L’invasione dei parassiti esotici, tra ricerca e burocrazia
L’albero è da sempre il simbolo della stabilità. Immobile, possente, capace di resistere al cambiamento delle stagioni. In Italia, secondo il Corpo Forestale dello Stato, ce ne sono 12 miliardi. Un patrimonio immenso e prezioso, e tuttavia esposto a rischi crescenti. Oltre all’inquinamento e ai cambiamenti climatici, a minacciare gli alberi ci sono i tanti parassiti esotici arrivati da Paesi lontani, e in grado di distruggere la nostra flora. Detto così può sembrare strano, eppure da tanti insetti di pochi centimetri può dipendere il destino di un intero viale alberato, un parco, una foresta. In una parola, del nostro paesaggio.
Uno dei primi parassiti “esotici” ad arrivare in Italia, nel 1945, è stata la fillossera della vite: «Allora, la soluzione fu importare le viti-madre dagli Stati Uniti e innestare su di esse le specie indigene», spiega Pio Federico Roversi, ricercatore presso il Cra-Abp (Centro di ricerca per l’agrobiologia e la pedologia) e presidente della Società italiana di Nematologia, scienza che studia una particolare famiglia di parassiti. Se in quel caso l’attacco fu contrastato con successo, non è sempre così semplice combattere i parassiti arrivati più recentemente. Gli scambi con l’estero e i viaggi sempre più frequenti dovuti alla globalizzazione, uniti ai cambiamenti climatici, hanno fatto sì che negli ultimi decenni il numero degli insetti esotici approdati nel nostro Paese sia notevolmente aumentato.
In diversi casi, si è assistito a vere e proprie «invasioni biologiche»: «Una coppia di Punteruolo rosso delle palme può generare in un anno, in assenza di fattori limitanti, circa 53 milioni di esemplari. D’altra parte, con gli insetti non arrivano mai i loro nemici naturali», con la conseguenza che la proliferazione avviene senza ostacoli e l’aggressione agli alberi è totale, incontrastata: «E’ come mettere una capretta in un campo di insalata senza nessuno che la controlla», sintetizza Roversi. Le femmine del Punteruolo depongono le loro uova alla base delle foglie o dei giovani germogli, nelle ferite o nelle cicatrici presenti sulla pianta. Le larve neonate cominciano a nutrirsi dei tessuti più teneri per poi penetrare all’interno dell’albero, scavando profonde gallerie che pian piano compromettono la stabilità della pianta e ne causano la morte. Per trovare una soluzione concreta all’emergenza, nel 2008, il Ministero delle Politiche Agricole ha avviato il programma Dipropalm, uno dei tanti progetti messi in atto per combattere l’emergenza insetti esotici – meno presente sui media, ma altrettanto pericolosa di altre catastrofi naturali più eclatanti.
La natura spesso reagisce positivamente all’arrivo di parassiti, ma in casi di attacchi così violenti, la situazione è diversa: «Sul territorio italiano sono arrivate più di 400 specie, ma solo con una decina si è verificata una vera e propria invasione, che sta generando seri problemi». Come nel caso del Tarlo asiatico, «un grande coleottero proveniente dalla Cina che attacca le latifoglie, come querce e platani, scavandole alla base e annidandosi nelle radici, fino a comprometterne la stabilità». Per adesso, in Italia ci sono tre focolai: in Lombardia, in Veneto e a Roma, dove sono stati fatti controlli a tappeto all’interno del grande raccordo anulare.
E non è rimasto immune ai parassiti neanche uno degli alberi-simbolo dei nostri Appennini. A minacciare il castagno è il Cinipide galligeno, un piccolo insetto, sempre originario della Cina, segnalato per la prima volta in Italia nel 2002, in provincia di Cuneo. Il Cinipide depone le uova nelle gemme della pianta, che per reazione crea delle bolle rosse su germogli, foglie e fiori. Un attacco di questo insetto significa gravi perdite nella produzione dei frutti e problemi nella crescita dell’albero. «In questo caso, il messaggio che si cerca sempre di dare è di non trattare con sostanze chimiche fai da te. Le sostanze chimiche possono servire in certe zone per salvare piante monumentali e tamponare la situazione, ma il rischio di usarle in modo sistematico è quello di selezionare le piante più resistenti a questi trattamenti», sottolinea Roversi.
Meglio affidarsi a metodi non dannosi per l’ambiente: «In generale, si cerca sempre di operare con sistemi rispettosi dell’equilibrio ambientale, per esempio con prodotti a base di batteri che agiscono nell’intestino degli insetti. Un’altra soluzione è il potenziamento di nemici autoctoni o l’introduzione di nemici naturali provenienti dal Paese d’origine del parassita». Per la Cimice americana, «che punge le pine e le fa abortire» (negli ultimi anni la produzione italiana di pinoli è crollata da 80.000 a 4.000 tonnellate di pine raccolte), il predatore naturale ci sarebbe già. È un insetto trovato dai ricercatori italiani sulle coste del Canada e che potrebbe essere introdotto nel nostro ecosistema per tamponare l’invasione della Cimice. Ma, come spiega Roversi, tutto è bloccato a causa di un inghippo legislativo: «La direttiva europea Habitat, sulla conservazione della biodiversità, stabilisce che a scopo di lotta biologica, dopo un iter di controllo e autorizzativo, è possibile introdurre nell’ambiente naturale i nemici dei parassiti. Questo è possibile in tutta Europa meno che in Italia, dove ci si è dimenticati di accogliere una modifica alla direttiva!». La proposta di legge esiste già, ma i tempi del Parlamento sono molto più lunghi di quelli di una colonia di insetti. E i pini italiani dovranno ancora aspettare.
Veronica Ulivieri