Sull’ozio: sostenibilità ambientale dello stare in poltrona
Creativo, ricreativo, meditativo, intellettuale, salutare… L’elogio dell’ozio ha raccolto negli ultimi anni una nutrita schiera di voci e testimonial, tra filosofi, scrittori, artisti, sociologi e persino economisti. Tanto che il festival Architettura in Città di Torino, riflettendo sull’uso del tempo e dello spazio nel prossimo futuro, ha voluto chiudere l’edizione 2014 proprio con un dialogo sull’oziare, protagonisti il regista Davide Ferrario e l’architetto Patricia Urquiola.
Insomma, altro che “padre del vizio”: se non fosse per la fortunata assonanza che ne ha garantito la persistenza per secoli (meglio di uno slogan del caffè!), nessuno ormai citerebbe più l’ingiuriosa nomea con cui Catone il Vecchio rovinò la reputazione a questa sacrosanta (in)attività.
Oziare è intelligente, o meglio – aggiornando la terminologia – è smart. Chiunque sia chiamato a far parte del citato club di estimatori dell’indolenza, come minimo farà partire la sua apologia del tempo inoperoso dal concetto latino di otium, nobile attività intellettuale, di studio e di cura del corpo, prerogativa dell’uomo libero. Poi magari citerà Seneca, che vedeva l’ozio come una scelta di saggezza e di vita incorrotta; Petrarca e il suo ascetico isolamento letterario; o Bertrand Russell, che ammoniva contro i danni dell’eccesso di zelo e invitava alla riflessione. Per arrivare infine a deprecare, con Silvano Agosti, un sistema di vita fondato essenzialmente sul lavoro e a elogiare, secondo le teorie di sociologi come Domenico De Masi, le grandi possibilità creative delle ore passate a oziare.
Slow down, direbbe allora il vecchio Bertrand, rallentate, che vi fa bene al corpo, all’anima e al cervello. E non solo. Perché i benefici dell’ozio non riguardano esclusivamente l’esistenza individuale. Basta provare a ribaltare la prospettiva e pensare a cosa noi possiamo fare per l’ambiente che ci circonda, semplicemente non facendo niente. Oziare è, fra tutte le attività umane, la più sostenibile, la più ecologica e la più prossima all’impatto zero. Ebbene sì, l’ozio è green.
Tutta l’infelicità del mondo deriva dalla nostra incapacità di starcene seduti tranquilli in una stanza, scrisse Blaise Pascal. Lui probabilmente aveva in mente la Guerra dei Trent’anni, i maneggi di Richelieu, l’Inquisizione spagnola e altre amenità simili. Ma anche senza uscire di casa per dare inizio a una guerra di religione, la giornata tipo di un qualsiasi lavoratore, in gran parte del nostro mondo, ha comunque un impatto sull’ambiente, in termini di risorse ed energia consumate, di inquinamento, di CO2 prodotta. Il gas per fare il caffè, l’acqua per la doccia, l’elettricità per caricare il cellulare, la benzina per l’automobile e i suoi scarichi inquinanti immessi nell’aria (e ancora non si è nemmeno arrivati sul posto di lavoro); e poi luci, ascensori, computer, riscaldamento o aria condizionata, carta e inchiostro per stampare, ordini e spedizioni con relativi trasporti e imballaggi, trasferte d’affari in treno o in aereo…
D’accordo, si può obiettare che è inevitabile, che la maggior parte delle volte non se ne può fare a meno perché viviamo in questo sistema e la decrescita, con tutta la sua apologia della lentezza, benché sia oggi molto propagandata e quasi di moda, è in realtà messa in pratica solo da sparuti gruppetti di pionieri. Ma almeno nel weekend, quando non è necessario correre e spostarsi, perché non accontentarsi del divano o del prato vicino a casa, invece di imbottigliarsi in interminabili code in autostrada per raggiungere spiagge affollate o piste da sci?
Secondo il giornalista americano David Owen, fautore di un’idea piuttosto radicale di stile di vita sostenibile, il vero problema ambientale della mobilità non sono l’efficienza dei mezzi di trasporto e il consumo di carburante, ovvero i chilometri per litro: sono i chilometri stessi. Insomma, con buona pace degli iperattivi, dei workaholic e degli stakanovisti della domenica, per il bene del pianeta bisognerebbe smetterla di consumare asfalto e macinare chilometri e imparare a starsene un po’ tranquilli.
Non è facile, certo. “Siamo così presi dai ritmi frenetici del sistema, che presto inizieremo a frequentare centri per imparare a oziare”, suggerisce Patricia Urquiola. I corsi, volendo, già esistono, ma prima di spendere soldi per un master in poltroneria avanzata, provate con un semplice esercizio: la prossima domenica non toglietevi il pigiama, prendete un libro, buttatevi sul divano e oziate, sapendo che l’ambiente vi è grato per la vostra inattività. Non accendete l’aria condizionata però, altrimenti non vale!
Giorgia Marino