Assorbimento di CO2 e cibo. Il circolo virtuoso dell’agricoltura secondo Luigi Mariani
La crescita artificiale dell’anidride carbonica in atmosfera è sintomo di squilibrio nel ciclo del carbonio. Perché non utilizzare l’agricoltura per stabilizzare i livelli di CO2 e ripristinare l’equilibrio perduto?
E’ questa la proposta del professor Luigi Mariani, docente al Dipartimento di Produzione Vegetale dell’Università degli Studi di Milano. “Credo che prima di tutto serva fare un po’ di chiarezza. Perché capire aiuta a individuare alcune tra le soluzioni utili a mantenere in salute il nostro Pianeta”, precisa Mariani.
Di fatto, la CO2 contribuisce per il 14% all’effetto serra, un fenomeno naturalmente benefico in quanto “in sua assenza la Terra avrebbe una temperatura media di superficie pari a -19°C”. La CO2 “pesa” dunque sull’effetto serra in maniera minore rispetto agli altri due gas responsabili della sua azione, vapor acqueo (55%) e nuvole (24%). “Vi sono pochi dubbi tuttavia che i livelli di CO2 in atmosfera siano aumentati anche a seguito del contributo rilevante delle attività umane. Una tale crescita è certo sintomo di squilibrio”. Da 280 parti per milione (ppm) del 1880 la CO2 ha raggiunto, nel 2008, le 380 ppm. Un dato che – in molti esponenti della comunità scientifica – ha destato preoccupazioni per il clima e, soprattutto, per un aumento artificiale dell’effetto serra. “Anche qui occorre però avere le idee chiare. Perché dal 1850, cioè in coincidenza con la fine della “piccola era glaciale”, la temperatura terrestre è aumentata di 0,8°C, il che giustifica almeno parzialmente l’aumento della CO2 in atmosfera; inoltre, in epoche passate, i livelli di anidride carbonica sono stati ben più elevati rispetto a quelli attuali” commenta il Professore.
Tanto per avere un’idea, circa 500 milioni di anni fa essi hanno cominciato a scendere da 6.000/9.000 ppm intraprendendo la lunghissima strada che li ha condotti alle 380 ppm di oggi. “Da quando, cioè le piante superiori hanno fatto la loro comparsa sulla Terra e hanno cominciato a alimentarsi di anidride carbonica trasformandola in sostanza organica” conferma Mariani. In realtà non bisogna dimenticare che la vita sul pianeta si fonda sul carbonio, il quale rappresenta lo scheletro delle molecole con cui sono composti tutti gli esseri viventi, uomo incluso. “Il ciclo del carbonio vede nella CO2 il suo elemento chiave. Senza questa molecola non vi sarebbero infatti fotosintesi e respirazione.” Insomma, dallo stesso sorgere della vita, vale a dire da 2,2 miliardi di anni, vige la regola secondo cui non c’è vita senza CO2. “Mi permetta dunque di esprimere il mio stupore per il fatto che l’ecosistema abbia potuto convivere pacificamente per tutto questo tempo con quello che oggi secondo alcuni sarebbe un nemico mortale”. Una premessa di metodo e di chiarezza necessaria. Se non altro per sgombrare il campo dai molti equivoci e chiarire la confusione di termini, temi e parole in libertà sorte intorno ai meccanismi che regolano il clima.
Azzerare insomma il chiacchiericcio indistinto e provare a ragionare in termini scientifici che, inevitabilmente, si nutrono anche di ipotesi da sottoporre a verifica e di dubbi sistematici. Tradotto: grande attenzione, certo, a tutti gli studi seri, anche se non tutta la CO2 è da buttare e non tutto ciò che è sinonimo di riscaldamento significa catastrofe. “Non è, insomma, che la Terra andasse arrosto quando l’anidride carbonica era presente in concentrazione ben più elevata rispetto all’attuale” chiarisce Mariani. Per il quale tuttavia – nonostante vi sia ancora da studiare per capire a fondo i comportamenti del clima – serve comunque mettere in campo azioni responsabili per controllarne o mitigarne un possibile ed eccessivo cambiamento di origine antropica.
In definitiva, la mancanza di certezze su danni permanenti causati dall’uomo non deve essere un freno allo stimolo di pratiche virtuose per l’ambiente. E fra queste, suggerisce Mariani, si potrebbe considerare l’incremento delle produzioni agricole volte alla stabilizzazione in atmosfera dei livelli di CO2 grazie ai circa 1,5 miliardi di ettari della superficie agraria totale mondiale. Superficie che garantirebbe l’assorbimento di enormi quantità di CO2 al netto delle perdite legate alla respirazione del terreno e ai consumi energetici di macchinari, concimi o diserbanti. “Basta pensare che un ettaro di mais allo “stato dell’arte”, in grado di produrre 14 tonnellate di granella, garantisce l’assorbimento di 42 tonnellate di anidride carbonica. Valori inferiori ma sempre rilevanti di assorbimento netto di CO2 (24 tonnellate) si riscontrano ad esempio per un frumento che produca 8 tonnellate all’ettaro”.
E’ chiaro insomma che il processo produttivo agricolo diviene quanto mai interessante in termini di utilizzazione della CO2 atmosferica. “Ciò anche perché, mentre un eventuale stoccaggio basato sull’immagazzinamento dell’anidride carbonica nelle viscere della terra è del tutto sterile, quello basato sulle colture può produrre cibo, materie prime e generi di consumo di cui il mondo ha sempre più necessità”. Ma si tratta di una prospettiva che incontra diversi ostacoli. Si pensi, ad esempio, alle iniziative della geo-ingegneria (sequestro del carbonio nelle profondità della Terra) che vedono la partecipazione di poche grandi aziende mentre quelle in agricoltura dovrebbero coinvolgere centinaia di milioni di coltivatori. Conducendoli, così, a una “rivoluzione culturale” pacifica e foriera di benessere “che li metta in grado di moltiplicare per tre volte la produzione di cibo e beni di consumo nel rispetto dell’ambiente”. Ogni anno, aggiunge tra l’altro Mariani, “gli ecosistemi terrestri sottraggono all’atmosfera con la fotosintesi circa 120 Giga Tonnellate di carbonio (GTC) mentre le attività umane rilasciano in atmosfera 9.5 GTC di cui 7,5 di origine fossile e 2 di altra origine. Quando l’estate raggiunge il nostro emisfero il livello di CO2 in atmosfera cala sensibilmente per effetto dell’attività fotosintetica delle piante, il che dimostra la potenza di un tale meccanismo e la sua capacità di regolare i livelli di CO2 in atmosfera”. In conclusione l’utilizzo dell’agricoltura per governare il ciclo del carbonio chiude virtuosamente il ciclo della vita e restituisce centralità alla questione della produzione di cibo e beni di consumo in quantità sufficiente per un’umanità che, secondo stime attendibili, raggiungerà i 9.5 miliardi di individui nel 2050.
Bruno Pampaloni