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Green economy e tribunali: “fregatura” retroattiva per i pionieri del Primo Conto Energia Top Contributors

Nelle ultime settimane le rinnovabili sono tornate alla ribalta sui media a più riprese, prima in positivo – come possibile punto di incontro e di accordo programmatico tra forze politiche lontane ma non inavvicinabili – poi, in negativo, per la più grande confisca mai fatta in Italia: un miliardo e trecento milioni di euro di beni sequestrati in Sicilia occidentale, Lombardia, Lazio e Calabria. I sigilli sono stati apposti al patrimonio riconducibile a Vito Nicastri di Alcamo, imprenditore leader nel settore della produzione di energia fotovoltaica ed eolica che, secondo gli investigatori della Direzione Investigativa Antimafia, si sarebbe «relazionato costantemente con esponenti di Cosa Nostra».

Le indagini economico-finanziarie hanno consentito di stabilire che la posizione di vertice nel settore dell’energie verdi da parte dell’imprenditore trapanese è stata acquisita grazie alla «contiguità consapevole e costante agli interessi della criminalità organizzata». Indubbiamente una brutta pagina della green economy, che specie per quanto riguarda la produzione di energia da fonti rinnovabili ha spesso avuto a che fare con i giudici, ma quasi sempre per questioni di diritto amministrativo e non certo penale.

L’intervento dei Tribunali Amministrativi Regionali e del Consiglio di Stato è stato, invece, molte volte richiesto per problemi autorizzativi e per dispute sull’accesso ai regimi di incentivazione o nella gestione dei Conti Energia stessi. Tra queste dispute rientra quella relativa alle tariffe previste nel Primo Conto Energia, che devono essere considerate fisse a livello nominale e decrescenti in termini reali, senza possibilità di adeguamento al tasso di inflazione annuo rilevato dall’Istat.

A comunicarlo è stato il GSE sulla base di una decisione del Consiglio di Stato (9/2012), riunito in Adunanza Plenaria, che ha completamente ribaltato quanto stabilito in prima battuta dal Tar Lombardia e in una precedente sentenza dello stesso Consiglio di Stato. Al centro della contesa la legittimità delle modifiche apportate dal D.M 6 febbraio 2006 al precedente D.M. 28 luglio 2005. A sei mesi di distanza dall’emanazione del primo decreto, infatti, il Ministero dello Sviluppo Economico era intervenuto nuovamente, cancellando l’aggiornamento tariffario all’inflazione per quegli impianti fotovoltaici che avessero fatto domanda prima del febbraio 2006.

Ad impegnare tanto la magistratura amministrativa è stata la corretta individuazione della natura, innovativa o meramente interpretativa, di quanto disposto nel decreto ministeriale 6 febbraio 2006. Per il giudice di primo grado, il TAR Lombardia (sent. 2126/2006) le modifiche stabilite dal decreto 2006 hanno portata innovativa: in questo caso, l’articolo incriminato deve essere annullato perché altrimenti avrebbe effetto retroattivo. Arriva alla stessa conclusione il Consiglio di Stato (Sez. VI 1435/2008), rigettando l’appello promosso dal GSE. Secondo la Corte “è lo stesso Ministero a qualificare l’intervento quale modifica e integrazione del precedente decreto, e non come interpretazione o semplice precisazione”.

La questione però non si è risolta tanto che dopo una nuova impugnazione della sentenza di primo grado il contrasto giurisprudenziale è diventato di così notevole rilievo da richiedere l’intervento dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (decisione 9/2012), il Presidente riunito insieme a dodici consiglieri si sono espressi in maniera differente rispetto alle suddette sentenze. Per l’Adunanza Plenaria, infatti, la norma del D.M. 6 febbraio 2006 è valida perché ha valore prettamente interpretativo.

La legge, infatti, non può disporre che non per l’avvenire. Ma se essa, invece di disporre, si limita a interpretare quanto già disposto, allora deve essere considerata legittima. Secondo l’Adunanza Plenaria, dunque, il decreto ministeriale del 2006 ha chiarito un’intricata situazione: le tariffe per gli impianti entrati in esercizio con il Primo Conto Energia devono rimanere fisse per vent’anni, pur diminuendo in termini reali. Altrimenti, i gestori percepirebbero incentivi crescenti e non decrescenti, come stabilisce, invece, il D.Lgs 387/2008 di cui i decreti sono diretta attuazione.

Tecnicamente la questione dovrebbe essere così (definitivamente) risolta, l’intervento dell’Adunanza Plenaria, infatti, non ammette ulteriori gradi ed è solo un’ipotesi di scuola quella di sezioni che in futuro si pronuncino al di fuori della traccia definita dall’Adunanza. Va notato, tuttavia, che non sono mancate le voci di dissenso secondo le quali la decisione del Consiglio di Stato andrebbe sottoposta alla Commissione Europea, perché in contrasto con il principio di affidamento e di illegittimità delle modifiche delle tariffe con effetto retroattivo. La partita, dunque, potrebbe non essere chiusa.

Antonio Sileo* e Manuela Mischitelli**

*Ricercatore IEFE Bocconi e I-COM

**Ricercatore I-COM

 

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