AIAB: un biologico inclusivo e a misura di contadino. Con una certificazione unica
“Dieci anni fa avevamo una Ferrari, oggi invece, conduciamo una vettura che speriamo almeno non ci lasci a piedi”. Nell’amara constatazione contenuta in quest’immagine, è possibile leggere, in controluce, tanto il bilancio degli “errori politici” commessi in passato quanto una prospettiva di riforma: se l’analisi del passato, infatti, rivela un mondo – quello del biologico italiano – che potenzialmente avrebbe avuto tutti gli strumenti per crescere ed essere competitivo sul mercato internazionale e che, finora, a causa di regole penalizzanti è stato al contrario frenato e compresso, una corretta visione del futuro dovrebbe interrogarsi sui passi da compiere per rimetterlo in moto. Quale futuro dunque per l’agricoltura biologica nel 2020? Se lo è chiesto AIAB – l’Associazione Italiana Agricoltura Biologica – venerdì scorso, provando anche a stilare una lista di proposte in vista della revisione dell’impianto di regole che entrerà in vigore nel 2016: il primo regolamento europeo che disciplinava il settore risale al 1991, successivamente integrato nel 2007 con il Reg. 834/07. L’esigenza dell’associazione di produttori bio guidata dal presidente Alessandro Triantafyllidis è dunque di “guidare un percorso di riflessione in modo propositivo”.
Anche perché i segnali ricevuti fin qui, non lasciano ben sperare i produttori: le proposte avanzate nella bozza di decreto presentato dal Ministero dell’Agricoltura per contribuire alla programmazione della nuova PAC – la Politica Agricola Comune che entrerà in vigore nel 2014 – sono modeste, evasive e generiche, i tagli al budget massicci: “E’ assente un’idea di governo del territorio che passi attraverso il protagonismo degli agricoltori, di coloro cioè che lavorano la terra e non dei proprietari terrieri, che vivono di rendite di posizione” sottolinea, nel suo intervento, il presidente Lipu (Bird Life Italia), Fulvio Mamone Capria. Ma uno dei principali punti critici, per gli operatori del settore, pare essere proprio un sistema delle regole che “semplifichi le procedure, ma che allo stesso tempo garantisca sicurezza al consumatore, e metta a punto sanzioni certe, ripensi tutto il sistema di certificazione e di controllo, condivida i dati e li metta a disposizione di tutti i produttori, allo scopo di facilitarne il lavoro”, interviene Emilio Gatto, direttore generale ICQRF (l’organo di controllo del Ministero delle Politiche Agricole).
Servirebbe dunque, in sintesi, che ciascuno facesse bene il proprio lavoro: è necessario, a monte, un indirizzo politico – sostengono i produttori – che dia la direzione e indichi i criteri a cui attenersi; ma c’è naturalmente la necessità che controllati e controllori siano due categorie distinte, senza commistioni tra l’una e l’altra, con un sistema di certificazione che non diventi una “gabella obbligatoria” per il produttore, ma un “valore aggiunto” che, sulla base di precise regole che esistono e sono sancite sul piano internazionale stabilisca chiaramente quello che è bio da quello che non lo è e non lasci il consumatore nel dubbio.
Ecco la necessità, tira le somme la vicepresidente dell’AIAB, Cristina Micheloni, di “guidare l’intero processo di elaborazione del regolamento: perché questo non si limiti a una lista della spesa, ma accompagni la crescita del bio”. Accanto alle esigenze di semplificazione, dunque, e di sicurezza e flessibilità (un regolamento inclusivo delle piccole aziende), c’è il nodo dell’adeguatezza “ai fattori di rischio”, spiega Micheloni, “e cioè far valere il famoso principio dell’equivalenza applicandolo, ad esempio, all’import delle materie prime provenienti dai paesi non europei”.
Più in generale, sembra di capire, che, a questo punto del percorso, esista da parte dei produttori del biologico “l’esigenza di fare sistema” e non cadere nella trappola (anche comunicativa) del “biologico di serie A e di serie B”: “Il biologico è uno solo”, prosegue Cristina Micheloni”, “e sarebbe il caso di portare anche in Italia il dibattito sulla convenzionalizzazione del bio”.
Tornando quindi alla domanda iniziale, come dovrebbe essere il biologico del 2020? “Grande ma a misura di contadino, rispettoso dei principi di green economy e cioè, consolidato, e inclusivo dei ruoli e delle competenze di tutti, e naturalmente dotato di un sistema di certificazione unico, senza falle pericolose”, chiosa Micheloni. Per rendere possibile tutto questo, si sono ripromessi i produttori bio, “occorrerà darsi delle scadenze ed essere consapevoli dei tempi – perché fare una cosa ottima quando è troppo tardi è inutile – ed essere attivi su molti livelli: quello europeo, nazionale e regionale”.
Ilaria Donatio
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