Cannoni antigrandine: è ora che si faccia chiarezza
Mentre scrivo mi sembra di essere un inviato di guerra a Kabul: botti che sembrano detonazioni sorde da guerra chimica ogni 10/15 secondi. Più volte mi sono trovato a dover spiegare agli ospiti stranieri dei nostri B&B (soprattutto ai neutralissimi svizzeri) che il Roero non era entrato in guerra con le Langhe. Si tratta dei famigerati “cannoni antigrandine“, messi in campo dagli agricoltori per proteggere le uve da potenziali eventi atmosferici dannosi.
Prima o durante i temporali i cannoni nascosti nelle vigne sparano a salve generando un’onda d’urto verso il cielo che dovrebbe impedire l’aggregazione dei chicchi di grandine o spaccare quelli già formati.
I dubbi scientifici sull’effettivo funzionamento sono molteplici, anche perché all’altezza a cui si formano i cristalli di ghiaccio (dai 2.000 agli 11.000 metri) l’onda d’urto è solo più un timido battito di mani, risibile rispetto alla forza di un temporale. Eppure non sono pochi a lamentare il fatto che, dove questi aggeggi da sciamano vengono usati, piove molto di meno (come non bastasse già la siccità dei cambiamenti climatici). Una convinzione che, dopo qualche anno di frequentazione e di vita tra Langhe e Roero ho maturato anch’io.
Il tema mi ha incuriosito e anche un po’irritato fin dai miei primi giorni come abitante di Guarene, paesino collinare sulla riva sinistra del Tanaro. Sarà la mia propensione a lasciare (per quanto possibile) libero corso agli eventi naturali, ma sinceramente tentare di squartare le nuvole e la grandine con un rumorosissimo cannonazzo dal suono novecentesco (brutti ricordi per gli anziani) è una cosa che mi manda in bestia! E vedo che il fenomeno, dopo il primo minuto di sorpresa e curiosità, irrita piuttosto bene anche i turisti che qui vengono a cercare pace e relax. Capisco bene, d’altro canto, le preoccupazioni per il raccolto dei produttori di vino e le rispetto, ma credo valga la pena interrogarsi seriamente sull’efficacia, i possibili danni ambientali e le eventuali alternative di questo sistema di “guerra preventiva”.
Già lo scorso anno mi era capitato di leggere sulla, Gazzetta d’Asti, l’intervento di un lettore del giornale. “Con l’inizio della stagione estiva – scriveva il Sig. Cavallero – basta attendere un temporale ed ecco che, appena le nuvole cominciano ad addensarsi, sulle nostre colline decine, centinaia di botti di cannone risuonano a distanza di pochi secondi confondendosi con i tuoni dei temporali. Si tratta degli ormai noti cannoni anti-grandine, inventati in Austria già nel 1896, e nei decenni successivi, diffusi rapidamente anche nelle nostre campagne. Non sono a conoscenza della presenza di questi cannoni nel territorio astigiano, mentre se ne contano a decine fra Barbaresco, Priocca, Guarene, Govone, Castellinaldo, Monteu Roero San Martino Alfieri e Castino”. “Sulla loro utilità – prosegue l’autore della lettera – esistono pareri controversi e contrastanti: secondo taluni agricoltori (ed anche vari amministratori locali) sono molto efficaci e assolutamente indispensabili. Altri sostengono che oltre ad arrecare un impatto acustico rilevante sono inutili o addirittura dannosi, così come dimostrato da diversi studi scientifici. Le nuvole, quando arrivano in prossimità di questi cannoni [...] tendono ad allargarsi e in questo modo ostacolano l’arrivo anche delle piogge”.
“In queste settimane – prosegue ancora il lettore di Costigliole d’Asti, con un passaggio che oggi risuona particolarmente attuale – nelle nostre zone, visto il susseguirsi di numerosi temporali, dovrebbero essere caduti diversi millimetri di piogge, per molti concittadini e agricoltori indispensabili per le culture e per alimentare le falde acquifere, in attesa del caldo torrido del periodo estivo, ma questo non è accaduto. Inoltre se i cannoni per alcune associazioni di viticultori salvaguardano i vigneti nei loro dintorni (teoria tutta da dimostrare), non risolvono il problema ma spostano poco più in là il rischio di grandinate, come succede sempre tutti gli anni… Credo che sia utile lasciare che gli eventi atmosferici facciano il loro corso, come è sempre avvenuto, anche perché gli unici a trarne veramente profitto sembrano essere i geniali venditori di speranze ovvero i fornitori di questi marchingegni, che spesso vengono acquistati con contributi pubblici, che a parere di molti potrebbero essere dirottati su altri sistemi di prevenzione...”. Non so se il Sig. Cavallero sia un esperto del settore, ma condivido pienamente, da cittadino, i suoi dubbi e le sue preoccupazioni.
Che trovano eco, per altro, in un vecchio ma ben documentato articolo del 2001 su Nimbus di Alessandro Bruscagin, il quale parla dello stesso problema nella Pianura Padana. “Nel 1996 – scriveva allora il socio della Società Meteorologica Italiana - fra gli agricoltori della bassa modenese si iniziò a fare un gran parlare di un sistema di protezione attivo che a detta di molti costituiva una novità sorprendente: i cannoni ad onda d’urto [...] Ciò che sembrava essere la salvezza degli agricoltori, però, è presto diventato il pomo della discordia fra chi sostiene di trarne enormi benefici e chi, invece, denuncia la palese illegalità di questi mezzi nel campo acustico ed anche la loro totale inefficacia nel cacciare la grandine”.
“L’ARPA dell’Emilia Romagna – proseguiva Bruscagin - chiamata in causa per valutare l’impatto acustico di questi strumenti, ha messo nero su bianco l’abbondante superamento dei limiti acustici, ed ha scritto che la distanza minima alla quale dovrebbero essere collocati i cannoni dalle abitazioni per non provocare disturbi dovrebbe essere di quasi 2 km. Ebbene, questi strumenti sono stati installati a distanze variabili dai 50 ai 200 metri dalle abitazioni”…
C’è poi un’altro problema: chi decide che si deve sparare e su quali basi meteorologiche? Gli agricoltori, in totale autonomia. Da quanto mi dicono qui nel Roero, sono i responsabili dei singoli cannoni che possono decidere di azionarli anche solo con un sms via cellulare, alle prime avvisaglie (come conferma il wine-blog Intravino). Infatti, già Bruscagin scriveva, a proposito della situazione modenese, “La gestione di questi cannoni è in mano a consorzi di agricoltori che si sono costituiti spontaneamente nei vari comuni. Alcuni consorzi hanno istituito un regolamento, regolamento che però non viene quasi mai rispettato. [...] Nel regolamento è inoltre scritto che gli strumenti devono essere attivati solo in caso di imminente calamità atmosferica, ma bastano poche ed innocue nubi stratificate per farli entrare in funzione“. Esattamente. Anche qui tra Langhe e Roero appena tu, comune mortale, inizi a sperare che piova, ecco che parte il bombardamento…
Bruscagin concludeva il suo articolo su Nimbus con una rassegna stampa e di citazioni nella quale ricordava che già in una pubblicazione del 1988 del Servizio Meteorologico Regionale dell’Emilia Romagna, veniva fatto notare come i cannoni detonanti proposti in Italia in quegli anni come idea nuova, fossero, in realtà, un’idea vecchia di cent’anni, “che a suo tempo tramontò per l’evidente inefficacia contro la grandine, come è possibile verificare leggendo le cronache dell’epoca“. Stiamo parlando degli anni 1904/1905!
Mentre finivo di scrivere è intanto scoppiato un violento temporale: subito ho goduto come un primitivo, dopo due mesi di quasi totale siccità! Ma nonostante l’intensità iniziale la pioggia, adesso, è già terminata e le nuvole si stanno allontanando… Il beneficio per tutta la vegetazione – vigne escluse – e per la falda acquifera sarà dunque minimo. Sarebbe durato così poco comunque o i cannoni qualche “effetto ambientale collaterale” lo hanno innescato? Sarebbe bene capirlo con chiarezza.
Andrea Gandiglio