Green money. Come la finanza verde cambierà il futuro dell’Europa
Occhio alla borsa e al mercato. Per capire quale potrebbe essere il futuro verde dell’Unione Europea anche nel settore energetico occorre prestare molta attenzione agli strumenti economici e finanziari. In Italia il Grande Convitato di Pietra è il Nuovo Conto Energia, annunciato per il 30 aprile ma, ad oggi, non ancora reso pubblico.
In ambito UE il commissario europeo per il Clima, Connie Hedegaard, ha intanto chiarito che non verrà presa alcuna decisione nei prossimi mesi in merito al paventato aumento unilaterale, dal 20% al 30%, della riduzione delle emissioni di CO2 al 2020. Una rassicurazione, per molte imprese timorose della concorrenza asiatica e americana, che giunge proprio mentre Bruxelles è impegnata a comunicare le novità della Direttiva Europea sull’Emission Trading per il periodo post-2012, attraverso un tour informativo che in Italia arriverà a Milano il prossimo 24 maggio.
Proprio sul nuovo sistema di Emission Trading si misurerà la capacità europea di saper coniugare competitività e rispetto per l’ambiente. Una sfida non semplice da affrontare. Soprattutto per un paese come l’Italia dipendente da industrie fortemente energivore e in cui non sono poche le voci euroscettiche di chi teme, da Bruxelles, un eccesso di dirigismo politico sulle questioni ambientali. Un dirigismo che minaccerebbe la competitività dello stesso sistema produttivo europeo.
Ecco perché capire i meccanismi e gli strumenti finanziari ed economici previsti dalla UE serve a immaginare, con buona approssimazione, a quale modello di “sviluppo sostenibile” assisteremo. Tra questi strumenti lo scambio delle quote di emissione è stato pensato per favorire la transizione verso un’economia efficiente dal punto di vista ambientale e delle risorse. Ma grande importanza avranno, a livello energetico, anche la revisione della fiscalità e il completamento del mercato interno – il tutto entro un’avveduta politica energetica che tenga conto delle condizioni economiche congiunturali. Fermo restando gli obiettivi a medio-lungo termine.
Da Bruxelles a Roma. Il 30 aprile era atteso il Nuovo Conto Energia, il sistema di incentivazione degli impianti fotovoltaici. Ma ad oggi tutto tace. Si prevede comunque una riduzione del 15% rispetto alle attuali tariffe, anche in relazione alla diminuzione del costo di investimento conseguente al calo del prezzo dei pannelli.
Di fatto, il GSE (Gestore Servizi Energetici) ha l’obbligo di incentivare la produzione fotovoltaica secondo un sistema tariffato e fino al raggiungimento di una potenza installata pari – per l’attuale conto energia – a 1200 Mw. E favorisce tali iniziative attraverso il ritiro dedicato di elettricità dalla installazione fotovoltaica. Maggiore l’integrazione dell’ impianto (ad esempio sul tetto, rispetto ad una sul terreno) maggiore è la tariffa incentivante del Gestore. “Le tariffe attualmente riconosciute arrivano anche a 360 Euro/MWh prodotto. Un trattamento davvero di favore se si pensa che il prezzo di mercato è di 65 Euro/MWh e che è si può godere dell’incentivo per 20 anni dalla data di entrata in esercizio”, commenta Agostino Noce, trader di energia e certificati ambientali. Un meccanismo non esente da criticità, per quanto riguarda i terreni agricoli (sebbene meno incentivati), soprattutto al Sud Italia, dove le “coltivazioni” di pannelli fotovoltaici stanno sostituendo quelle tradizionali per sfruttare tutta la superficie irraggiata disponibile.
Differente il sistema di assegnazione dei certificati verdi, un altro meccanismo adottato dall’Italia per sostenere lo sviluppo degli impianti da fonti rinnovabili. Un certificato di questo tipo equivale a 1MWh di energia verde prodotta. In sostanza il GSE assegna i certificati verdi al produttore. Una volta accreditati tali titoli possono essere monetizzati con vendita sui mercati bilaterali o di borsa. In alternativa – qualora dovessero rimanere invenduti per i tre anni di validità – il produttore può restituirli al GSE ad un prezzo determinato dalla media degli scambi del triennio precedente la restituzione. “In buona sostanza si tratta di un meccanismo di mercato parzialmente amministrato”, dice a proposito Noce, per evitare “che le banche finanziatrici della realizzazione degli impianti possano trovarsi con un titolo non solvibile”.
I produttori di energia da fonti fossili hanno l’obbligo di certificare una loro quota di produzione da fonte verde. Nel caso in cui il soggetto vincolato non riesca a raggiungere tale quota deve comprare i certificati sul mercato, o, in ultima istanza, dal GSE medesimo. Le soglie d’obbligo sono determinate da decreti ministeriali con aggiornamento triennale, con l’obiettivo di mantenere un equilibrio tra domanda e offerta e, pertanto, un prezzo stabile di mercato. “Attualmente il valore del certificato verde si attesta attorno a 85 Euro a MWh, cui si deve aggiungere la valorizzazione derivante dalla vendita dell’energia a mercato (65 Euro a MWh) e pertanto tale sistema delinea un’interessante opportunità di incentivazione per chi vuole investire sulla produzione da rinnovabili in Italia.”
I certificati verdi possono oggi essere riconosciuti a produttori da fonte rinnovabile per 15 anni di incentivi, se in servizio dal primo gennaio 2008, o per 12 anni, se in esercizio in un periodo compreso fra il primo gennaio 1999 e il 31 dicembre 2007. L’erogazione di certificati varia a seconda della tipologia della fonte. “In modo che vengano incentivati maggiormente gli impianti a biomasse a filiera corta rispetto alle fonti più convenzionali (idroelettrico ed eolico), in quanto tale tipologia di impianti ha costi di esercizio superiori”.
I certificati bianchi sono invece titoli di efficienza e risparmio energetico ottenibili attraverso, appunto, un intervento di “efficientamento” all’interno di un processo di consumo di energia primaria. “Sono il vero fiore all’occhiello italiano. Un modello simile verrà infatti adottato anche dall’Unione Europea. In teoria va bene tutto: dal rimpiazzo di una lampadina tradizionale con una a basso consumo fino a interventi complessi in vari processi industriali”. Come le installazioni di impianti di cogenerazione, la dismissione di vecchie caldaie convenzionali e la loro sostituzione con caldaie a condensazione. Un certificato bianco equivale a 1 Tep (tonnellata equivalente di petrolio) e l’attuale valore di mercato è di circa 90 Euro/tep.
I soggetti obbligati al risparmio e al miglioramento dei consumi sono i distributori di energia elettrica e gas con più di 50.000 clienti finali ciascuno. Se questi non riescono ad attuare direttamente processi virtuosi possono acquistare i certificati presso società di risparmio energetico, dette E.S.Co (Energy Service Companies), qualificate presso la AEEG (l’Autorità Energia Elettrica e Gas). “Le ESCo”, spiega Noce, ”possono presentare progetti di varia natura all’Autorità, che potrà esaminarne la congruità tramite enti certificatori esterni come l’Enea. E, una volta validato, al progetto verrà assegnato un numero di certificati bianchi in base alla quantità di Tep risparmiate”. I certificati sono assegnati per 5 anni in funzione del risparmio certificato. “Nei periodi iniziali vi è stato qualche eccesso di introduzione del meccanismo. Penso ad erogazioni solo sulla base di “presunzioni” di risparmi. In più il sistema è soggetto ad interventi normativi e regolatori di aggiustamento. Tuttavia sta effettivamente funzionando. I distributori obbligati, ma anche le ESCo e i soggetti industriali, sono allettati da una voce di ricavo che rende meno onerosi i rinnovi di impianto (fino al 20-30% dell’investimento complessivo, più il risparmio energetico effettivo).” E adottano pertanto comportamenti realmente virtuosi.
In questa carrellata di strumenti e operatori finanziari che determineranno le sorti del mercato europeo della green economy, non può infine mancare un cenno ai grandi player internazionali (si legga: fondi d’investimento) e al sistema bancario. I fondi esteri attratti dalla particolare situazione italiana sono principalmente anglosassoni e tedeschi. “Solitamente un fondo punta a rilevare “chiavi in mano” impianti già installati e funzionanti, anche se vi è richiesta per quelli autorizzati ma ancora da costruire. Resta tuttavia il problema di un quadro normativo instabile. Che, certo, non favorisce gli investimenti di chi è allettato da prezzi, sia tariffati che di mercato, in assoluto i più alti d’Europa” conclude Agostino Noce. Quanto alle banche, pur favorite da un meccanismo di cessione del credito attraverso le convenzioni per il ritiro dedicato che il produttore può stabilire con il GSE, resta valido un antico problema: subissate di richieste, sottodimensionate e con funzionari non sempre preparati, fanno fatica a stare al passo con i tempi.
Bruno Pampaloni