Tracciabilità dei biocarburanti: la svolta nel decreto del Ministero dell’Ambiente
Nei giorni scorsi é arrivato in porto, dopo un lungo iter, l’attesissimo Decreto del Ministero dell’Ambiente che istituisce anche in Italia le norme per il sistema di certificazione nazionale della sostenibilità dei biocarburanti e dei bioliquidi. Il Decreto nasce dalla Direttiva Europea 28/2009 sui criteri di sostenibilità e tracciabilità della filiera di produzione dei biocarburanti: un passo importante per un’industria in cui le questioni di eticità ambientale sono molte e di carattere talvolta contraddittorio.
L’industria dei biocarburanti, infatti, è determinata, da una parte, dalla necessità di diminuire la dipendenza dai combustibili fossili, responsabili dei cambiamenti climatici tramite la riduzione dell’utilizzo del petrolio nei trasporti. Da questo punto di vista il biocarburante, di origine naturale, è una scelta dal sicuro vantaggio ambientale. A volte, per altro, i biocarburanti sono prodotti con rifiuti o residui di altre produzione e allora si tratta di una win-win story: non solo contribuiscono a diminuire i gas serra, ma vanno anche a ridurre sostanze che potrebbero essere dannose, come gli oli fritti. D’altra parte però, l’origine della biomassa che entra nel ciclo di produzione del biocarburante può dare origine a ben altri problematiche: che tipo di coltivazione è stata effettuata? Dove avviene la piantumazione? Cosa c’era prima su quel terreno? Una foresta?
Sono queste le domande a cui vuole rispondere la Direttiva 28/2009, che determina innanzitutto la necessità di tracciare l’intera filiera di produzione, dal coltivatore al cliente finale. La tracciabilità si realizza tramite certificazioni a ogni stadio della produzione e distribuzione. Considerando che entro il 2020 il 10% dei carburanti utilizzati nell’Unione Europea dovrà provenire da fonte rinnovabile, stiamo parlando di una bella fetta del mercato.
La sostenibilità invece è definita attraverso alcuni elementi e caratteristiche che, pur non essendo esaustivi di tutte le sfumature etiche dell’utilizzo dei biocarburanti, certo vanno ad arginare molte delle maggiori problematiche: innanzitutto, si deve dimostrare da dove vengono le coltivazioni, per evitare che i terreni siano derivati da foreste, zone protette o ad alta biodiversità. In secondo luogo si deve dimostrare che il biodiesel o il biocarburante prodotto causi effettivamente una riduzione delle emissioni di gas serra rispetto all’equivalente carburante di origine fossile. Dal 2013 questa riduzione minima da garantire sarà del 35%, mentre salirà fino al 60% negli anni successivi.
Per l’applicazione della direttiva l’Unione Europea ha poi approvato alcuni schemi di certificazione volontaria che ne garantiscono il rispetto, tra cui il francese 2BSvc e il tedesco ISCC EU. Per le aziende italiane, invece, non c’era ancora una normativa di riferimento. A colmare il vuoto è arrivato dunque il decreto del Ministero dell’Ambiente, che stabilisce gli obblighi per gli operatori italiani della filiera dei biocarburanti. Accredia si dovrà poi occupare dell’attività di accreditamento dei certificatori, che dovranno verificare il rispetto delle norme UNI CTI 11429 e UNI CTI 11435. Entro il 31 agosto 2012 le aziende si dovranno adeguare ed essere già in possesso di un certificato di conformità.
Veronica Caciagli