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“E poi la sete” di Alessandra Montrucchio nella Giornata Mondiale dell’Acqua

In occasione della Giornata Mondiale dell’Acqua pubblichiamo l’intervista di Letizia Tortello ad Alessandra Montrucchio, autrice del romanzo ”E poi la sete” (Marsilio), da oggi in libreria.  

Alessandra Montrucchio, Courtesy of Marsilio EditoreAcqua per tutti, acqua di tutti. Che il mondo si disseti fino ad esaurimento scorte. Già nel 2030. Quando 3 milioni di persone potrebbero morire di sete, in quest’assurda lotta per la vita dove è in gioco l’intero genere umano.

Neanche la letteratura basta più. Resta ferma, attonita, come inebetita di fronte agli scenari che scienziati e meteorologi prospettano per il futuro prossimo della Terra: esaurimento progressivo delle risorse idriche, calamità climatiche, malattie e inquinamento. Se qualcosa non cambia. Se i governi non intervengono.

In occasione della Giornata Mondiale dell’Acqua l’editore Marsilio pubblica il nuovo libro di Alessandra Montrucchio, E poi la sete (272 pagg, 18 Euro), un romanzo che affronta, con i toni della narrazione d’avventura, il delicato tema della lotta per la difesa delle risorse idriche del globo. Il nuovo “oro blu”, oggetto di guerre tra i popoli e lotte fratricide, come prima era stato solo il petrolio.

La copertina del libro

La copertina del libro

Siamo nel 2088, i destini di Sarah e Gael s’incrociano per le vie della capitale di uno stato non meglio precisato dell’Europa. All’indomani di uno scandalo che travolge il Presidente del Consiglio e getta nell’anarchia l’intero Paese, il loro incontro li porterà a lottare per la sete, oltre che per la vita.

D) Alessandra Montrucchio, perché ha scelto l’acqua come motivo narrativo del suo nuovo libro?R) Sono sempre stata legata ad alcuni grandi temi d’importanza sociale, ma stavolta lo spunto è venuto casualmente. Chiacchierando anni fa, con un’amica, di questi temi si è accesa in me la scintilla che mi ha spinto a documentarmi, ad approfondire cosa può significare per il mondo la corsa ad una risorsa primaria come l’acqua. Poi, da due chiacchiere e una curiosità, siamo arrivati ad oggi, quando anche in Italia si comincia a parlare di privatizzazione di questo bene pubblico, così prezioso.

 

D) La realtà sta superando la fantascienza, in quanto a futuri scenari apocalittici?

R) E’ tremendo, ma è così. Il mio libro vuol proprio essere una sorta di distopia alla Orwell, alla Bradbury, alla Blade Runner, in cui le nostre peggiori paure si avverano. Ambiento la scena in un domani non troppo lontano, appena uscito da una grande crisi ecologica che ha cambiato i connotati del clima. Il divario tra ricchi e poveri della società si è allargato, uno scandalo dell’acqua sconquassa il paese dei protagonisti, tutto si blocca. Ogni violenza si scatena in questo clima di catastrofe. E’ un panorama improbabile, ma non impossibile. Siamo lontani dal medioevo post-atomico di tanta letteratura e film del passato. Qui le terre emerse si riducono per il surriscaldamento globale, le piogge acide infestano i terreni coltivati, tsunami e mari radioattivi rendono difficile la vita. Lo stato è militarizzato, i “continenti del benessere” non sono più quelli che erano ai nostri tempi.

D) Sempre più la letteratura si sta dedicando alle “cose ultime”. Penso al genere apocalittico, che riscuote sempre più successo. Quale stimolo narrativo suggerisce una fonte così primaria, così vitale come l’acqua?

R) Senza dubbio immediata drammaticità. Usare l’acqua come tema conduttore del romanzo ha dato ritmo ad ogni possibile storia e caricato di tensione lo sviluppo della vicenda. Per buona parte però ho preso spunto dal reale. Ad esempio nell’immaginare quali saranno tra 70 anni i continenti in cui la vita sarà ancora tollerabile: Siberia e Canada, due stati che oggi sembrano poco accoglienti, ma dopo il surriscaldamento globale avranno ancora acqua e temperature accettabili. A questo aggiungo altri possibili eventi drammatici, probabili se non facciamo niente per salvare il pianeta: l’interruzione della Corrente del Golfo, la distruzione della Foresta Pluviale, il dilagare della violenza e del monopolio delle multinazionali per il controllo dell’acqua, malattie e stenti per chi l’acqua non ce l’ha.

D) Cosa ne pensa del decreto Ronchi, recentemente approvato dal governo italiano, che apre alla privatizzazione degli acquedotti nel nostro Paese?

R) Penso che sia una sciagura o, a voler essere gentili, almeno un anacronismo. Mentre metropoli come Parigi, capitali della privatizzazione, sono da poco tornate al sistema di gestione pubblica dell’acqua, noi andiamo in controtendenza, mettendo nelle mani dei privati uno dei settori che meglio ha funzionato finora. Prendiamo Torino, la città in cui vivo. Nel mio quartiere, dietro Piazza Castello, l’acqua del rubinetto è buonissima, la bevo regolarmente, l’azienda pubblica Smat è un fiore all’occhiello dell’amministrazione. E noi vogliamo andare a distruggere tutto ciò, creando forzatamente una gara d’appalto, che avrà come unico risultato, se va bene, l’aumento delle bollette?

D) A suo giudizio, che potere hanno i governi di impedire il monopolio dell’acqua da parte delle multinazionali?

R) Molto, e invece vediamo che sempre più guerre si combattono, già oggi, in nome dell’acqua. Il conflitto israelo-palestinese sulle rive e per il controllo dell’acqua del Giordano e del lago Tiberiade, quello tra Turchia e Siria. Penso che ci siano tre cose su cui il profitto non può e non deve intervenire: l’acqua, l’istruzione e la salute. Questi sono diritti fondamentali di tutti. Prima di ogni ragionamento. Privatizzare l’acqua è follia, più o meno come costruire le centrali nucleari.

Letizia Tortello

Per una diversa interpretazione del decreto che liberalizza la gestione delle risorse idriche si veda anche: “L’acqua secondo Alberto Bertone“, Greenews.info, 23 novembre 2009

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