Editoriale – ovvero cosa troverete (e cosa no) su Greenews.info nei giorni di Copenhagen
Come reso universalmente noto dalla massiccia concentrazione mediatica, apre oggi a Copenhagen l’attesissima Conferenza delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, l’appuntamento che, a diciasette anni dal vertice di Rio de Janeiro, cerca di disegnare il futuro delle politiche di riduzione dei gas serra dopo il 2012, naturale scadenza del Trattato di Kyoto. Nelle scorse settimane anche Greenews.info ne ha doverosamente documentato i principali passaggi preparatori, le dichiarazioni dei leader, le ambiziose proposte dell’Unione Europea, gli slanci e le frenate di Stati Uniti e Paesi emergenti, il fallimento previsto, poi la rinascita della speranza, Obama che prima non va, poi va il 9, poi decide di andare in chiusura per stimolare l’accordo.
Ora però, abbiamo deciso di smarcarci dalla morbosità giornalistica che, con il pretesto del “dovere di cronaca”, riporta ogni insignificante (e ai più incomprensibile) passo avanti, indietro e di lato, facendo da inutile cassa di risonanza. I grandi appuntamenti come Copenhagen, in cui sono in gioco il futuro di un modello di sviluppo economico e la tutela dell’ambiente terrestre, devono meritarsi “la storia” – con i fatti, e non attraverso una glorificazione a priori. Personalmente trovo più giusti i “Nobel” alla carriera che alle intenzioni. Per adesso la conferenza di Copenhagen ha fatto molto parlare di sé (il che è certamente positivo), ma non ha fatto null’altro che immettere nell’atmosfera altre 40 tonnellate di CO2 per la propria organizzazione (nemmeno compensate).
Vorrei quindi aspettare il 18 dicembre per potermi emozionare e (spero) brindare alla saggezza umana. Nel frattempo, pur dando conto dei passaggi che riterremo significativi di una particolare posizione o di eventuali sviluppi, continueremo ad occuparci di ciò che chi non è a Copenhagen continua a fare quotidianamente per ridurre il proprio impatto sull’ambiente – e continuerà a fare anche se la conferenza dovesse fallire. Già perchè il rischio di questi eventi ad altissimo bombardamento mediatico è che ci si stordisca talmente nella fase preliminare – in un’atmosfera quasi “calcistica” - che, finita la partita, non si hanno più le forze per agire nè la voce per urlare.
Sarà poi il mio panteismo, o la tendenza mentale a mantenere la complessità nella sua dimensione originaria, ma francamente non capisco perchè una conferenza di tale importanza debba unicamente contenere, nel proprio nome, un riferimento ai ”cambiamenti climatici” (uno dei temi più controversi, per altro) e non invece all’ambiente tout court - il che aiuterebbe a ricordare l’estensione del problema: dai rifiuti all’inquinamento, all’esaurimento delle risorse minerali, all’agricoltura ecc. Certo tutti questi fenomeni contribuiscono ai temuti cambiamenti climatici in atto, ma avrei trovato più corretto conferire eguale dignità a ciascuno, piuttosto che vederli sussunti nel loro (discusso) esito finale.
Nel 1992, quando avevo 17 anni e una visione romantica della natura influenzata dalle letture liceali di Wordsworth e Coleridge, comprai l’orologio che la Swatch aveva prodotto per celebrare la Conferenza di Rio, promettendomi di non utilizzarlo fino a quando non avessi realmente visto un “ritorno alla natura” da parte dell’umanità. Purtroppo l’orologio giace tuttora nella sua scatola e non ho ancora avuto il piacere di indossarlo, ma mi auguro che lo possa utilizzare mio figlio, ricordando così il momento in cui i Paesi del mondo iniziarono quell’inversione di tendenza “che li portò a ristabilire un rapporto sostenibile con l’ambiente”.
Andrea Gandiglio – Direttore Editoriale Greenews.info