Sorpasso storico: la bici corre più veloce dell’auto (nelle vendite)
Nelle società capitalistiche le rivoluzioni non si fanno (solo e sempre) scendendo in piazza ma anche (e soprattutto) con il portafoglio. Sono le nostre scelte di consumo a cambiare concretamente il mondo: il modo in cui spendiamo i soldi o la semplice scelta di non spenderli affatto (talvolta perché costretti dalla crisi) possono spostare l’ago della bilancia del consumo di territorio, dell’inquinamento dell’aria, della distruzione di risorse ambientali e naturali, della cementificazione delle nostre città e campagne.
La notizia che le vendite di biciclette, nel 2011, hanno superato quelle di auto ci racconta una di queste rivoluzioni, questa volta di proporzioni storiche. Ci racconta di un paese in cui le difficoltà economiche (ma forse anche una mutazione culturale) stanno allontanando sempre più cittadini dall’acquisto e dall’utilizzo di un’autoveicolo; fotografa una realtà in cui il semplice possesso della macchina è diventato di per sé un lusso, tra tasse, bolli, parcheggi e chi più ne ha più ne spenda; e restituisce la realtà di migliaia di persone che semplicemente, con la benzina a 2 euro, non possono più permettersi un pieno e preferiscono uscire a piedi, utilizzare i mezzi pubblici o, appunto, riscoprire la bicicletta.
Ma visto con le lenti della storia, questo sorpasso simbolico delle due ruote sulle quattro, diventa una pietra miliare nella storia del mondo occidentale. Sicuramente è presto per intonare il canto del cigno al sistema dell’automotive, e però forse davvero è arrivato al tramonto quel binomio motorizzazione-petrolio che ha retto per sessant’anni almeno lo sviluppo del capitalismo occidentale: insomma, se le vendite sono ripiombate ai livelli del 1964, è anche vero che negli anni Sessanta nel nostro Paese circolavano 1 milione e 800 mila mezzi, mentre nel 2008 il parco auto ha raggiunto la cifra di 35 milioni. Come si fa a aumentare ancora questa cifra? A chi si può pensare di vendere ancora auto?
Il fatto che nel 2011 si siano vendute più bici è quindi probabilmente frutto, in primo luogo, di un impoverimento generale – più che della maturazione della green economy – che porta a rinunciare a certi acquisti costosi (o quanto meno a dilazionarli nel tempo). E altri dati, come ad esempio l’aumento delle vendite di farina, ci dicono che molte persone stanno anche sfruttando questa crisi come occasione per ripensare il proprio palinsesto di consumi e il proprio stile di vita, cercando proposte e acquisti che guardino anche al benessere del territorio e dell’ambiente, oltre che a quello personale.
Presi per buoni questi dati, sorgono due considerazioni. La prima, è che il sistema dell’automotive, che tra fabbriche finali e indotto occupa nel nostro paese circa 500 mila persone (!), o cambia o muore: in ballo non ci sono solo le scelte industriali di un’azienda (ogni riferimento è puramente voluto), ma centinaia di migliaia di posti di lavoro e soprattutto la direzione che si vuole dare al Paese, al suo futuro produttivo, alla possibilità di intercettare mercati e settori, come quelli della mobilità sostenibile, ad alto tasso di innovazione tecnologica. Si tratta, è evidente, di un problema che interroga anche la politica, oltre che appunto le imprese: che cosa ne pensano in proposito Monti e Passera?
La seconda considerazione è che, forse, è arrivato il momento di ripensare le città per mettere al centro, per la prima volta, i pedoni e i ciclisti e non più le automobili. In Italia, ancora oggi, solo il 4% degli spostamenti viene effettuato sulle due ruote e questo perché la viabilità è ancora pensata principalmente in funzione delle macchine. Le scelte di consumo dei cittadini, a saperle ascoltare, ci stanno chiedendo di cambiare.
Marco Bobbio