Commento a Ian Pearson
Pubblichiamo il commento che Giuseppe Gamba, Presidente di AzzeroCO2, ci ha cortesemente inviato in risposta all’articolo di Ian Pearson “Verso una Gaia elettronica”.
L’intervento di Ian Pearson, mi suscita due pensieri, in parte contrastanti. La pressione straordinaria a cui l’umanità (in crescita numerica ed economica) sottopone gli ecosistemi non ci consente di essere ottimisti: essi sono destinati a cambiare e il futuro ci sarà garantito (deve essere garantito!) non da un anacronistico ritorno al passato, ma da tecnologie più efficienti e “intelligenti”. Informatica e biologia saranno sicuramente al centro della rivoluzione tecnologica e industriale che si annuncia. Le tecnologie che modificano e possono creare la vita sono, del resto, già alla portata dell’uomo, ma che ciò possa consentire – un giorno non lontano – di creare nuovi ecosistemi non mi pare né un argomento originale, né uno scenario desiderabile.
Praticamente tutti gli ecosistemi che conosciamo sono già stati modificati dall’uomo, con l’esclusione di alcune aree circoscritte nelle zone più remote e impervie del Pianeta. Questo fenomeno si verifica almeno da quando esiste l’agricoltura e – con effetti ben più ampi – da quando la rivoluzione industriale ci ha dotato di potenza e desideri illimitati. A questo ci riferiamo quando parliamo di cambiamenti globali (clima, desertificazione, salinizzazione del suolo e riserve idriche, ozono stratosferico, esaurimento di risorse fossili, contaminazioni chimiche, batteriologiche e nucleari, ecc.). Alcune di queste trasformazioni - o “nuovi ecosistemi” – si sono realizzate volontariamente e per stratificazioni successive e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Si pensi alle magnifiche foreste europee o alle fertili e incantevoli regioni agricole mediterranee: sono molti gli ecosistemi a cui la mano umana ha contribuito. Altri si sono prodotti per una colpevole inavvedutezza: la salinizzazione della mezza luna fertile, la desertificazione di ampie plaghe del pianeta, la scomparsa prossima del lago d’Aral, ecc. Ma ciò che si deve notare è che tutti gli ecosistemi sono il risultato di processi di ”prova ed errore”, che hanno avuto evoluzioni lente e mai esattamente prevedibili.
Non so se sarà mai possibile creare un ecosistema totalmente nuovo, la ritengo una provocazione utile a riflettere, ma come prima impressione rimango perplesso pensando alla complessità e alla fragilità degli equilibri naturali che regolano gli ecosistemi. Ipotizzarne la creazione di nuovi – di fronte all’evidenza dei problemi che stiamo creando agli ecosistemi “quasi naturali” attuali – è un ragionamento ancora prigioniero dell’inconsapevolezza dei limiti , un errore di solito attribuito ai sostenitori impenitenti della crescita economica a ogni costo. Nel loro caso la risposta all’esaurimento e al depauparamento delle risorse naturali è fideisticamente basata sulla fiducia che la tecnologia trovi la soluzione giusta al momento giusto.
L’idea che le nostre migliori energie intellettuali e le più avanzate tecnologie debbano essere impegnate per costruire nuovi ecosistemi, in sostituzione di quelli naturali stremati dall’”economia umana”, mi pare francamente poco desiderabile. Perché non applicare le raffinate conoscenze biologiche, fisico-chimiche, informatiche di cui disponiamo (e disporremo) all’alleggerimento della nostra impronta sul pianeta? Per far sì che i nove miliardi di esseri umani che calcheranno la terra nel 2050 siano “più leggeri” dei sei miliardi di oggi!
Esempi di tecnologie avanzatissime impegnate in questa direzione (riduzione del peso attuale e non sostituzione di quel che avremo rotto), sono per fortuna già all’opera. Si pensi agli straordinari risultati del Biomimicry Institute di Janine Banyus, che opera con l’obiettivo di “imparare dalle forme, dai processi e dagli ecosistemi naturali per copiarli ed emularli creando tecnologie e design più sostenibili e salutari per l’uomo”.
Giuseppe Gamba