Biocatene ai nastri di partenza
Su gentile concessione degli autori ripubblichiamo oggi su Greenews.info i tre servizi giornalistici vincitori del Premio Comunicare Bio, assegnato da Federbio sabato 11 settembre, in occasione del Sana, il Salone Internazionale del Naturale di Bologna. In questo articolo Claudio Bonomi di Bargiornale (Sole 24 Ore Business Media), secondo classificato, racconta l’opportunità del biologico in franchising.
Il biologico regge ai colpi della crisi. E sebbene resti un mercato di nicchia offre anche aibar opportunità di espansione. Un terreno quasi vergine dove il franchising può giocare il ruolo di locomotiva.
A Colonia, in Renania, il biologico è riuscito addirittura a far sposare distribuzione moderna e somministrazione tradizionale, due mondi che almeno in Italia sono sempre di più in aperta concorrenza. All’interno del nuovissimo punto vendita cittadino denominatoTemma (Gruppo Rewe) convivono su un’area di 800 mq circa 5mila prodotti bio a libero servizio insieme a bar caffetteria e pasticceria con servizio al tavolo. Tutto ovviamente all’insegna dell’alimentazione naturale e certificata. Siamo in Germania, dove i consumi di prodotti bio per alcune tipologie di prodotti sfiorano il 20% della spesa alimentare delle famiglie. In Italia, nonostante il primato europeo in termini di superficie coltivabile, numero di aziende agricole specializzate, produzioni (siamo, ad esempio, i primi produttori, anche a livello mondiale, di ortaggi, cereali, agrumi ecc.), i consumi si collocano intorno al 3% della spesa alimentare nazionale. Un mercato stimato tra i 2,8 e i 3 miliardi di euro (in Germania, il valore è quasi doppio) che, nonostante la crisi, regge.
Mercato di nicchia, ma in crescita. Ad esempio, sul fronte del grocery nei primi sei mesi del 2009 gli acquisti di prodotti bio confezionati hanno fatto registrare un incremento del 7,4% in valore e dell’8,5% in quantità (Ismea/Nielsen). D’altronde che il biologico non fosse un fenomeno effimero Bargiornale l’ha scritto più volte. Certo è che, a differenza di quello che è successo in Germania e in nord Europa, non c’è stato quel boom di consumi che alcuni analisti avevano previsto. Resta, poi, da considerare che la diffusione di questa “filosofia” è stata molto più lenta nel settore dei pubblici esercizi rispetto al libero servizio o alla vendita al dettaglio. Una crescita tuttavia costante. Se prendiamo, ad esempio, gli ultimi numeri sfornati dall’edizione 2010 di “Tutto Bio – Annuario del Biologico” sono 224 gli operatori della ristorazione (macro categoria che comprende non solo ristoranti, ma anche bar, caffetterie, gelaterie, pizzerie, self service ecc.). Un piccolo ma vivace settore che è cresciuto del 31% rispetto al 2007. La ristorazione insieme ai gruppi d’acquisto solidali (i cosiddetti “gas”) e alla vendita diretta è, tra l’altro, il canale che per numero di operatori è aumentato di più nel biennio 2007-2009. «E continuerà a crescere anche in futuro – spiega Maria Rosa Bertino, giornalista e curatrice insieme ad Achille Mingozzi dell’annuario -. Certo, non si tratta di uno sviluppo esponenziale ma di un trend di crescita perfettamente in linea con lo sviluppo di una domanda che ha imparato ormai a distinguere le peculiarità della proposta biologica e che è amante della cosiddetta cucina del benessere caratterizzata da leggerezza e alta digeribilità. È chiaro comunque ormai a tutti cheil biologico non è un business semplice, ma un settore dove occorre un tasso “culturale” più elevato rispetto a un’attività di matrice tradizionale: qui l’improvvisazione è veramente bandita. Semmai, in uno scenario quale l’attuale, possono giocare un ruolo di orientamento e, allo stesso tempo, di formazione di nuovi operatori le catene in franchising». L’affiliazione sta in effetti facendo i primi timidi passi nel settore. Non solo nella ristorazione in senso stretto, ma anche nel canale bar/caffetteria.
Biologico e prodotti per intolleranti. Un modello interessante è la formula biologicafè. «L’idea di aprire un bio cafè – spiega Barbara Deandrea che insieme a Gabriele Pacini è titolare del marchio Biologicafè – è nata dalla nostra esperienza familiare, di mio figlio prima e di tutta la famiglia in seguito. Scoprire di avere una intolleranza alimentare ci è sembrato inizialmente un problema, ma poi abbiamo capito che era un’opportunità per migliorare la qualità del nostro stile di vita a partire dal cibo». Inizia così, da questo sforzo di rovesciare un problema trasformandolo in opportunità, l’avventura di questo “caffè alternativo” che saggiamente incrocia il biologico con prodotti gluten free o anti-intolleranze come croissant senza frumento, latte di riso ecc. (biologicafè fa parte del network “colazione al bar” sostenuto e controllato dell’Associazione Italiana Celiachia). Nel 2004 dunque è partito il progetto imprenditoriale, nato fin da subito con l’ambizione del franchising e con un format che si è perfezionato nel tempo: oggi biologicafè, che ha ottenuto la certificazione di “locale biologico”controllato da Icea, comprende caffetteria, tavola calda, pasticceria, gelateria, wine bar, sala da tè, ma anche servizio catering, take away e organizzazione di eventi. Entro l’anno a Milano dovrebbe sorgere il primo pdv in franchising e un’altra decina sono in scaletta. L’investimento richiesto è variabile: si può partire, ad esempio, da 800 euro (per la sola fornitura di caffè bio e di materiali di servizio) o da 30mila euro per un locale di 20mq. Non sono previste fee o royalties. La formazione iniziale comprende una parte medica relativa alle intolleranze alimentari e a principi di dietetica e una parte pratica svolta presso il punto pilota di Alessandria.
Formule, location e specializzazioni. Un altro modello che si sta affacciando al franchising è il Bio’s Cafè di Rimini «Siamo nati nel 2002 – spiega Renzo Agostini, creatore della formula – e, sulla scorta di un’esperienza quasi decennale, possiamo tranquillamente dire che il nostro modello funziona tanto che abbiamo messo a punto una proposta di franchising. Abbiamo previsto 3 diverse tipologie di format a seconda della localizzazione del bar o della proposta: area direzionale, area centrale o piccolo snack bar concentrato sulle prime colazioni. Mediamente l’investimento si aggira intorno ai 150mila euro». Nessuna royalties, ma è prevista una fee d’ingresso di 15.000 euro per le attività di supporto all’affiliato che vanno dalla progettazione all’avviamento del locale, compresa la formazione dello staff. L’approvigionamento ai franchisee è assicurato da un laboratorio di 1.000 mq localizzato a Cervia. Quest’anno, dovrebbero aprire almeno 5 punti in franchising Bio’s Cafè. Infine, una leva competitiva non trascurabile offerta dal bio è rappresentata dalla possibilità di differenziare la propria offerta. «In termini di mercato – spiega Gianluca Mondardini, artefice della formula Dolce Bio – la biospecializzazione paga. Però occorre essere credibili e autentici, evitando al massimo ogni “contaminazione” con l’offerta tradizionale». In sintesi, le biocatene possono rappresentare la porta d’ingresso ideale per un neoimprenditore. Ma, attenzione, il bio è tutto meno che un settore rifugio.
Claudio Bonomi
L’articolo è stato pubblicato il 2 aprile 2010 su Bargiornale, il mensile di Sole 24 Ore Business Media dedicato ai bar e al canale Ho.re.ca.