Amici di bicicletta. La mobilità ciclabile diventa bipartisan
“Il socialismo può solo arrivare in bicicletta”. La frase, attribuita a José Antonio Viera Gallo, è la sintesi (giornalistica) della tesi sostenuta dal politico cileno durante un’intervista: “Le alte velocità delle automobili”, argomentava Viera Gallo (vissuto in Italia per alcuni anni, durante la dittatura di Pinochet), “vanno contro il principio di uguaglianza di accesso e di utilizzo da parte di tutti, salvo che si potenziassero i mezzi di trasporto pubblici”. Era il 2006.
Per fortuna, la mobilità sostenibile e, in particolare, quella ciclabile, è diventata, nel giro di pochi anni, una cultura trasversale e una pratica condivisa. Non solo un modo diverso – dolce – per vivere ed attraversare l’ambiente urbano ed extraurbano, ma anche una vera e propria filosofia che interpella nuovi stili di vita. E che il Legislatore deve ancora intercettare.
Qualcosa si muove, tuttavia: la formazione di un intergruppo parlamentare “per la mobilità nuova” – in concomitanza con l’avvio dell’attuale Legislatura – conta già la presenza di oltre 60 tra deputati e senatori, provenienti da gruppi diversi, che proseguono il lavoro svolto dal precedente intergruppo “Amici della Bicicletta” nella XVI legislatura.“L’idea è quella di dare vita a un gruppo di parlamentari di Camera e Senato che promuovesse iniziative di legge in materia di mobilità sostenibile e trasporto pubblico”, spiega a Greenews.info Paolo Gandolfi, deputato Pd di Reggio Emilia e urbanista.
D) Gandolfi, quali sono le premesse del vostro lavoro?
R) Il senso è quello di costituire una sorta di lobby interna recependo iniziative e proposte avanzate da quei soggetti – associazioni e gruppi di persone – della società civile che operano per promuovere e diffondere la cultura della mobilità sostenibile. Il rischio, altrimenti, è che ci siano centinaia di proposte di leggi, presentate dai parlamentari, ma destinate a non vedere mai la luce, alla fine della Legislatura.
D) Esistono già leggi che disciplinano questo settore?
R) Ancora non c’è una legge organica che disciplini il trasporto sostenibile e in particolare quello ciclabile. Il corpus più importante da riordinare e rivedere è il Codice della Strada che ha anche la funzione fondamentale di sviluppare la mobilità sostenibile. Ma che negli anni ha inciso prevalentemente in ambito extraurbano, dunque sugli automobilisti. In ambito in urbano, il Codice ha lasciato priva di tutela l’utenza debole – pedoni, ciclisti e motociclisti – proprio perché manca di una visione organica della mobilità all’interno della città. Noi pensiamo che, guardando alle migliori esperienze europee, in materia di moderazione del traffico, la riduzione dei limiti di velocità, la sicurezza delle strade urbane, si possono ottenere grandi risultati: sia in termini di sicurezza, riducendo la mortalità e sulla dannosità degli incidenti che coinvolgono pedoni e ciclisti, ma anche e soprattutto in termini di vivibilità urbana (immaginiamo le strade di quartiere, dove la priorità sono i bambini e gli anziani e dove le macchine devono procedere a bassa velocità).
D) Avete già presentato delle proposte?
R) La rete per la mobilità nuova, a cui aderiscono circa 200 associazioni e non solo, quelle attive nel settore della mobilità (ci sono #salvaciclisti e Legambiente ma anche, per esempio, Slow Food e Libera), ha presentato già un Disegno di Legge che sosterremo come Intergruppo, per portare il limite di velocità in ambito urbano ai 30 Km orari, come misura significativa di un’idea diversa di mobilità in città. Naturalmente è necessario un lavoro legislativo ed è qui che subentriamo noi…
D) Cosa mi dice, invece, da urbanista, delle infrastrutture italiane? A che punto siamo?
R) Rispetto alle piste ciclabili, non c’è dubbio che siamo indietro rispetto ad altri paesi europei. È vero, però, che per gli addetti ai lavori e i ciclisti, quello delle piste è diventato un tema secondario: siccome la maggior parte degli spostamenti, nelle città, avviene in quella fascia intermedia tra centro storico e periferia, è difficile costruire piste ciclabili separate, mentre è molto più utile, dove non sia possibile recuperare spazi sicuri ed autonomi per i ciclisti, fare in modo che il traffico sia meno pericoloso e che consenta a un utente tipo di muoversi in sicurezza. Dove il traffico urbano – così come appare oggi – è fatto di lunghe soste e accelerazioni improvvise è chiaro che si creino situazioni inaccettabili per chi non si muove in automobile. Ad esempio, sostituire i semafori, dove si può, con le rotatorie, e operare sui limiti di velocità, perché se si investe un pedone a 50 km/h ha il 70% di probabilità di morire, mentre se la velocità è inferiore, l’investito ha più chance di sopravvivere.
D) Certo, se si impone un limite di velocità, occorre poi farlo rispettare…
R) Assolutamente. Anche perché non esiste, in concreto, la possibilità di costruire piste ciclabili separate dal resto della viabilità urbana: lo spazio pubblico delle nostre città è stato occupato progressivamente come spazio stradale. E il punto è che questo spazio deve essere condiviso tra diversi mezzi di trasporto: significa intervenire sulla strada e garantire la sicurezza. Può significare stringere la carreggiata, mettere sensi unici alternati in alcuni casi, e non limitarsi a mettere un cartello di velocità. Il modello a cui guardare, provvisto di un approccio organico, moderno, potrebbe essere quello svizzero, di Zurigo, o quelli francese e tedesco.
D) Quanti soldi sono necessari per questo tipo di interventi?
R) Secondo me, occorrono molta attenzione e un po’ di coraggio nei momenti giusti. Perché è chiaro che se noi volessimo trasformare tutte le città, subito, non potremmo farlo perché costerebbe tantissimo, pur trattandosi di interventi inquadrabili come riqualificazione urbana. Il tema vero è quello che un progetto di viabilità, elaborato oggi, deve poter includere tutti gli aspetti collegati alla sicurezza stradale e alla mobilità sostenibile. Intervenire successivamente, costa molto di più: è questa la sfida, anche culturale.
D) Oltre alla sicurezza quali sono gli altri punti principali?
R) All’interno del discorso sullo sviluppo della mobilità sostenibile, c’è poi la promozione della rete dei grandi itinerari ciclo-turistici, dell’Eurovelox: è ormai noto che ci sono paesi che hanno fatto del cicloturismo un punto di forza, trainante dell’economia locale, e l’Italia ha potenzialità immense. C’è tutto il tema del trasporto pubblico: si tratta di rafforzare l’intermodalità, l’uso congiunto dei mezzi, che renderebbe gli spostamenti attraverso le grandi città.
D) L’Italia viaggia ancora a due velocità anche in tema di mobilità sostenibile?
R) Dal punto di vista della gestione, sì, ci sono differenze sostanziali: in generale, molte città del Nord hanno già sviluppato la rete ciclabile e pur non essendo a livello del contesto europeo, possono competere con le città estere più avanzate. Nel Centro-Sud, il tema è stato meno sviluppato, a volte, anche per via dell’orografia. Poi ci sono piccoli centri che hanno puntato sulla mobilità pedonale, come Perugia e Siena. In generale, negli ultimi anni, osservo che anche nelle grandi città cresce una cultura, un po’ alternativa, che vede la bicicletta come un simbolo: è un fatto significativo che tutti i candidati a sindaco di Roma – a prescindere dal fatto che fossero seriamente intenzionati a sviluppare la mobilità ciclabile o meno – si siano fatti vedere o fotografare in sella a una bicicletta. Hanno, cioè, fatto passare un messaggio politico che legava la loro candidatura a una visione nuova, moderna di mobilità urbana.
D) Una moda, dunque?
R) Non solo. Certo, c’è anche un tipo di comunicazione che poi resta autonoma dai contenuti e dall’impegno effettivi. Ma io cito sempre il candidato conservatore britannico, David Cameron che si è fatto fotografare in bici: un mezzo di locomozione, simbolo di cambiamento e portatore di un messaggio di rinnovamento, a prescindere.
Ilaria Donatio