Amitav Ghosh e la sfida della letteratura ai tempi dei cambiamenti climatici
Sabato 30 settembre, al Teatro dal Verme di Milano, lo scrittore indiano Amitav Ghosh è intervenuto in uno degli incontri culturali del festival “A seminar la buona pianta“, promosso da Aboca, lanciando una provocazione al mondo della letteratura contemporanea: se il riscaldamento globale è il tema del nostro secolo, perché la cultura e, in modo particolare, la letteratura, non reagisce? Perché rivela una singolare ritrosia ad affrontare questa tematica in romanzi, racconti e opere teatrali? Se la funzione dell’arte è anche la rappresentazione del reale attraverso il ‘respiro creativo’ dell’artista, allora, sostiene Ghosh, oggi stiamo assistendo a un vero e proprio fallimento dell’immaginazione… La nostra Ilaria Burgassi ha seguito per Greenews.info il suo intervento…
“Quello che noi chiamiamo col nome di rosa, anche chiamato con un nome diverso, conserverebbe ugualmente il suo dolce profumo”, così recitava Giulietta nella più famosa opera di Shakespeare quando, riflettendo sul destino beffardo che l’aveva fatta innamorare del nemico giurato, metteva la res davanti al logos. Ma è davvero così? Secondo Amitav Ghosh, scrittore, giornalista e antropologo indiano, no. O, almeno, non lo è quando si parla di cambiamenti climatici e delle devastanti conseguenze che questi hanno sul nostro ecosistema ambientale. Per Ghosh infatti le parole contano e sono il mezzo attraverso cui diamo consistenza alle cose rendendole tali: le cose non esistono davvero finché non vengono nominate.
La maggior parte della popolazione percepisce il cambiamento climatico come un dato di fatto, come qualcosa oggi in atto che sta influendo sulle nostre vite. Ciononostante non sembra fare nulla per interrompere questo processo. Ma cosa impedisce di trasformare la potenza in atto e passare dalla percezione del problema alle azioni che portano alla sua soluzione? Secondo Ghosh ciò che manca è “la consapevolezza ultima e profonda di ciò che sta succedendo”, mancano le parole attraverso cui calare qualcosa di apparentemente lontano dalla quotidianità in qualcosa di vicino e tangibile, che incombe sul Pianeta coinvolgendo tutti.
Analizzando la storia della letteratura si può facilmente evincere come il ruolo della natura, in passato, fosse visto e descritto in modo molto diverso rispetto a quanto facciamo oggi. Oggi mancano le parole per farlo. È infatti complesso descrivere grandi fenomeni atmosferici in un libro mentre è più semplice farlo attraverso forme d’arte visive come la fotografia o la televisione. Per questo Ghosh ritiene che la nostra conoscenza della natura – dal punto di vista letterario – si sia fermata a molti anni fa, influenzando inevitabilmente la percezione che ne abbiamo. Ed è qui che il ruolo dello scrittore diventa fondamentale perché è colui in grado di riconvertire il logos in res.
Ciò che è cambiato nelle persone sono i bisogni e le necessità: prima i desideri erano legati alla sopravvivenza, all’indispensabile, mentre adesso si è passati ad una “globalizzazione dei desideri” prevalentemente rivolta alla soddisfazione di bisogni materiali superflui. Non si parla dunque, per citare Adam Smith, di desiderare la ricchezza in senso lato ma di desiderare, nello specifico, ciò che hanno gli altri, in una sorta di irrazionale emulazione generata, secondo Ghosh, dall’avvento del capitalismo. Del resto, chi di noi sarebbe oggi in grado di dire ad un’altra persona “non hai bisogno di quello che ho io”? Basti vedere cosa sta succedendo nei Paesi che stanno vivendo solo ora il boom dello sviluppo economico: Paesi in cui fino a pochi anni fa sembrava impensabile poter ambire a ciò che da anni era consolidato nel mondo occidentale e che oggi, guidati proprio dal desiderio di possedere ciò che altri possiedono, non intendono rinunciarvi in nome di un bene più alto, ma più astratto, come “la tutela del Pianeta”. Ed è qui che la globalizzazione dei desideri porta ad ignorare un dato di fatto come il cambiamento climatico. Per invertire il meccanismo, secondo Ghosh, sembra necessario affidarci nuovamente al potere del linguaggio: se troveremo le parole per parlarne, potrà conseguirne un’azione?
Scrivere di cambiamento climatico, lo abbiamo detto, è complesso e porta le persone ad allontanarsi da ciò che stanno leggendo: nessuno vuole sentirsi dire ciò che, in fondo, già sa ma che non ha intenzione di affrontare. Per questo lo scrittore deve farsi carico di un ruolo scomodo. L’aspetto terribile del cambiamento climatico è che “mette a nudo le nostre illusioni”. Il fatto di sapere non vuol però ancora dire fare qualcosa: ci si crogiola in una sorta di “deresponsabilizzazione collettiva”, che non si tramuta mai in azione, ma si nasconde dietro una millantata inconsapevolezza. Il problema, ribadisce Ghosh, è il grande conflitto di desideri insito nel profondo di ognuno di noi: non ci fermeremo mai fino a quando non avremo quello che hanno avuto e hanno gli altri e, se siamo noi gli altri, non rinunceremo a quello che abbiamo ottenuto fino ad oggi.
Forse, per invertire questo circolo perverso, è necessario trovare nuovi modi per esprimersi, per toccare il profondo dell’animo umano e riportare la res al centro della scena – attraverso il logos.
Ilaria Burgassi