Come produrre idrogeno dalle alghe. La sensazionale scoperta dell’Università Bicocca
Negli ultimi anni l’idrogeno è diventato uno dei candidati più promettenti per la produzione di energia pulita: può infatti essere utilizzato per generare elettricità senza l’accompagnamento degli indesiderati gas a effetto serra.
La produzione di idrogeno, tuttavia, non è detto che sia esattamente un’attività “verde“: l’idrogeno molecolare infatti può essere estratto da combustibili fossili – ma con un’efficienza talmente bassa e costi talmente alti da rendere più conveniente l’utilizzo diretto dei combustibili stessi; oppure può essere prodotto dall’acqua tramite elettrolisi (non si dimentichi infatti che una molecola d’acqua, H2O, è composta, oltre cha dall’ossigeno, da due atomi di idrogeno H) – ma questo processo richiede a sua volta l’uso di elettricità, generata da combustibili fossili o anche, in alternativa, da fonti rinnovabili. Purtroppo però ancora troppo costose perché sia conveniente, sia dal punto di vista economico sia da quello della sostenibilità ambientale, una produzione di massa.
Uno studio pubblicato il 24 marzo sul Journal of the American Chemical Society da alcuni ricercatori dell’Università Bicocca di Milano, in collaborazione con l’ Università di Lund, in Svezia, indica una strada nuova (e concretamente percorribile) verso la produzione di idrogeno per mezzo della fotosintesi delle microalghe.
Già nel 1939 il ricercatore tedesco Hans Gaffron, durante i suoi studi presso l’Università di Chicago (a cui era approdato in fuga dalla Germania nazista), notò che le alghe verdi che stava osservando, le Chlamydomonas reinhardtii, a volte passavano, durante la fotosintesi, dalla produzione di ossigeno a quella di idrogeno. Gaffron non riuscì però a scoprire le cause di tale stranezza né a intervenire in alcun modo nel processo, che si verificava o meno, secondo uno schema che appariva completamente casuale. Nonostante le ricerche condotte nei decenni successivi anche da parte di altri scienziati, non si giunse ad alcuna spiegazione convincente.
Le alghe ritornarono a essere un candidato promettente per la produzione di idrogeno a partire dal 1999, quando Anastasios Melis della University of California di Berkeley, insieme a ricercatori del National Renewable Energy Lab, scoprì che privando le alghe di zolfo e di ossigeno (cambiando cioè l’ecosistema in cui erano immerse) era possibile mettere in moto la produzione di idrogeno per un periodo di tempo sufficientemente lungo.
Stranamente, Melis trovò un risultato che non stava cercando: la sua ricerca, infatti, condotta per conto del Dipartimento dell’Agricoltura del Governo Americano, era destinata alla comprensione di come le piante riescono ad “auto-medicarsi” quando danneggiate da condizioni ambientali estreme come la mancanza di zolfo, che, non si dimentichi, è un elemento indispensabile agli organismi viventi per la produzione di proteine. Un clamoroso esempio di serendipity.
La scoperta di Melis portò, due anni dopo, alla fondazione di una start-up, la Melis Energy , per la commercializzazione di una tecnica che sfruttasse questa eccezionale capacità delle alghe di trasformare, letteralmente, la luce del sole in idrogeno. Melis e i suoi colleghi hanno progettato alghe mutanti che hanno meno clorofilla e, di conseguenza, assorbono meno luce solare; questo implica che la luce penetri in misura maggiore negli strati di alghe più profondi all’interno dei bioreattori, aumentando la produttività di idrogeno.
Secondo il presidente della International Association for Hydrogen Energy, Nejat Veziroglu, essere in grado di produrre idrogeno con una tecnica economicamente sostenibile farebbe infatti crescere la richiesta di idrogeno in modo consistente; secondo Veziroglu, addirittura, “se metà dei soldi spesi dal governo americano per la lotta contro il terrorismo fosse investita nella produzione di idrogeno, la lotta al terrorismo non avrebbe più ragione di esserci” - con una sottile allusione ai presunti legami dei paesi produttori di petrolio con le attività terroristiche.
Un’idrogeno energeticamente sostenibile, dunque, ma anche con ricadute sociali importanti. E non soltanto: lo studio condotto dal dipartimento universitario milanese, difatti, ha addirittura alcuni risvolti per le ricerche sull’origine della vita sul nostro pianeta.
I ricercatori milanesi, nello specifico, hanno chiarito ulteriormente la struttura di alcuni degli enzimi (idrogenasi) responsabili della produzione di idrogeno e il meccanismo che ne è alla base. Sappiamo infatti che l’atmosfera del nostro pianeta, all’epoca della comparsa dei primi organismi viventi, conteneva idrogeno. Con le parole di Maurizio Bruschi e Claudio Greco, ricercatori del gruppo che ha effettuato la scoperta: “lo studio di questi enzimi rappresenta un emozionante viaggio tra i processi metabolici che hanno accompagnato lo sviluppo della vita sulla Terra”.
Eva Filoramo