la creazione di green jobs, il processo sembra invece costituire una tendenza destinata a produrre effetti duraturi nel corso del tempo.
Un aspetto del tutto imprevisto, e che sostanzialmente ha visto Obama “entrare” in un campo tipicamente appannaggio dei Repubblicani (ricorderete lo slogan Drill, baby, drill lanciato alla Convention di Saint Paul) è quello della sicurezza energetica e dello sfruttamento delle risorse fossili. Da questo punto di vista, i risultati sono stati, di certo, al di là di delle attese, con un aumento notevolissimo della produzione interna di petrolio (circa 500mila barili/giorno per anno negli ultimi 5 anni) e soprattutto di gas, elemento che ha prodotto prezzi particolarmente bassi e prepara la possibilità, per gli USA, di diventare paese esportatore. Anche se non è certo un caso che l’agenzia Usa per l’energia (EIA) abbia rinviato a fine anno la pubblicazione di un atteso report, dai cui risultati dovrebbe dipendere la decisione di Washington di dare via libera all’export di gas su vasta scala.
Le conseguenze di questo sfruttamento, che è destinato ad aumentare nei prossimi anni, potrebbero essere epocali. Infatti, questo potrebbe causare, da un lato, un minore interesse geopolitico nelle risorse del Medio Oriente, che verrebbero sostituite da quelle nazionali, insieme alla produzione canadese e brasiliana. Dall’altro, i prezzi delle risorse (in particolare per il gas naturale) a livelli nettamente inferiori rispetto a quelli europei possono avvantaggiare la competitività delle produzioni USA rispetto a quelle dei concorrenti asiatici ed europei, privi di simili benefici. Crediamo che la nuova presidenza Obama – come avrebbe fatto anche quella di Mitt Romney – sfrutterà questa arma strategica non da poco, per affrontare sia i problemi interni sia quelli internazionali.
Ludovico Ferraguto e Antonio Sileo