Amo l’Italia, ma ora basta! Prosegue la marcia virtuale degli imprenditori esasperati
Di virtuale c’è solo la marcia, il grido d’allarme contro le tante cose che impediscono di fare impresa in Italia è invece forte e reale. Una crisi nera che fa fallire per troppo credito. “Amo l’Italia, ma basta!” è lo slogan (ideato dall’agenzia Armando Testa) della manifestazione degli imprenditori che da Torino, nel giorno di San Valentino, hanno iniziato la battaglia per la risalita. E’ stata lanciata una marcia virtuale dei 40 mila con un sito, “Ripresa Impresa“, nel quale si invitano gli imprenditori italiani a lasciare un contributo video di 30 secondi per raccontare tutto ciò che impedisce loro di fare business. Tutti i presidenti delle Unioni Industriali hanno raccontato le situazioni dei loro territori e spiegato che cosa servirebbe per cambiare rotta. Le proposte sono quelle di sempre: taglio drastico dei costi produttivi, taglio del cuneo fiscale, stabilizzazione delle risorse per i salari di produttività, maggiore liquidità, rilancio degli investimenti in ricerca, imposta di credito allargate e investimenti per beni strumentali. Mai nessuna risposta.
Tra i partecipanti molti anche gli addetti ai lavori della green economy. Certezza delle regole e negli obiettivi futuri, le loro priorità. “Le rinnovabili stanno diventando sempre più competitive con le fonti tradizionali di energia: in Italia produrre la propria energia con un pannello fotovoltaico costa ormai meno che prelevarla dalla rete. Per investire ancora nel settore, quindi, c’è molto meno bisogno di incentivi, come è stato necessario fare negli anni passati. Occorre invece ridare alle imprese sicurezza nelle norme“, afferma Agostino Re Rebaudengo, presidente di Asja Ambiente Italia e di Assorinnovabili. “Le imprese green hanno infatti bisogno di sapere che i loro investimenti passati avranno un rendimento prevedibile, qualsiasi esso sia, sul quale costruire le proprie valutazioni. Invece, in questi giorni, con la definitiva approvazione del Destinazione Italia, migliaia di investimenti in piccoli impianti effettuati negli anni passati sono stati colpiti da una norma che ha tagliato la remunerazione dell’energia prodotta. Contemporaneamente un’altra norma ha bloccato per molti impianti la possibilità di compiere opere di ammodernamento e manutenzione”.
Altrettanto fondamentale è dare certezza sugli obiettivi futuri. “Gli investimenti nel settore energetico hanno una durata generalmente molto lunga, che va dai 20 ai 50 anni: avere una strategia energetica chiara di lungo periodo darebbe un segnale importante di indirizzo per le attività delle imprese del settore“, continua Rebaudengo. La fiducia non manca, ma le cautele sono d’obbligo. “Vista l’eredità lasciata dal precedente Governo in fatto di norme contro le rinnovabili, non possiamo che sperare che il nuovo Governo cambi passo. Dopo aver ascoltato le prime dichiarazioni, che hanno messo in risalto la volontà di sfoltire la burocrazia nel nostro Paese, siamo fiduciosi. Pensiamo che il desiderio di incidere sulle politiche dell’Unione Europea del nuovo Governo possa farlo associare alla maggioranza degli Stati Membri nel definire tre obiettivi ambiziosi per il 2030: sulle rinnovabili, sulla riduzione delle emissioni e sull’efficienza energetica. Tutti i maggiori esperti internazionali riconoscono che il futuro è rinnovabile, ma alcune imprese e alcuni politici italiani, nonostante i passi importanti compiuti negli ultimi anni, ancora stentano a crederci. Su questo ci aspettiamo che i Ministri siano chiari fin da subito. Ci auguriamo quindi che Galletti prosegua sulla stessa linea e che anche il Ministro Guidi collabori con una politica industriale sostenibile sia dal punto di vista economico che ambientale“.
La campagna pubblicitaria (“Amo l’Italia, ma è un amore non corrisposto”), ideata da Marco Testa, ha sullo sfondo una rosa rossa che appassisce. Le conclusioni sono del presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi. “Sono convinto che non ci sia ripresa senza impresa”, afferma tra gli applausi all’Unione Industriale di Torino. “Dateci un Paese normale e vi faremo vedere di che cosa siamo capaci. Occorre rilanciare gli investimenti con un sostegno all’innovazione e alla ricerca, e investimenti nei beni strumentali. Sostegno alla produttività per detassare il salario produttività; riallineare i costi della bolletta energetica alla media dei Paesi europei; serve una forte immissione di liquidità con una Pubblica Amministrazione che paghi i propri debiti. Ma non basta, dobbiamo chiedere l’avvio di un percorso di riforme istituzionali per avere un sistema-Paese moderno ed efficiente. Bisogna liberare il Paese da regole opprimenti della burocrazia”.
Alla riunione straordinaria del 14 febbraio scorso, sono intervenuti tutti i Presidenti delle associazioni confindustriali del Piemonte, una delle regioni più colpite: Licia Mattioli Presidente dell’Unione Industriale di Torino; Marco Giovannini di Alessandria; Paola Malabaila di Asti; Marilena Bolli di Biella; Franco Biraghi di Cuneo; Fabrizio Gea di Ivrea; Fabio Ravanelli di Novara; Giorgio Cottura di Vercelli e Valsesia; Roberto Colombo di VCO; il Presidente di Confindustria Piemonte Gianfranco Carbonato, Alberto Baban neo Presidente nazionale di Piccola Industria e Giorgio Squinzi, il Presidente nazionale di Confindustria. “L’impresa è in trincea”, chiarisce la Mattioli. “In un Paese che ha perso il 25 per cento della produzione industriale e il 9 per cento di Pil, che per Torino si traduce in 7 miliardi di prodotto interno lordo persi dal 2008, si parla di crisi nera”. “Una regione manifatturiera colpita duramente dalla crisi, più ancora di Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna”, aggiunge il presidente di Confindustria Piemonte Gianfranco Carbonato. “Abbiamo perso oltre 11 punti di Pil, oltre 12 miliardi, con 632 milioni di ore di cassa integrazione fatte e un tasso di disoccupazione più che raddoppiato, al 10 per cento”. Carbonato parla a nome delle 5.914 imprese del sistema confindustriale, “ma vogliamo rappresentare l’interesse dei nostri 273mila dipendenti”, precisa.
Parla invece di ritardi nei pagamenti la presidente degli industriali di Asti. “Qui il problema è che si fallisce per troppi crediti e non per debiti”. Da Ivrea Fabrizio Gea racconta di una complicata convivenza tra la difficoltà quotidiana di imprese e lavoratori e “la mancanza di visione di chi governa e l’incapacità anche di piccoli cambiamenti”. Pesa la mancanza di certezza del diritto, sottolinea tra gli applausi Franco Biraghi, a capo degli industriali di Cuneo. “Qui sindaci, amministratori e imprenditori rischiano il penale per svolgere il proprio lavoro. Se potessimo mettere le ruote sotto i nostri stabilimenti li porteremmo via”. Da Novara, provincia che meglio di altre ha retto l’urto, il presidente Ravanelli parla di Irap, di gettito aumentato dell’11 per cento in fase di crisi. “Una vera e propria spremitura!”.
Francesca Fradelloni