Sciarra (Legambiente): non saranno certo gli OGM a farci uscire dalla crisi
La querelle sugli OGM non si placa e suscita molte domande, alle quali la nostra inchiesta a puntate (#bioedintorni) cerca di fornire le risposte di alcuni esperti del settore. Il tema di base sembra tuttavia restare uno: qual è il modello di agricoltura che vogliamo per il nostro paese? E qual è il rapporto tra agricoltura e ambiente che garantisce una reale ecosostenibilità? Mentre la battaglia sul biotech si sposta, nuovamente, dal campo alle aule di tribunale – il prossimo 18 settembre il Tribunale del Riesame dovrebbe pronunciarsi sul ricorso dell’imprenditore Giorgio Fidenato contro la decisione della Procura di Udine di distruggere i suoi campi di mais MON 810 e, parallelamente, un’altra aula di giustizia, quella del TAR del Friuli, dovrebbe decidere su un altro ricorso dell’agricoltore contro il divieto di coltivazione di mais OGM nella Regione Friuli Venezia Giulia (che si è costituita in giudizio) – nel dibattito interviene una delle principali associazioni ambientaliste italiana, Legambiente, con Daniela Sciarra, coordinatrice nazionale del settore agricoltura della Onlus, che in passato già si è occupata, per conto dell’ufficio scientifico di Legambiente, anche dei dossier “Pesticidi nel piatto”.
D) Dott.ssa Sciarra, tra i grandi temi ambientali di cui Legambiente si occupa c’è anche quello dell’agricoltura, qual è la questione legata agli OGM che più vi preoccupa?
R) A distanza di anni ci troviamo a confermare quanto detto in passato: la scienza ancora non è arrivata a un risultato unanime sulle relazioni tra OGM e salute dell’uomo, tuttavia è chiaro a tutti che il trasferimento di geni da una specie all’altra – perché questo è il principio della tecnologia biotech – può provocare un processo incontrollabile. Ad oggi alcuni studi hanno confermato effetti nocivi su cellule o sistemi di animali, mi riferisco ad alcune ricerche legate al gruppo di scienziati europei dell’Ensser o a Seralini. Ancora una volta inoltre il rischio è la perdita di biodiversità causata semplicemente da qualcosa che non si può evitare in natura, ovvero la contaminazione accidentale tra colture OGM e non della stessa specie, oppure dall’uso di diserbanti associati a coltivazioni GM, con conseguenti morie di insetti o inquinamenti di falde acquifere.
D) È solo questione di parteggiare o meno per le colture GM o queste critiche coinvolgono una riflessione più ampia, ad esempio su quale modello rurale si vuole in Italia?
R) Di sicuro la discussione non può prescindere dal modello di agricoltura che si vuole adottare e che coinvolge vari ambiti, come l’ecologia o la salute, ma il punto nodale è capire se gli OGM sono un vantaggio economico oppure no. I fautori degli OGM sostengono che la pianta transgenica possa adattarsi ai cambiamenti climatici, come l’innalzamento della temperatura atmosferica o la minore disponibilità di risorse, tra queste il rischio di desertificazione, e di conseguenza siano una risposta al problema della fame nel mondo aumentando le rese produttive. Ci sono però già alcuni agricoltori americani di coltivazioni GM che hanno dichiarato di essersi pentiti perché non hanno ottenuto i risultati economici sperati. Visti dall’Italia, a oggi gli OGM non rappresentano certo una soluzione dal punto di vista economico, bensì un rischio per produzioni italiane di qualità e certificate.
D) È possibile secondo lei, nel nostro paese, un’agricoltura completamente OGM free? In una recente audizione alla Camera dei deputati sull’Expo 2015 Legambiente ha toccato questo tema nell’ambito della valorizzazione del nostro agroalimentare…
R) Certamente, ma non è solo questione di introdurre o meno prodotti OGM. Un’agricoltura ecocompatibile prevede un nuovo modello agricolo che poggi le proprie basi sul rispetto di alcuni criteri ambientali, come un minimo uso di sostanze chimiche di sintesi inquinanti o rischiose per la salute umana (tra questi fertilizzanti, pesticidi ed erbicidi), e come una riduzione dei consumi energetici. Nell’audizione alla Camera abbiamo portato l’esempio dell’agricoltura biologica, che nonostante la crisi ha ampliato la propria sfera di mercato. Ecocompatibilità significa anche determinare un sequestro di carbonio non forzato mantenendo la fertilità del suolo, usare tecniche come la copertura permanente, gli avvicendamenti colturali, sovescio, promuovere il risparmio idrico con una riduzione di prelievi di acqua superficiale, contribuire alla stabilità idrogeologica del suolo, ridurre le emissioni per il trasporto e innovare ad esempio valorizzando la biomassa e il riuso dei sottoprodotti agricoli. È chiaro che un modello che punta alla qualità, come quello appena descritto, cozza abbastanza con un modello di agricoltura transgenica che non riesce a mettere a valore le tipicità delle colture italiane. La nostra agricoltura ha tutte le potenzialità per recuperare un ruolo ecocompatibile, a patto che tenga conto di tre principi, ovvero che il germoplasma è un bene comune, che i semi e il materiale genetico delle razze animali non sono brevettabili da nessun privato, che il cibo deve essere sicuro grazie alla riduzione della chimica di sintesi e all’adozione di standard per monitorare il multiresiduo di fitofarmaci e pesticidi che finisce nei nostri piatti. Gli OGM invece vanno in altra direzione, quella della proprietà dei semi. Le multinazionali ad esempio hanno il diritto di rivalersi su qualsiasi agricoltore che coltivi piante che anche solo accidentalmente siano contaminate da materiale transgenico. In India il crollo del prezzo del cotone GM ha portato molti agricoltori incapaci di far fronte ai debiti al suicidio, come raccontano alcune organizzazioni non governative.
D) Il problema dei semi brevettati però non è legato esclusivamente agli OGM, da cinquant’anni circa ormai il mais si riproduce attraverso ibridi con sementi brevettate dalle cui piante non si possono recuperare i semi…
R)Assolutamente sì, ma è vero che le sementi OGM in natura non si trovano, il miglioramento genetico invece è un’altra cosa. Per di più gli OGM non funzionano allo scopo per il quale erano stati pensati, come la riduzione dei trattamenti.
D) Quali possono essere le ricadute sul piano ecologico?
R) Sono stati documentati, un paio d’anni fa, alcune mutazioni genetiche in anfibi a causa del Roundup e la quasi scomparsa in Messico della farfalla monarca per il glifosate. Recentemente negli Stati Uniti è stata evidenziata una contaminazione del 2% sull’erba medica convenzionale da quando la coltivazione dell’erba medica Roundup Ready era stata deregolamentata, e ancora in Brasile e Argentina la soia transgenica ha rimpiazzato le produzioni locali come patate, mais, grano e miglio, con una perdita di biodiversità importante.
D) Una delle critiche più diffuse nei confronti di quanti sono contrari agli OGM è di oscurantismo. Anche lei vuole tornare al medioevo? Ci sono parti delle biotecnologie che salverebbe?
R)La tecnologia ben venga e anzi deve andare avanti. Per chi ci critica dire “no agli OGM” significa ostacolare ricerca e progresso tecnologico, per noi significa invece incentivare la ricerca così com’è per raggiungere risultati affidabili, in primis sulla sicurezza OGM, e diffondere informazioni il più corrette possibile. Almeno a partire da due termini: transgenico, ovvero una tecnologia che permette il trasferimento artificiale di geni e nuove competenze da un organismo a un altro di specie diverse, e miglioramento genetico, con cui si intende l’incrocio tra individui della stessa specie che hanno stessi geni e funzioni. Quest’ultima tecnologia è già ampiamente diffusa non solo in Italia ma in tutto il mondo, la soluzione per la nostra agricoltura c’è già.
Alessandra Sgarbossa