Allarme europeo per le api: moria superiore al 30%
“Se un giorno le api dovessero scomparire, all’uomo resterebbero soltanto quattro anni di vita“. Non è la teoria apocalittica di qualche anonimo ambientalista-animalista, ma una previsione scientifica attribuita ad Albert Einstein, che desta oggi nuove preoccupazioni. Ormai è infatti un dato acclarato: ci sono sempre meno api. Un’evidenza così lampante da essere entrata nei discorsi comuni. Tanti però si chiedono ancora quali siano le ripercussioni per l’ambiente e la salute dell’estinzione di questo insetto.
Secondo le stime dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), delle cento specie di colture che forniscono il 90% di prodotti alimentari in tutto il mondo, più di settanta sono impollinate dalle api. La maggior parte delle colture nell’Unione Europea dipende dall’impollinazione degli insetti. L’impollinazione è quindi vitale per la conservazione della biodiversità.
Sono gli apicoltori che negli ultimi quindici anni hanno riscontrato un impoverimento sempre più cospicuo del numero di api e la perdita di colonie, in particolare nei Paesi dell’Europa occidentale, fra cui Francia, Belgio, Svizzera, Germania, Regno Unito, Paesi Bassi, Italia e Spagna. Scienziati americani hanno coniato, per descrivere questo fenomeno, il termine “sindrome dello spopolamento degli alveari” (Colony Collapse Disorder) o CCD. La CCD è spesso caratterizzata dalla rapida perdita della popolazione di api operaie adulte da una colonia.
Non è stata individuata un’unica causa della diminuzione del numero di api. Tuttavia sono stati indicati diversi fattori. La scarsa o del tutto insufficiente alimentazione delle api, virus, attacchi di agenti patogeni e specie invasive come ad esempio l’acaro varroa (Varroa destructor), la vespa asiatica (Vespa velutina), il piccolo scarabeo dell’alveare (Aethina tumida) e l’acaro (Tropilaelaps), i vegetali geneticamente modificati e i cambiamenti ambientali. A tutti questi vanno aggiunti gli effetti dell’agricoltura intensiva e dell’uso di pesticidi.
Proprio a proposito di quest’ultima causa, la Commissione Europea ha proposto di sospendere per due anni l’uso di tre pesticidi appartenenti alla famiglia dei neonicotinoidi, sospettati di rappresentare un rischio elevato per la salute e la vita delle api. La sospensione riguarderebbe clothianidin, imidacloprid e thiametoxam relativamente alle produzioni che attirano le api, ossia mais, colza, girasole e cotone. L’Esecutivo di Bruxelles ha deciso di seguire questa strada alla luce del recente rapporto sull’uso di queste sostanze pubblicato dall’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (Efsa) le cui conclusioni, benché non definitive, hanno messo in grande allarme la Commissione UE. I pesticidi in questione sarebbero la causa della drastica riduzione nella UE della popolazione dei preziosi impollinatori, con morie mai attestate che raggiungono medie annue drammatiche, anche oltre il 30%. Gli scienziati dell’EFSA hanno analizzato e valutato molteplici studi indipendenti tali da portarli ad una radicale contestazione delle autorizzazioni concesse dal’Unione Europea.
Quella della Commissione è naturalmente una proposta, ancora ben lontana da diventare obbligo su tutto il territorio del Vecchio Continente. Probabilmente un vero e proprio Regolamento o Direttiva non vedrà mai la luce. Proprio per questo motivo associazioni ambientaliste di diversi Paesi stanno facendo pressioni sui Governi nazionali affinché si attivino per proibire i neonicotinoidi. Esattamente come hanno fatto in Italia Slow Food, Unaapi e Legambiente.
Già a maggio del 2012, nel contesto della propria strategia per combattere la diminuzione del numero di api, la Commissione Europea aveva stanziato 3,3 milioni di euro a sostegno di diciassette Stati membri che sono impegnati ad effettuare studi di sorveglianza per raccogliere ulteriori informazioni sulle perdite di colonie di api da miele. Questo impegno fa seguito a una relazione commissionata, anche in questo caso, all’Efsa “Bee Surveillance and Bee Mortality in Europe” (“Mortalità e monitoraggio delle api in Europa“) dalla quale è emerso che i sistemi di monitoraggio nell’Unione Europea sono inadeguati e vi è sia una carenza di dati a livello di Stati membri sia una mancanza di dati confrontabili a livello UE.
In Italia, nel mese di settembre 2011, è stato attivato il progetto “BeeNet – Apicoltura e ambiente in rete”. Un primo passo verso l’istituzionalizzazione delle attività di monitoraggio e delle segnalazioni in campo apistico. Si tratta di una raccolta di informazioni su determinate postazioni che derivano da osservazioni e campioni prelevati. La rete si propone di creare una forte interazione tra le istituzioni locali e gli operatori del settore, i quali non sono solo semplici fruitori, bensì attori attivi, importanti interlocutori nella definizione delle migliori strategie di intervento. Come ci racconta Monica Vercelli, la referente per l’Università di Torino, il progetto si inquadra nel contesto delle Direttive europee che riguardano le disposizioni in materia di neonicotinoidi. Nella legislazione UE si prevede, infatti, l’introduzione di programmi di monitoraggio per verificare l’esposizione delle api alle sostanze chimiche. Oltre a questo, continua Vercelli, la rete valuta la postazione degli apiari e lo stato degli alveari nei diversi contesti ambientali. Include poi, un apiario urbano, a Torino, che ha il fine di monitorare lo sviluppo delle api in città e nell’ambiente circostante, produrre mieli urbani, oltre naturalmente a conservare la biodiversità urbana. In un’ottica più ampia, il progetto si inscrive negli obiettivi della Rete Rurale Nazionale, che supporta la creazione di banche dati per raccogliere le best practices, cercando di richiamare investimenti e innovazione da parte delle aziende del settore.
Beatrice Credi