Ritorno alla natura: il fenomeno degli ecovillaggi
Nel 1962, tre avventurosi camperisti si fermano nel sud della Scozia. Non vogliono semplicemente fare campeggio, ma amano la natura e sognano di vivere in completa sintonia con se stessi e con la Terra. Da quel piccolo nucleo di caravan, nasce, nel 1985, l’ecovillaggio di Findhorn, uno dei primi in Europa.
In Gran Bretagna e Irlanda, le comunità come Findhorn sono oggi circa 250, in Germania oltre cento, in Italia almeno venti. L’area più ricca di comunità ed ecovillaggi è l’America, dove si contano almeno 2000 comunità, il 90 per cento delle quali situate negli Stati Uniti.
Ma cosa sono di preciso gli eco villaggi? In poche parole, si tratta di comunità di persone che decidono di vivere insieme, in un contesto condiviso, ispirandosi a criteri di sostenibilità ecologica, spirituale, socioculturale ed economica. A volte si condividono i pasti e la vita quotidiana, in altri casi ogni famiglia abita in una casa da sola, ma partecipa attivamente alla vita della comunità. Un luogo, spiega il manifesto della Rete Italiana Villaggi Ecologici, «che unisce l’uomo con la natura, considera la terra come un valore ed il ritorno ad essa una tendenza da sostenere nella funzione dell’autosufficienza».
Il confine con altri tipi di vita in comune non è sempre chiaro e ben marcato e spesso la questione è solo linguistica. Gli abitanti di Urupia, in provincia di Brindisi, per esempio, preferiscono definirsi una comunarda, per la profonda collettivizzazione che li ha segnati fin dall’inizio. A volte, invece, la parola scelta è comunità. Come per il Popolo degli Elfi, un’insieme di famiglie che, in provincia di Pistoia, vive in piccoli agglomerati rurali e case coloniche in mezzo al bosco, spesso raggiungibili solo a piedi. Le case non sono allacciate alla rete elettrica, il riscaldamento e la cucina vanno a legna e il televisore non esiste.
Noceto (Siena) e Granara (Parma) sono, in tutto e per tutto, degli ecovillaggi. Entrambi non sono stati costruiti dal niente, come è accaduto a Findhorn, ma gli abitanti hanno recuperato vecchi poderi e borghi di pietra. Li hanno ristrutturati da soli, con le proprie forze, facendo tornare la vita in piccole frazioni di campagna che anche gli ultimi contadini avevano abbandonato. Esperanza, insegnante di spagnolo, vive a Noceto con il marito, la figlia e altre due famiglie dal 1991. Il villaggio ha un orto e molti olivi, ma nessuno degli abitanti può permettersi di vivere solo di agricoltura: «Ognuno di noi ha un lavoro fuori. Qui a Noceto, però, produciamo tutto quello che possiamo per essere il più possibile autosufficienti. Facciamo l’olio, la farina, il pane, coltiviamo l’orto», racconta soddisfatta. «Il nostro è un miracolo della vita. Eravamo persone che volevamo condividere l’esistenza, ce l’abbiamo fatta». Tutto è cominciato dividendo il pranzo e la meditazione mattutina, «perché è importante nutrire il corpo e lo spirito». Da lì, si sono sviluppati una vita in comune e un villaggio ecosostenibile, con energie rinnovabili e progetti di educazione e formazione. Per avere un aiuto nei campi e non dimenticarsi mai del mondo esterno, si ospitano ragazzi di tutto il mondo attraverso la rete Wwoof: una mano nel lavoro in campagna in cambio di vitto e alloggio.
A Granara la vita è tornata nel 1993. «Eravamo un gruppo di giovani desiderosi, penso, di metterci in gioco con le nostre idee, di vederle applicate praticamente. Ci siamo messi in cerca di un luogo dove stabilirci e alla fine abbiamo trovato questo paesino di pietra abbandonato in provincia di Parma», spiega Dario. Non una fuga dalla città, ma «un tentativo di costruire qualcosa da zero». E così è stato: gli abitanti del villaggio hanno ristrutturato da soli le case e poi hanno pensato che non bastava un paese di pietra, serviva anche la cultura. E’ così che sono nate numerose iniziative, come campi estivi di educazione ambientale e un festival di teatro a impatto zero. Grande attenzione è dedicata alle energie rinnovabili: «Stiamo lavorando a un progetto che permetterà a ogni abitazione di essere totalmente autonoma, grazie a un impianto eolico e a diversi pannelli fotovoltaici». Ma la cosa più curiosa che si fa a Granara per non sprecare proprio niente è il compostaggio a secco degli escrementi umani: «All’inizio è stato un pensiero spiazzante, ma ci ha permesso di utilizzare anche i nostri rifiuti personali come concime».
Gli ecovillaggi non sono solo comunità di persone che condividono un piatto di zuppa o un orto: in gran parte dei casi – e le storie qui raccontate ne sono l’esempio – queste comunità sono anche vivaci laboratori di idee: «Il confronto con le persone esterne ci permette di non implodere. D’altra parte da noi non c’è un unico punto di vista, ma una varietà enorme di culture e di pensieri», sottolinea Dario. Esperanza è d’accordo: «Grazie ai ragazzi del Wwoof manteniamo il contatto con l’esterno, cercando allo stesso tempo di vivere nel nostro modo. Invece di aggiungere, cerchiamo sempre di fare a meno di qualcosa». È un’altra economia, quella della «non crescita».
Veronica Ulivieri